La santa inquisizione – parte II

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Le prigioni e la tortura

 Il tribunale dell’ Inquisizione era aperto da una invocazione allo Spirito Santo e da una preghiera alla misericordia di Dio ed accanto al cavalletto per la tortura pendeva un grosso crocifisso.

inquisition-wheelAlla vittima non era concessa alcuna forma di difesa o di tutela legale, al contrario durante l’inchiesta sugli accusati erano consentiti espressamente tutti i mezzi atti a trarli in inganno. La Chiesa utilizzava anche scritti anonimi, senza trascurare di esortare direttamente alla delazione. I figli che non avessero denunciato i genitori eretici dovevano essere certi della perdita del patrimonio. Gli “eretici” che si dichiaravano pentiti venivano condannati a punizioni quali il digiuno, il pellegrinaggio, il pagamento di ammende in denaro e spesso per anni dovevano portare sugli abiti segni di riconoscimento, usanza che la Chiesa, secoli prima dei nazisti, avevano già utilizzato con gli ebrei.

Le autorità civili erano chiamate ad eseguire senza porre alcun ostacolo le sentenze di morte: si raccomandava loro di avere pietà e trattare i condannati con misericordia ma li si scomunicava se la sentenza non veniva eseguita: insuperabile alchimia ipocrita che serviva a salvare la faccia dei veri assassini che potevano considerarsi innocenti della morte dei condannati.

Le prigioni erano luoghi di un orrore inimmaginabile, strette e buie, prive di qualunque illuminazione, piene di immondizie e di fetore, dove i condannati scontavano una pena peggiore della rapida morte sul rogo, spesso per lunghi anni senza essere né condannati né assolti. Così un uomo chiamato Wilhelm Salavert , interrogato la prima vota il 24 febbraio del 1300, fu condannato il 30 settembre 1319, dopo diciannove anni di sofferenze e a Tolosa, una donna fu perdonata e condannata a portare la croce dopo aver trascorso trentatre anni nella prigione locale. Le vittime erano stipate a mucchi in uno spazio angusto, in buchi putridi e maleodoranti, in ambienti generalmente sotterranei, non di rado incatenate al muro, nutrite a stento a pane e acqua, spesso per anni e per tutta la vita, dove si consumavano finché impazzivano o morivano di stenti e di malattie infettive. La pratica della tortura venne ufficialmente prescritta ed inserita nel diritto canonico da papa Innocenzo IV nella bolla “ Ad exstirpanda” del 1252 e negli anni seguenti confermata da Alessandro IV e Clemente IV. Nel 1261 Urbano IV concesse che gli inquisitori , ai quali nel corso di una pratica di tortura fosse morto un inquisito, potessero assolversi reciprocamente, perché torturare a morte qualcuno non era permesso ma si veniva liberati da ogni colpa se un confratello dell’inquisitore colpevole lo assolveva al momento con la formula magica “ ego te absolvo”.

All’inizio del XIV secolo anche papa Clemente V ordinò la tortura durante lo sterminio dei Templari e non si esitava a torturare e uccidere anche monaci, come avvenne agli “Spirituali” che tendevano a uno stile di vita ispirato alla primitiva regola francescana ( centotredici di loro furono torturati e bruciati nel 1358 a Carcassonne). I tipi di tortura, come espressamente scritto nei manuali, non erano fissati dal diritto canonico ma lasciati all’arbitrio dell’inquisitore: era vietata solamente la tortura per la seconda volta ma questo divieto veniva aggirato chiamando la seconda o la terza e quarta seduta come “continuata” e non “ripetuta” anche se avveniva a giorni di distanza. Fra Bernardo Rategno, nel suo trattato “ Lucerna inquisitorum haereticae pravitatis”, si dilunga sui diversi possibili tormenti da usare: attanagliamento con ferri roventi, bruciatura dei piedi, cavalletto con smembramento degli arti, fustigazione, corda con e senza squassi(pesi), ordalia dell’acqua bollente o gelata, ruota con smembramento, punture con spilli, veglia forzata, impalamento ecc..).

Il canonista spagnolo Francisco Pena ( 1540-1612) così si esprimeva : “ Lodo senz’altro l’abitudine di torturare l’imputato, soprattutto di questi tempi: bisogna ricordare che lo scopo principale del processo non è salvare l’anima del reo ma procurare il bene pubblico e terrorizzare il popolo. Se un innocente viene ingiustamente condannato non deve lamentarsi della sentenza della Chiesa e se dei falsi testimoni l’hanno fatto condannare a morte egli deve accettare la sentenza con rassegnazione e rallegrarsi di morire per la verità!”(4)

Un manuale che non mancava mai nella disponibilità dell’inquisitore era il “ Malleus maleficarum”, edito per la prima volta a Strasburgo negli anni 1486-87, un vero e proprio vademecum del processo che indicava nei dettagli tutti gli accorgimenti consigliati per ingannare l’inquisito, i modi per estorcergli la confessione, i tipi e l’intensità dei tormenti da infliggere: tale manuale, scritto da due domenicani, Heinrich Institor ( Kramer) e Jakob Sprenger come guida alla caccia alle streghe , divenne un vero best-sellers dell’epoca, adottato da tutti i tribunali dell’Inquisizione e divenuto, nel tempo, a seguito di innumerevoli ristampe, secondo per edizioni e diffusione solamente alla Bibbia.

Anche il limite di età era incerto: senza limiti , ovviamente, verso l’alto mentre per i giovani i concili di Tolosa, Albi, Béziers lo fissarono a quattordici anni , ma ci furono autorità ecclesiastiche che lo abbassarono: il “Sacro Arsenale” dell’inquisitore domenicano Tommaso Meneghini lo ridusse fino a sette anni e autorizzava anche la flagellazione dei minorenni.

Per quanto riguarda i testimoni l’inquisitore papale Royas, attivo in Francia, aveva come principio:

I testimoni che dicono male di un eretico sono da preferire a quelli che lo discolpano”. In generale si volevano ascoltare solo testimoni a carico. Donne, bambini, servi, ebrei, infami, delinquenti, spergiuri, scomunicati, gente che secondo la visione della Chiesa era priva di ogni diritto e inadeguata a testimoniare, erano tuttavia ammessi a farlo qualora fossero testimoni di accusa, ma mai a difesa. Gli stessi testimoni potevano essere torturati per indurli ad accusare l’inquisito.

Candidamente un francescano , Bernardo Delicieux, confessava : “ Le osservazioni degli inquisitori non meritano alcuna fiducia perché perfino San Pietro e San Paolo, se interrogati col metodo degli inquisitori, sarebbero condannati per eresia”.

Uno specialista nella tortura non cruenta si rivelò Mattew Hopkins (XVII sec.), avvocato dell’inquisizione, che costringeva le vittime a camminare anche per giorni interi fino allo sfinimento e alla confessione.

Eraldo Giulianelli

 

4) Francisco Pena: Commentario al manuale dell’inquisitore Eymerich – 1578

27 Ottobre 2013   |   articoli, storia   |   Tags: , , ,