Pregare per la Chiesa [La Repubblica]

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Il testamento del cardinale Martini (commento di Francesco Pullia)
Marco Politi
La Repubblica, 19/5/2008

Da vescovo ha spesso chiesto a Dio: «Perché non ci dai idee migliori? Perché non ci rendi più forti nell'amore e più coraggiosi nell'affrontare i problemi attuali? Perché abbiamo così pochi preti?».


Oggi, entrato in uno stato d'animo crepuscolare, confida di domandare a
Dio di non essere lasciato solo. Nell'ultima stagione della sua vita
Carlo Maria Martini si confessa ad un confratello austriaco e ne
nascono i "Colloqui notturni a Gerusalemme", appena editi da Herder in
Germania, che rappresentano il suo testamento spirituale. Confessa di
essere stato anche in conflitto con Dio, elogia Martin Lutero, esorta
la Chiesa al coraggio di riformarsi, a non allontanarsi dal Concilio e
a non temere di confrontarsi con i giovani. Un vescovo, rammenta, deve
saper anche osare, come quando lui andò in carcere a parlare con
militanti delle Brigate Rosse «e li ascoltai e pregai per loro e
battezzai pure una coppia di gemelli di genitori terroristi, nata
durante un processo».
Con padre Georg Sporschill, gesuita anche lui, l'ex arcivescovo di Milano è di una sincerità totale.
Sì, ammette, «ho avuto delle difficoltà con Dio». Non riusciva a capire
perché avesse fatto patire suo Figlio in croce. «Persino da vescovo
qualche volta non potevo guardare un crocifisso perché l'interrogativo
mi tormentava». E neanche la morte riusciva ad accettare. Dio non
avrebbe potuto risparmiarla agli uomini dopo quella di Cristo? Poi ha
capito. «Senza la morte non potremmo darci totalmente a Dio. Ci
terremmo aperte delle uscite di sicurezza». E invece no. Bisogna
affidare la propria speranza a Dio e credergli. «Io spero di poter
pronunciare nella morte questo sì a Dio».
Però, se potesse parlare con Gesù, Carlo Maria Martini gli chiederebbe
«se mi ama nonostante le mie debolezze e i miei errori e se mi viene a
prendere nella morte, se mi accoglierà». I discorsi di Gerusalemme sono
come un lungo simposio notturno, senza bevande, alimentati soltanto
dallo scorrere dei ragionamenti, rassicurati dalle ombre calde di una
sera che si prolunga fino all'alba. C'è stato un tempo – racconta – in
cui «ho sognato una Chiesa nella povertà e nell'umiltà, che non dipende
dalle potenze di questo mondo. Una Chiesa che concede spazio alle gente
che pensa più in là. Una Chiesa che da coraggio, specialmente a chi si
sente piccolo o peccatore. Una Chiesa giovane. Oggi non ho più di
questi sogni. Dopo i settantacinque anni ho deciso di pregare per la
Chiesa».
Eppure a ottantun anni il cardinale, grande biblista, non rinuncia a
suggerire alla Chiesa di avere coraggio e di osare riforme. È
essenziale avere la capacità di andare incontro al futuro. Il celibato,
spiega, deve essere una vera vocazione. Forse non tutti hanno il
carisma. Affidare ad un parroco sempre più parrocchie o importare preti
dall'estero non è una soluzione. «La Chiesa dovrà farsi venire qualche
idea. La possibilità di ordinare viri probati (cioè uomini sposati di
provata fede, ndr) va discussa». Persino il sacerdozio femminile non lo
spaventa.
Ricorda che il Nuovo Testamento conosce le diaconesse. Ammette che il
mondo ortodosso è contrario. Ma racconta anche di un suo incontro con
il primate anglicano Carey, al tempo in cui la Chiesa anglicana era in
tensione per le prime ordinazioni di donne – sacerdote (avversate dal
Vaticano). «Gli dissi per fargli coraggio che questa audacia poteva
aiutare anche noi a valorizzare di più le donne e a capire come andare
avanti».
Sul sesso il cardinale invita i giovani a non sprecare rapporti ed
emozioni, imparando a conservare il meglio per l'unione matrimoniale,
ma non ha difficoltà a rompere tabù, cristallizzatisi con Paolo VI,
Wojtyla e di Ratzinger. «Purtroppo l'enciclica Humanae Vitae ha
provocato anche sviluppi negativi. Paolo VI sottrasse consapevolmente
il tema ai padri conciliari». Volle assumersi personalmente la
responsabilità di decidere sugli anticoncezionali. «Questa solitudine
decisionale a lungo termine non è stata una premessa positiva per
trattare i temi della sessualità e della famiglia».
