Tutti cattolici se i laici non parlano [La Stampa]

Pubblicato da

Da La Stampa del 28/8/2009:

MARCELLO SORGI
La polemica di Bossi con i vescovi sull'immigrazione. Il distinguo
laico sulla bioetica di Fini, per inciso l'unico ad ammettere
chiaramente di non avere il dono della fede. Il racconto di Blair della
propria conversione e quello di Chiamparino della sua attrazione per il
mondo cattolico.

Nel giro di pochi giorni, una serie di eventi, solo apparentemente
staccati tra loro, sono venuti a ricordarci il peso che la Chiesa e i
valori di cui è portatrice hanno sulla società italiana.

Si dirà, che scoperta! Il nostro è un paese cattolico, che anche in
tempi di secolarizzazione «sente» la presenza del Papa e delle
Gerarchie sul proprio territorio, è abituato a trovare i parroci
schierati sulle frontiere più delicate della società civile e i
credenti sul crinale delle più difficili battaglie di opinione. Ma il
punto è un altro: eravamo abituati, da sempre, a una ripresa politica
di fine estate affidata alle feste di partito e ai primi duelli
stagionali sull'agenda dei problemi lasciati irrisolti prima della
pausa delle vacanze. E invece, d'improvviso, ci ritroviamo con il
Meeting di Cl che diventa l'unica area riconosciuta di confronto, nella
quale i leader politici si misurano a partire dai valori.


Bossi infatti, dopo l'ultima tragedia dell'immigrazione nel mare di Lampedusa, non se l'è presa con il governo o con Gheddafi per il mancato rispetto degli accordi. Ma con i vescovi. E Fini, alla Festa del Pd, dove peraltro è stato accolto calorosamente e applaudito, ha accortamente non scelto di occuparsi di post-fascismo e post-comunismo, ma del diritto della Chiesa ad intervenire in materia di bioetica. Né Blair a Rimini, al meeting di Cl, ha ripercorso l'esperienza di dieci anni di New Labour al governo del Regno Unito: ha preferito piuttosto parlare della sua conversione, quasi come un predicatore, con toni da sermone.

Sull'immigrazione, sulla sicurezza, sulla solidarietà, sulla giustizia e sul perdono, la Chiesa svolge da tempo il suo apostolato, così come sulla famiglia e sul diritto alla vita e su molti altri temi emergenti. Lo fa senza far sconti a nessuno, senza timore di ritrovarsi contro il governo o la stessa opposizione. Ma mai come adesso sono questi argomenti, questi valori, quest'agenda di punti qualificanti a definire l'azione politica in Italia.

Non è solo effetto del concetto nuovo di laicità cattolica, che s'è fatto strada negli anni del lungo papato woijtiliano, e oggi viene riaffermato con ancora più vigore da Papa Benedetto XVI. Quel concetto prevede che la fede sia al centro di ogni ambito della vita umana nella società. Che i cattolici parlino a tutti, dovunque, credenti e non credenti, che portino in ogni momento l'annuncio del Vangelo. Non è neppure conseguenza dell'ormai lontana scomparsa della Dc, il grande partito cattolico che aveva condizionato per cinquant'anni la Prima Repubblica. La logica democristiana prevedeva che i valori venissero canalizzati nella società grazie a una mediazione che tenesse sempre separato l'ambito della fede e della cura delle anime, riservato alla Chiesa, da quello, pubblico, delle istituzioni in cui i politici cattolici erano presenti. E in cui, certo, ai cattolici poteva capitare di contarsi, come accadde sul divorzio e sull'aborto negli Anni Settanta, ma il più delle volte, invece di soccombere, di cercare e trovare un compromesso.

In nome di questo metodo, di questa pratica di laicità, De Gasperi negli Anni Cinquanta non volle contribuire a Roma alla nascita di una lista di cattolici imposta dal Vaticano. Fu un rifiuto clamoroso, storico. E sulla base di questa stessa impostazione, negli Anni Novanta, Scalfaro, l'ultimo presidente della Repubblica democristiano, in visita, appena eletto, in Vaticano, ribadì a Papa Giovanni Paolo II che il compito dei cattolici impegnati in politica era di ascoltare la Chiesa, ma poi di tradurne in pratica l'insegnamento secondo le contingenze politiche e in piena libertà. Una libertà che, naturalmente, poteva prevedere momenti di riavvicinamento, ma anche di dialettica, e richiedeva, da parte della Gerarchia, il rispetto dei diversi ambiti e delle conclusioni a cui il confronto politico doveva arrivare.

C'è una certa differenza tra quell'epoca, ormai lontana, e questa attuale, in cui può accadere che la Chiesa, legittimamente, contesti una sentenza del Tar che esclude gli insegnanti di religione dagli scrutini scolastici, e il ministro dell'istruzione Gelmini, a nome del governo. senta il bisogno di presentare in poche ore ricorso al Consiglio di Stato. Va da sé che la Chiesa è libera di dire ciò che vuole su qualsiasi aspetto della vita pubblica e dell'evoluzione della società italiana. Il problema non è, o non è più, l'ingerenza della Chiesa in politica. Ma di chi la subisce perché non ha buoni argomenti per confrontarsi. L'afasia dei laici, in quest'ambito, è l'altra faccia della voce dei cattolici, che, nel tempo mediocre della nostra politica, s'è fatta più forte.

31 Agosto 2009   |   articoli   |   Tags: