L’uomo di Piltdown compie 100 anni e qualcuno cerca ancora l’anello mancante

Pubblicato da

Il 18 Dicembre del 2012 è una data passata quasi inosservata ai più, ma non agli addetti ai lavori. Segnava infatti il centesimo anniversario dell’annuncio di Charles Dawson in Inghilterra, presso la Geological Society of London, della scoperta dei resti dell’Uomo di Piltdown (in realtà allora chiamato Eoanthropus dawsoni dal nome del suo scopritore).

piltdownI resti presentati mostravano un cranio con dimensioni dell’encefalo ridotte di circa un terzo rispetto all’homo sapiens e le mandibole quasi indistinguibili da quelle di uno scimpanzé. I ritrovamenti di Dawson, con l’aiuto di Arthur Smith Woodward custode del reparto geologico al British Museum, erano stati fatti per l’appunto a Piltdown in una cava di ghiaia, e sembravano giungere a puntino a confermare le idee sull’evoluzione dell’uomo che andavano per la maggiore nella comunità scientifica di quel periodo. Dawson infatti proponeva la sua ricostruzione come il famigerato anello mancante che doveva collegare l’uomo alle scimmie, in modo concorde al fatto che l’evoluzione fosse cominciata dal cervello.

Fin dai primi momenti le voci critiche su questi ritrovamenti furono numerose già nel 1913 David Waterson pubblicò su Nature la sua tesi secondo cui i frammenti del Piltdown erano in realtà una mandibola di scimmia e un cranio umano.

Ma per la conferma scientifica della truffa si è dovuto aspettare fino al 1953 quando il Time pubblicò le prove che i reperti erano costituiti da un teschio di uomo di epoca medioevale da una mandibola di orango vissuto 500 anni prima e alcuni denti di scimpanzé.

Dopo quarant’anni era più che evidente che l’uomo di Piltdown contraddiceva tutte le linee evolutive che si ottenevano dagli altri ritrovamenti in tutti i luoghi del pianeta.

Gli autori della truffa non furono mai scoperti, oltre allo stesso Dawson si hanno sospetti anche su Arthur Conan Doyle, Pierre Teillhard de Chardin e altri biologi e paleontologi meno famosi, ma di “smoking gun” non ve n’è traccia.

Per Charles Dawson però l’Uomo di Piltdown rappresenta solo l’apice di una carriera fatta di scoperte eclatanti ma quanto meno dubbie, tra le altre cose asseriva di aver ritrovato un dente di un ibrido rettile-mammifero e una statua in ghisa risalente al periodo dell’impero romano. L’archeologo Miles Russell analizzando criticamente la sua collezione privata ha catalogato almeno altri 38 casi di reperti indubbiamente falsi.

Ma a cosa serviva la truffa dell’Uomo di Piltdown? Apparentemente può sembrare solo un gioco di innocui biologi zuzzerelloni che quando non trovavano il reparto se l’inventano, in realtà era adattissima come prova “scientifica” per giustificare il razzismo. L’idea (sbagliata) che l’evoluzione cominciava dal cervello portava infatti a giustificare il razzismo verso le presunte razze umane (che oggi sappiamo inesistenti) con il cranio meno grande e quindi meno evoluto. In secondo luogo permetteva ai nazionalisti inglesi di dire che l’uomo si era evoluto sulla loro isola e non altrove.

Fatto sta che ancora oggi i creazionisti portano ad esempio la truffa dell’Uomo di Piltdown per sostenere che tutti i biologi che si occupano di evoluzione sono poco seri e pronti a tutto per confermare le proprie teorie. Dimenticando di dire che la beffa è stata scoperta da altri biologi grazie al buon caro vecchio metodo scientifico e che sono rimasti solo loro, oggi, ad aspettare qualcuno che gli porti un fantomatico anello mancante fra uomo e scimmia per permettergli di credere all’evoluzione biologica.

In realtà, come sa chiunque abbia dato anche un sguardo superficiale al tema dell’evoluzione biologica, di “anelli mancanti” ne sono stati trovati migliaia; solo che è un concetto ormai superato, si parla più correttamente di “forme di transizione” da quando è stato chiaro che non c’era una linea evolutiva retta ma centinaia di linee ingarbugliate fra loro.

Ma qualcuno all’anello (al naso) non vuole proprio rinunciare.

 

Alessandro Chiometti

3 Marzo 2013   |   articoli, filosofia e scienza   |   Tags: , , ,