Il parlamento francese ha varato una legge che impedirà ai siti internet di fare disinformazione contro l’aborto. Pena: fino a due ani di reclusione per i responsabili legali del sito e trentamila euro di multa.
Cosa si intende per disinformazione? In pratica, come annunciava lastampa.it il 29 Novembre scorso: la legge riguarda quei siti internet che «inducono deliberatamente in errore, intimidendo o esercitando pressioni psicologiche o morali» con l’obiettivo di dissuadere il ricorso all’aborto.
Quindi non c’è niente di cui meravigliarsi perché in Francia c’è già il reato di “ostacolo all’interruzione volontaria di gravidanza”, cosa che in un paese come il nostro in cui i medici obiettori di coscienza verso l’aborto sfiorano il 65% può sembrare assurdo.
In realtà è assurdo, in uno Stato che ha la pretesa di essere laico, ostacolare e sottoporre la donna a terribili violenze psicologiche prima, dopo e durante le sue scelte in nome di convinzioni morali, etiche e religiose proprie solo di una parte della popolazione.
E’ assurdo che una donna sia costretta a morire perché si trova in un ospedale in cui il chirurgo, essendo obiettore di coscienza, non vuole praticare l’aborto che potrebbe costargli la vita.
È altresì assurdo che nessuno abbia mai verificato se chi si dichiara obiettore di coscienza nel servizio pubblico poi faccia aborti a pagamento nelle cliniche private.
Chi può essersi quindi arrabbiato qui da noi di questa estensione francese del reato di “ostacolo all’interruzione di gravidanza”? Ovviamente coloro che in questo paese hanno costruito le proprie carriere, mediatiche e non, sull’evangelizzazione delle genti mediante il proponimento di balle stratosferiche.
Ovvero chi mostra feti di 8 mesi spacciandoli per feti di poche settimane o finanche per embrioni; o chi va in giro a dire che le pillole abortive fanno venire il cancro, la sterilità, l’acne, il buco dell’ozono, i terremoti e le invasioni di cavallette; o chi insulta i medici abortisti sia in pubblico (in realtà pochi fanatici estremamente aggressivi) o sul web (il foltissimo branco di leoni da tastiera sempre più prolifico).
Si parla tanto del fenomeno delle “bufale”, tutti condannano la loro proliferazione, tutti condividono che si dovrebbe far qualcosa per arginare il fenomeno, però poi quando un paese fa qualcosa di concreto contro un tipo di bufala particolarmente violenta, fastidiosa e vigliacca di improvviso si ricordano tutti della libertà di espressione.
Questa, ricordiamolo, non significa né libertà di insulto né libertà di praticare violenza fisica o verbale contro gli altri, ma di esprimere la propria opinione in modo pacifico per quanto deciso.
Quindi nessuna “fine della libertà” come scrive Costanza Miriano sul suo blog né tanto meno nessuna legge che “impedisce di difendere la vita” come scrive con sprezzo del ridicolo il ben più importante “Avvenire”.
Semplicemente una legge di civiltà che pone un argine ad una forma on line di violenza psicologica e disinformazione.
E in Italia invece ancora permettiamo un’assurda e anacronistica obiezione di coscienza che, davvero, non ha nessun senso di esistere se non quello di accontentare il Vaticano in cambio di manciate di voti.
Alessandro Chiometti