A quarant'anni dall'enciclica, dice Martini, si potrebbe dare un «nuovo sguardo» alla materia.
Perché la Bibbia, ricorda, è molto sobria nelle questioni sessuali.
Assai netta è soltanto nel condannare chi irrompe, distruggendo, in un
matrimonio altrui. Chi dirige la Chiesa, sottolinea, oggi può «indicare
una via migliore dell'Humanae Vitae». Il Papa potrebbe scrivere una
nuova enciclica. E l'omosessualità? Il porporato ricorda le dure parole
della Bibbia, ma rammenta anche le pratiche sessuali degradanti
dell'antichità. Poi aggiunge delicatamente: «Tra i miei conoscenti ci
sono coppie omosessuali, uomini molto stimati e sociali. Non mi è stato
mai domandato né mi sarebbe venuto in mente di condannarli». Troppe
volte, soggiunge, la Chiesa si è mostrata insensibile, specie verso i
giovani in questa condizione.
C'è un filo rosso che lega i suoi ragionamenti nella quiete di
Gerusalemme. I credenti non hanno bisogno di chi instilli loro una
cattiva coscienza, hanno bisogno di essere aiutati ad avere una
«coscienza sensibile». E vanno stimolati continuamente a pensare, a
riflettere.
«Dio non è cattolico», era solita esclamare Madre Teresa. «Non puoi
rendere cattolico Dio», scandisce Martini. Certamente gli uomini hanno
bisogno di regole e confini, ma Dio è al di là delle frontiere che
vengono erette. «Ci servono nella vita, ma non dobbiamo confonderle con
Dio, il cui cuore è sempre più largo». Dio non si lascia addomesticare.
Se questa è la prospettiva ci si può rivolgere con spirito più aperto
al non credente o al seguace di un'altra religione. Con chi non crede
ci si può confrontare sui fondamenti etici, che lo animano. Ed è bello
camminare insieme a chi ha una fede diversa.
«Lasciati invitare ad una preghiera con lui – suggerisce con mitezza
Martini – portalo una volta ad un tuo rito. Ciò non ti allontanerà dal
cristianesimo, approfondirà al contrario il tuo essere cristiano. Non
avere paura dell'estraneo».
Per il cardinale la grande sfida geopolitica contemporanea è lo scontro
delle civiltà. Conoscono davvero i cristiani il pensiero e i pensieri
dei musulmani – si chiede Martini – e come fare per capirsi? Tre sono
le indicazioni. Abbattere i pregiudizi e l'immagine del nemico, perché
i terroristi non possono davvero fondarsi sul Corano. Studiare le
differenze. Infine avvicinarsi nella pratica della giustizia, perché
l'Islam in ultima istanza è una religione figlia del cristianesimo così
come il cristianesimo è figliato dal giudaismo.
La regola aurea del cristiano – Martini lo ribadisce in questo suo
scritto che assomiglia tanto ad un testamento spirituale – è «Ama il
tuo prossimo come te stesso». Anzi, spiega con la precisione dello
studioso della Bibbia, Gesù dice di più: «Ama il tuo prossimo perché è
come te». Da lì sorge l'imperativo a praticare giustizia. È terribile,
insiste Martini, invocare magari Dio nella costituzione europea, e poi
non essere coerenti nella giustizia. E qui il cardinale di Santa Romana
Chiesa tira fuori il Corano e legge la splendida sura seconda. Non si è
giusti, se ci si inchina per pregare a oriente o a occidente. Giusto è
colui che crede in Allah e nell'Ultimo Giudizio. Giusto è colui che
«pieno di amore dona i suoi averi ai parenti, agli orfani, ai poveri e
ai pellegrini». Chi fa l'elemosina e riscatta gli incarcerati. «Costui
è giusto e veramente timorato di Dio».
Poi torna riflettere sull'Al di là. C'è l'Inferno? Sì. «Eppure ho la
speranza che Dio alla fine salvi tutti». E se esistono persone come un
Hitler o un assassino che abusa di bambini, allora forse l'immagine del
Purgatorio è un segno per dire: «Anche se tu hai prodotto tanto inferno
(sulla terra) forse dopo la morte esiste ancora un luogo dove puoi
essere guarito».
Non finirebbero mai i discorsi notturni di Gerusalemme. Lo si capisce
dall'andamento quieto delle domande e delle risposte. Come onde che si
susseguono. Martini nel frattempo è rientrato in Lombardia, fiaccato
dal Parkinson. A chi lo ascolta, lascia questo segnale: «Possiamo anche
lottare con Dio come Giacobbe, dubitare e dibatterci come Giobbe,
rattristarci come Gesù e le sue amiche Marta e Maria. Anche questi sono
sentieri che portano a Dio».

20 Maggio 2008   |   articoli   |   Tags: