La pillola dei cinque giorni dopo arriva tre anni dopo. E solo se non serve

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Quella della pillola dei cinque giornidopo è una storia emblematica per il nostro paese, sempre così attento, al di là di chi lo governa, a non calpestare la sensibilità di quei pochi che vorrebbero convertire in legge l’oscurantismo della loro religione.

Partiamo dall’inizio. È il maggio 2009 quando l’Emea, l’agenzia europea del  farmaco, autorizza la commercializzazione di EllaOne (ulipristal acetato), un contraccettivo d’emergenza che ritarda o inibisce l’ovulazione se assunto entro 120 ore da un rapporto a rischio. Nel gennaio 2010 la casa produttrice fa richiesta all’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) per ottenere i relativi permessi su suolo italiano, ma il ministro della Salute Ferruccio Fazio interrompe l’iter per chiedere che il Consiglio superiore di sanità chiarisca se Ellaone è davvero un farmaco contraccettivo o non, piuttosto, abortivo. Per circa un anno cala il silenzio sulla vicenda, tant’è che la maggior parte della popolazione italiana non sa neanche cosa sia la pillola dei cinque giorni dopo, già usata con successo dalle donne di molti paesi europei. Finché i senatori Poretti e Perduca (Radicali italiani), nel maggio 2011, presentano al ministro della Salute un’interrogazione parlamentare e la vicenda comincia finalmente ad acquisire un minimo di visibilità. Si arriva così al luglio scorso, quando il Consiglio superiore di sanità esterna  finalmente il suo parere (non vincolante): EllaOne non è un farmaco abortivo e quindi non può essere somministrato in caso di gravidanza accertata. Bisognerebbe perciò prescriverlo solo dietro presentazione di test di gravidanza ematico negativo. Nonostante gli evidenti paletti posti dal Consiglio superiore di sanità, qualche solerte cattoparlamentare bipartisan ha comunque da ridire e redige una nota in cui chiede al governo di fermare immediatamente l’introduzione della pillola dei cinque giorni dopo perché «il via libera da parte del Consiglio superiore di sanità a questa pillola per la contraccezione d’emergenza è un ulteriore passo verso la trasformazione dell’aborto in contraccezione». La probabilità di successo della richiesta è scarsa, ma intanto si mette qualche altro bastone tra le ruote del progresso in modo tale da ritardare la discesa agli inferi di tutto il paese.

Arriviamo così all’inizio di ottobre 2011, quando la Commissione tecnico-scientifica dell’Aifa dà finalmente il via libera alla commercializzazione pur recependo in toto il parere (non vincolante!) del Consiglio superiore di sanità. EllaOne, dunque, potrà essere prescritto esclusivamente dietro presentazione di test di gravidanza ematico negativo. Della serie: ti diamo la pillola solo se non ne hai bisogno.  Ora dovremo aspettare la pubblicazione in Gazzetta ufficiale e tutti i tempi burocratici connessi. EllaOne arriverà nelle farmacie italiane non prima della primavera del 2012, ossia esattamente tre anni dopo il placet europeo.

A parte il vergognoso ritardo di civiltà che costerà una quantità non stimabile di aborti (presumibilmente chirurgici, visto lo stato in cui versa una parente stretta di EllaOne, la pillola abortiva Mifegyne – ex Ru486), rimane l’assurda misura del test di gravidanza, non richiesto da alcuno dei paesi in cui la pillola è già in commercio (tanto per avere un’idea: America, Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Gran Bretagna, Olanda, Finlandia, Svezia, Lituania, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Danimarca, Norvegia, Spagna, Austria, Grecia, Polonia, Lettonia, Lettonia, Portogallo e Romania). L’efficacia della contraccezione di emergenza è direttamente proporzionale alla sua tempestività. Se nelle 120 ore seguenti al rapporto a rischio ci devono rientrare il prelievo venoso, i tempi di analisi, il ritiro del referto, la ricerca di un medico non obiettore che prescriva la pillola e quella di un farmacista non obiettore che la venda (a Vaticalia ne abbiamo a iosa, anche se fuorilegge), la probabilità di successo del farmaco diminuisce considerevolmente.

Così commenta la decisione dell’Aifa Silvio Viale, ginecologo di Torino che si è battuto per l’introduzione della pillola abortiva (Ru486) e presidente dei Radicali italiani: «Il test di gravidanza per assumere la contraccezione di emergenza ha l’unico obiettivo di ritardare l’intervento e renderlo meno efficace, con la conseguenza di aumentare le gravidanze indesiderate. Quello ematico è ridicolo, poiché allunga i tempi e non ha alcun vantaggio rispetto al test sulle urine. È una disposizione contro le donne e la loro salute che non verrà rispettata, tranne da chi la userà come pretesto per non prescriverla». E continua: «E’ una figuraccia, che mi auguro che il CdA dell’Aifa abbia il coraggio di rimettere in discussione: non vi è nessun Paese e non vi è alcuna agenzia del farmaco che abbiano subordinato la contraccezione di emergenza a un test di gravidanza, meno che mai ematico».

Tra un premier che ha creato un sistema di potere sulla mercificazione del corpo femminile e i continui veti oscurantisti sulla loro salute e i loro diritti (fatti salvi quelli di vendersi al miglior offerente), questo non è proprio un paese per donne.

Cecilia M. Calamani

25 Ottobre 2011   |   in evidenza   |   Tags: , , ,