O MUSA SE NON CI FOSSI TU!

Pubblicato da

Se parlando dei grandi maestri della storia dell’arte vi nominassi  Mnesarete, Lydia, Emile , Dagny, Simonetta, Monique… probabilmente mi guardereste e, con faccia interrogativa, mi direste ma che cosa stai dicendo? Chi sono queste donne ?  E un po’ avreste ragione , ma se vi cominciassi a nominare Prassitele, Matisse, Klimt, Botticelli allora sì che mi guardereste con occhi  affermativi esclamando “Sì, sì! Li conosco, ho visto le loro opere al museo.”

Ma la storia di queste donne, per lo più sconosciute, è intimamente legata alla nascita di alcune tra le più significative opere della nostra storia dell’arte. Se non si fossero trovate lì quel giorno e in quel momento, probabilmente Matisse, Klimt, Picasso, Botticelli non avrebbero dipinto molte delle loro opere.

L’arte non è fatta solo di colori, di tele, di idee ma è anche di colpi di fulmini, di incontri che si trasformano in turbamenti, tormenti ed ispirazione. È un attimo che, donne “comuni” accendano la scintilla della magia del “genio”, diventando così muse , fonte di ispirazione per scrittori, poeti e artisti.

Per anni Matisse, chiuso nel suo atelier, ritrasse donne nelle più svariate posizioni e situazioni  attratto dalle linee che, incontrandosi, con altre  davano vita ai volumi, alle rotondità, alla sensualità di per sé donna. Il rapporto che Matisse instaurò con le donne andò al di là della mera sfera sessuale, visto che la maggior parte di esse ha sempre affermato di aver avuto solo un rapporto platonico con l’artista. Non stentiamo a credere a ciò, visto che anche nel giorno del suo matrimonio  dichiarò alla moglie il suo amore con queste parole: “Ti amo teneramente, signorina, ma amerò sempre di più la pittura”.

Nella vita artistica di Matisse ce ne furono tante di donne ma se nel 1932 non avesse conosciuto  Lydia Delectorskaya non sarebbero mai nate opere come “Ritratto di Lydia” oppure “Signora in blu” o “La danza”. Ma chi era questa “principessa di ghiaccio”, come la chiamava Matisse?
Era nata nel 1910 in Russia, rimase orfana all’età di 12 anni e fu cresciuta dalla zia. Il suo sogno era quello di diventare medico ma non era facile in una Russia che si stava preparando alla Rivoluzione.

Lydia riuscì a scappare dalla steppa poco prima che la situazione degenerasse e si rifugiò a Parigi, dove venne accettata alla Sorbona per studiare medicina. La sua esperienza universitaria fu breve perché, non riuscendo a pagare le tasse della retta, fu costretta a lasciare la Facoltà e a trasferirsi  all’interno della comunità russa parigina. In questo ambiente, sfruttando la propria bellezza, cominciò a fare la modella e la ballerina.
Una sera come tante altre conobbe Matisse e le loro vite si intrecciarono per ben due decenni.  Lydia inizialmente fu assunta per prendersi cura della moglie malata di Matisse ma ben presto l’artista lasciò questa per rimanere con Lydia.
Musa, amante, assistente, manager Lydia fu un po’ tutto per Matisse e la loro collaborazione portò l’artista a produrre delle opere importanti.
Ritratto di Lydia”  e “Signora in blu” rappresentano una novità nel panorama artistico del pittore che fino a quel momento aveva sempre avuto modelle dalla bellezza mediterranea ; ora invece questa bellezza nordica, bionda e algida, cambiava le carte in tavola. Ecco che il biondo dei suoi capelli si sposa con i blu, i verdi e i rossi dando un impatto del tutto nuovo alle tele dell’artista.  Matisse affermò: “Le mie modelle, figure umane, non sono mai delle figuranti in un interno. Sono il tema principale del mio lavoro”.
Anche “La danza”, una delle opere più importanti di Matisse, nacque con l’aiuto di Lydia. In questo caso la donna non è rappresentata sulla tela ma fece “da spalla” all’artista per tutti i sei mesi in cui egli la realizzò, occupandosi di tutte le sue necessità.  Rimasero insieme fino alla morte in un lungo ed empatico rapporto platonico.

