La satira e il sacro [Vernacoliere]

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Editoriale di Mario Cardinali sul numero del Dicembre 2006
del mensile di satira (in) Livornese "Il vernacoliere".

Non può certo meravigliare che il Vaticano abbia infine manifestato diretta irritazione per certa satira radiotelevisiva sul papa e su qualche suo contorno, nella fattispecie il segretario Georg e il cardinal Ruini.


Una satira invero bonaria – sia con Fiorello che con Crozza che con la Littizzetto, porgitori ciascuno delle battute preparate dai rispettivi autori e già filtrate dall'autocontrollo di sistema – ma la Chiesa ha pur da fare il suo mestiere: che è anche quello di richiamare i comici troppo irriverenti al rispetto della sacralità di cui essa s'investe ed alla quale pretende il generale ossequio. Ridere va bene, insomma, ma non vi allargate troppo.
Nessuna meraviglia per cotanto richiamo vaticano al gioco delle parti, quindi.
Curiosa è semmai la diffusa invocazione – rivolta ai satirici da tanti fedeli ma anche da parecchia gente autoprofessante laicissimi pensieri – al dover per forza scherzare anche sull'Islam e su Maometto, se non si vuole apparire vigliacchi a far satira solo sul papa e sulla sua religione. Ché per quello non c'è rischio d'esser condannati a morte.
Come ad ammonire che, se oggi ci fosse ancora il rogo per chi manca di rispetto al capo dei cristiani, ce lo sogneremmo di trattarlo senza alcun rispetto.
Ebbene: ai tempi del rogo, qui almeno in occidente, non ci siamo più. Perché c'è stato qualche cambiamento, da quei tempi. C'è stato l'illuminismo, tra le altre cose, c'è stato l'avvento della ragione che di tutto si vuol rendere conto e c'è stato il principio del dubbio a metter tutto in dicussione, compresa la sacralità di ciò che i roghi imponevano come sacro. E non c'è più un papa re, tra le altre cose.
C'è invece una costituzione, qui in Italia, che garantisce la libera manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione.
Ed è in questo occidente, in quest'Italia che si può far satira. Quand'anche ce la lascino fare i giudici, soli depositari del diritto nostro a poterla fare. Ché non c'è solo e soprattutto il vilipendio, a far limitare dalla legge penale la libera manifestazione del pensiero anche in campo religioso. C'è anche il modo di concepirla e definirla, la satira, il diritto alla quale è in fin dei conti affidato alla sensibilità dei vari giudici di merito. Una sensibilità anche oscillante fra interpretazioni opposte.
Una Cassazione penale del 1992 ha per esempio sentenziato che "la satira, l'ironia, l'umorismo per essere accettati come libera manifestazione del pensiero a norma dell'art. 21 Cost., devono essere innocenti, innocui, sorridenti". Le barzellette sulle parole incrociate, insomma. Mentre l'anno dopo la Corte d'Appello di Firenze, assolvendo lo scrivente da un'accusa d'offesa alla religione mediante vilipendio del papa, stabiliva che neppure i fatti, i simboli, le cose e le persone pertinenti alla religione possono ritenersi immuni dall'esercizio del diritto di critica e di satira, che costituisce "un'estrinsecazione tipica ed essenziale della libertà di manifestazione del pensiero".
Civiltà d'un paese anche questa, infine.
Ma si ammonisce tuttavia, oggi e in questo paese, a far satira anche sull'islam e sui suoi imam. Come se fossero costoro a volermi dettare qui in Italia il modo di vivere e di morire, di far l'amore e di procreare, d'abortire e di convivere con gli altri, di votare e di studiare, di pensare e di rispettare. Il rispetto che contro la satira irrispettosa oggi si torna di nuovo ad invocare qui da noi a scudo del "sacro", ipocritamente sfidando a dissacrare un'altra religione che non c'impone qui in occidente i suoi divieti, che non ci detta qui le sue regole di vita come le detta ai suoi seguaci nelle loro terre.
E non ce le deve dettare. Ché se volessero imporle anche qui da noi, allora sì che dovremmo opporci, ma non tanto colla satira che è infine rivolta a chi la può capire, in un occidente fecondato dalla ragione critica. Coi discorsi seri e coi fatti soprattutto, ci dovremmo opporre, col richiamo alla dignità civile dell'essere umano e della donna in particolare, che non ha da essere umiliata, tra l'altro, coi veli che la nascondono alla vita. Perché il fondamentalismo religioso delle menti non si scalfisce con la satira, che è un particolare esercizio critico dell'intelligenza bisognoso di sponde ricettive all'uso dell'intelligenza stessa.
Anche per i nostri fondamentalisti cattolici si potrebbe tornare ai roghi, se solo si potesse. Per questo ci sfidano a satireggiare sull'islam dell'intolleranza più feroce, come invocando una par condicio di paura. Ma ai roghi da noi non si può tornare, fortunatamente. Grazie anche ad una satira che può essere capita, in questo nostro mondo intriso di pensiero dissacrante. Dove al massimo i fondamentalisti della fede possono brigare per portarti in tribunale. Che può essere anch'esso, tuttavia, un luogo di ragionevole pensiero.

Mario Cardinali

30 Novembre 2006   |   articoli   |   Tags: