Io non miro con la mano; colui che mira con la mano ha dimenticato il volto di suo padre.
Io miro con l’occhio.
Io non sparo con la mano; colui che spara con la mano ha dimenticato il volto di suo padre.
Io sparo con la mente.
Io non uccido con la pistola; colui che uccide con la pistola ha dimenticato il volto di suo padre.
Io uccido con il cuore.
Questo il giuramento, allenamento, mantra che i pistoleri di Gilead pronunciavano in difesa della loro città. La difesero finché poterono, fino all’ultimo uomo, fino a quando tradimenti e inferiorità numerica segnarono la fine della civiltà e il mondo andò avanti. O meglio, uno dei mondi che compongono la ruota eterna ed a-dimensionale del “karma kinghiano” collegati tutti ad una forse irraggiungibile, Torre Nera (da cui il nome della saga fantasy kinghiana) al centro nella quale risiede, forse, il potere sui mondi.
Chi meglio di Antonio Lanzetta, lo Stephen King italiano as the Sunday Times says, poteva capire il senso profondo del giuramento dei personaggi kinghiani che, al di là della retorica, impegna la scelta di chi giura protezione armata a un sogno, un re o a sua maestà la Vendetta?
“Il tempo dell’odio” (La Corte Ed. 2022, 224 pag. 18,90€) è ambientato negli anni della seconda guerra mondiale in Cilento.
Non è un libro sulla resistenza propriamente detta, ma sul male di cui gli uomini sono capaci, sull’odio e sul rancore. E su un modo di regolare i conti molto al di fuori del politically correct.
È una storia sul come la contingenza porta a diventare uomini in fretta, anche quando non hai l’età per esserlo.
È un libro sui mostri, che scelgono consapevolmente di essere tali perché non è mica vero che i mostri non esistono. Fascisti, bambini, militari, contadine, briganti e brigantesse, nazisti… non manca nulla nel libro di Lanzetta; neanche uno sguardo compassionevole agli animali, cosa che conoscendo l’autore non può mancare, in un momento in cui non ci poteva essere animalismo propriamente detto visto che non c’era spazio neanche per la semplice umanità.
È semplicemente un libro da leggere, una storia fuori dal buonismo e dalla retorica ma proprio per questo una di quelle storie che aiuta meglio a comprendere quegli anni particolari.
Al di là del complimento che il Sunday Times regalò all’autore salernitano ai tempi della trilogia dello Sciacallo, possiamo dire che Antonio Lanzetta ha ben compreso una cosa della scrittura del Re. L’importanza intrinseca nel raccontare storie.
Alessandro Chiometti
[foto del Terni-Narni Horror Fest 2021]