Nella storia dell’arte ogni artista ha avuto  più muse. Donne che gli fecero “girare la testa” in diversi modi, ognuna di esse fu determinante per l’evoluzione del modo in cui l’artista esprimeva se stesso. Ma attenzione a non confondere mai tra modella e musa, una differenza che gli stessi artisti conoscevano bene.
Modelle possono essere tutte le donne. Muse solo poche.
Costoro sono quelle donne che ti entrano dentro, ti stimolano, non fa nulla quanto stiano nella tua vita; il loro arrivo ti sconvolge, ti cambia modo di vedere le cose, ti ispira sentimenti ed emozioni nuovi, diventano mezzi per esprimere te stesso.

Se poi il tuo modo di vedere la vita, l’amore, il sesso, la morte è profondo e intenso allora il rapporto che si crea con la tua musa è viscerale , quasi ossessivo, ma non sarà mai superiore  a quello che tu avrai con la pittura. Deve essere stato così anche per Edvard Munch, il più grande esponente dell’Espressionismo norvegese.
Da sempre persona tormentata e dai grandi interrogativi esistenziali, Munch creò un modo di esporre i sentimenti stilizzato e scarno che arriva dritto al cuore. La sua infanzia fu segnata dalla morte della mamma e della sorella  e questo influì molto sul suo modo di essere. Fu proprio una donna che lo introdusse nel mondo dell’arte quando ancora era piccolissimo, una prima tenera musa che gli fece conoscere quella che sarebbe stata la sua più grande passione: la pittura. Poco dopo l’artista svilupperà il suo primo progetto artistico incentrato sulla morte della madre e della sorella.  Negli anni cercò sempre di scavare nell’anima dei sentimenti umani, nell’evoluzione dell’io e sempre indagò l’universo femminile. Il suo rapporto con le donne fu sempre ambivalente: timido e distaccato da un lato, ossessivo e violento dall’altro. Fu alla fine del 1800 che conobbe una delle sue più grandi muse, Mathilde Larsen detta Tulla, una donna indomita e caparbia che lo cercò e lo volle con tutta se stessa, mentre lui al contrario la respingeva e ma allo stesso tempo la anelava.  Lei era benestante, bella, anticonvenzionale , frequentava i “salotti buoni”, ma sul matrimonio non cedeva, lei voleva essere sposata dall’uomo che amava. Munch al contrario non credeva nel matrimonio, in quanto era convinto che l’amore dovesse essere libero, proprio come l’arte.

Scrive Munch: “Un giorno ho detto a Fru [Tulla Larsen] […] il matrimonio è d’impedimento lungo la via dell’arte”. Fu su questo punto che il rapporto tra l’artista e Tulla entrò in rotta.

Il connubio tra due portò alla realizzazione di “Testa a testa” (1905),  dove ritrae se stesso e Tulla. I volti dei due amanti non sono solo vicini ma sembrano fondersi in un’unica persona, i tratti stilizzati degli occhi , della bocca e del collo rimarcano ancora di più questa unione. Non c’è sfondo, solo le teste dei due amanti che con questo tratto ondulato sembrano abbracciarsi e diventare un’unica cosa. Era questo l’amore per Munch? Era la fusione completa di segno, gesto e colore? In quest’opera, che venne realizzata più e più volte, sembra di si. Ma non ci dimentichiamo che in alcune opere E. Munch ritrae la donna come un vampiro che ti cinge in un morbido abbraccio e allo stesso tempo di succhia energia vitale ( “La donna Vampiro” – 1895 ), in altre come una Madonna sensuale, provocante e sessuale contornata da spermatozoi ( “Madonna” – 1894-1902) e in altre ancora come una donna che distaccatamente abbandona la coppia (“La separazione” -1896).  Tutte queste opere delineano un uomo fortemente tormentato , angosciato, impaurito dall’esclusione, dal distacco , un uomo che tramutò le sue esperienza in opere che sembrano un pugno al cuore.

Tulla tentò anche il suicidio e questo turbò profondamente Munch, in quanto si sentì di essere caduto nella morsa del ricatto affettivo, imprigionando l ‘amore in una gabbia fatta di gelosia, ossessione e tormento. Il rapporto tra i due continuò fino a quando, nella loro casa di Åsgårdstrand, avvenne un litigio molto violento, a tal punto che Tulla sparò all’artista  ferendolo a una mano, da quell’episodio in poi i due non si rividero più. L’artista ricorda la fine della sua relazione con Tulla nel quadro “La morte di Marat” (1907), dove si vede un uomo disteso sul letto , nudo con le braccia distese (il braccio sinistro non si vede), e accanto a lui in piedi una donna, nuda anche lei , inespressiva, distaccata. Sulle lenzuola del sangue, un chiaro riferimento all’incidente avvenuto ai due amanti.  I due non si guardano, non si toccano; sembrano due estranei proprio come ormai è nella realtà.

Potrei continuare a raccontare tantissime storie di artisti e muse, di come senza di loro il mondo sarebbe stato più povero. Di come il loro essere fonte di ispirazione abbia permesso alla bellezza, ai sentimenti , all’arte di vivere e di arricchire le nostre menti. Quasi a confermare quello che i latini erano soliti dire , e cioè,  “Dotata animi mulier virum regit”, che in italiano suona più o meno così una “donna provvista di spirito d’animo sostiene il marito”.
Nel corso della storia questa frase è ritornata più e più volte e si dice che sia stata proprio Virgina Wolf a reinterpretarla e a renderla definitivamente intramontabile:  “ Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna.”

Ciò è vero anche in arte, dietro un grande artista c’è sempre una donna forte. Principalmente perché alle donne per molto tempo è stata preclusa l’arte ma ci sono esempi in cui la donna ebbe come “musa” un uomo.

E’ il caso di Frida Khalo e di Diego Rivera. Tralasciando per un momento che anche lui fu un grande artista , fu comunque l’uomo che più condizionò ed ispirò l’arte della famosissima pittrice messicana. La sua vita ebbe diverse battute d’arresto, una fra tutte il suo terribile incidente che la costrinse al letto per molti mesi e a portare un busto per tutta la vita. Ma non si buttò mai giù e affrontò tutto con grande dignità.

Quando incontrò per la prima volta Diego Rivera lei aveva solo quattordici anni e lui venti di più, lei era solo una studentessa, lui era già famoso sposato e con dei figli. A Frida non importò nulla della differenza di età, del suo essere volubile nei sentimenti, delle sue mille amanti. Lei era profondamente attratta dal suo carisma e nel 1929, all’età di 22 anni, lo sposò.
Poco dopo il matrimonio cominciarono a viaggiare e lei si rese conto dell’enorme differenza tra il Messico e il resto delle metropoli e fu allora che decise di iniziare a dipingere la sua terra di origine e la sua cultura. Il suo rapporto con Diego, fatto di amore e dolore, fu sempre tormentato e passionale, non si vergognò mai di quello che provava, di quello che le capitava (amore, dolore, tradimenti, aborti..); con la stessa bellezza con cui aveva affrontato quello che la vita aveva avuto in serbo per lei, traspose il suo matrimonio sulle sue tele. Un esempio fra tutte è l’opera “L’amoroso abbraccio dell’universo, la terra (Messico), io, Diego e il signor Xólot” (1949),  qui l’amore per Diego viene inserito  in una dimensione onnicomprensiva e assolutista. Ma non mancano quadri in cui lei  mette in mostra il dolore che Diego le provoca, come in “Qualche piccolo colpo di pugnale” (1935), dove una donna è stesa sul letto dopo che il compagno l’ha ripetutamente pugnalata.

C’è da dire che anche Diego Rivera ritrasse Frida, come ad esempio in “Desnudos sentado con brazos levantados”o in “Ritratto di Frida Kahlo” e molte altre opere dove la moglie compare in tutta la sua bellezza delicata e forte al contempo. Il loro amore venne “visto” da tutto il mondo , il loro fu un rapporto   intellettualmente e artisticamente alla pari,  l’amore , la stima e la passione che li legava furono da stimolo a entrambi.

Questo aneddoto è la prova  perfetta di come, in fin dei conti, anche una musa si può trasformare in artista (Frida Khalo) e un artista (Diego Rivera) si può trasformare in musa.

Paola Samaritani

14 Aprile 2021   |   articoli, storia   |   Tags: , , , , , ,