La deriva dei continenti e la guerra delle vignette [Eretica]

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* Articolo di Miguel Martínez – che ringraziamo per averlo condiviso con noi –
apparso sul n.1/2006 della rivista trimestrale "Eretica"

La vicenda delle vignette olandesi che deridono il profeta dell'Islam è una sorta di lapsus planetario, che ci rivela cose importanti sulla natura del nostro mondo.
 


Tra i piromani che parlano di scontro di civiltà, e i pompieri che si affannano a negarlo, voglio sostenere una terza tesi.

Che esiste una deriva dei continenti, cioè una spaccatura sempre maggiore tra il complesso dei paesi dominanti che chiamiamo "Occidente" [1] e la grande varietà dei paesi dominati. Una spaccatura non solo economica, ma che riguarda lo stesso modo in cui gli esseri umani vivono la propria vita.

Nella sua famosa opera, Samuel Huntington dedica più spazio alla "civiltà islamica" che alla stessa "civiltà occidentale". La domanda principale che lui si pone, dunque è, "perché loro sono strani, e come possiamo controllarli?"

Mentre l'idea della deriva pone l'accento proprio sul continente che si muove di più, e quindi si allontana di più dagli altri: il continente Occidente. La domanda fondamentale diventa così l'unica che ci competa: "perché noi siamo strani, e come possiamo controllarci?"

La deriva dei continenti è inseparabile dal grande rimosso, cioè dalla questione dell'imperialismo. Ma è anche inseparabile – e qui sorgono problemi con i marxisti "tradizionali" [2] – da tutto l'immaginario che l'accompagna, e cioè da elementi mitici, mediatici, religiosi e comportamentali.

Lo scandalo senza contenuto

La faccenda delle vignette è grottesca, e questo non è casuale.

Gli sciocchi ci incitano a confrontare la "libertà di stampa dell'Occidente" con "le dittature del Terzo Mondo".

Hanno ragione, ma la cosa non ha nulla a che vedere con un modello superiore di civiltà. Semplicemente, noi viviamo nell'era del capitalismo totalitario, dove sono le imprese, e non più i politici, a decidere del nostro destino.

Ora, i media sono tra le principali imprese dei nostri tempi. E quindi la libertà di cui gode oggi chi ha la fortuna di possedere i media è uguale alla libertà di cui gode chi oggi ha la fortuna di possedere una finanziaria.

La questione non è la libertà di espressione, ma quella completamente diversa, della libertà dell'impresa mediatica.

Tolto il freno della politica, la concorrenza tra prodotti mediatici genera un ottundimento della sensibilità e una ricerca di forme sempre più elementari – e quindi infantili – per attirare l'attenzione.

Siamo passati così in meno di quindici anni dal piano ancora nobile della letteratura, con lo scandalo Rushdie, a ciò che il blog Haramlik definisce, fare pappappero a Maometto.

Ogni sistema economico genera un proprio tipo umano. Quello dei media, ha prodotto la casta dei guitti che sanno conciliare l'infantilismo scandalistico con la predicazione moralistica.

Lo scandalo senza contenuto è la sua forma tipica di espressione: la televisione ha creato la colorita presenza di Vladimir Luxuria [3], i pruriti erotici del Grande Fratello e l'amante di Amedeo d'Aosta che ogni settimana a Domenica In racconta come procede la sua gravidanza.

Nel ciclo dell'industria culturale, lo scandalo crea l'illusione della trasgressione, e quindi diventa una falsa ribellione. Perciò, sono spesso le persone che si ritengono di sinistra a gettarsi a difesa dello scandalo senza contenuto, contro i presunti bigotti che lo criticano.

In realtà, lo scandalo senza contenuto è trasgressivo quanto un bordello per soldati gestito dall'esercito: mentre si raggiungono vette sempre più immaginifiche di pratiche sessuali, la disciplina generale non viene mai messa in dubbio.


Vignette e imprese mediatiche

Possiamo capire così alcuni aspetti della vicenda delle vignette.

Prima di tutto, è assurdo proporre un confronto tra la "libertà di stampa" in Europa e nei paesi islamici.

Secondo,  i media hanno la necessità strutturale di creare scandalo.

Terzo, questo scandalo deve essere senza contenuti, per non intaccare minimamente il dominio.

Quarto, la macchina dello scandalo che non può offendere i valori del consenso, finirà inevitabilmente per aggredire i valori di chi è fuori dal consenso, e cioè – in questi tempi – dei musulmani .

Quinto, questa spaventosa creatura ultima del capitalismo sarà inevitabilmente difesa da molte voci di sinistra.

Sesto, la retorica contesa tra "rispetto" e "libertà" è una mistificazione. Le imprese mediatiche, per loro natura intrinseca, cercano il massimo di profitto e quindi il massimo di scandalo. Gli unici freni che conoscono sono di tipo oggettivo: multe, boicottaggi, bombe, sequestri o interessi politici dei loro padroni.

Il Luogo Comune e il culto della modestia

La trasgressione apparente delle vignette suscita in tutto l'Occidente reazioni stereotipate e trasversali. Basti ascoltare qualunque salotto televisivo o leggere qualunque editoriale per sentire, all'incirca, questo discorso:

"Certo, le vignette erano di cattivo gusto, ma i musulmani dovevano rispondere civilmente e all'interno delle istituzioni e comunque la libertà di espressione è sacra". [4]

L'Occidente ha conosciuto conflitti tremendi. Ma ormai i comportamenti standardizzati prevalgono di gran lunga sulle differenze, che sono diventate sempre più differenze di gusti personali o di tifo sportivo-politico.

La differenza vera esiste quando manca un luogo comune, cioè parametri condivisi che permettono di capirsi. È inimmaginabile una discussione a tre tra Goering, Trotzky e Pio XI . È perfettamente proponibile un dibattito televisivo a tre tra Fini, Bertinotti e Ratzinger.

Questo vuol dire che esiste, in sostanza, un'unica ideologia occidentale. Questa ideologia, che unisce Fini, Bertinotti e Ratzinger, è considerata talmente evidente, da non richiedere alcuna teorizzazione. Sono i nostri valori e basta, in genere definiti solo in contrasto con qualche "Altro" caricaturale: Stalin, Hitler, Bin Laden.

L'ideologia del neo-Occidente è il buon senso condiviso di una frazione dell'umanità che sa intimamente di essere dominante, o si consola sentendosi salva almeno in questo. La mentalità del dominante non penetra solo tra chi partecipa davvero al saccheggio imperiale del mondo. No, la ritroviamo anche tra le tifoserie calcistiche, i disoccupati del Sud o gli operatori dei call center del Nord.

Tanto è sicuro il suo dominio, che l'occidentale sa godere – come i veri signori – anche della propria modestia. Ecco che si vanta non solo della forza delle sue armi, ma anche e forse soprattutto della propria tolleranza e ragionevolezza.

Questo culto della modestia è il prodotto di due grandi processi paralleli. Da una parte, un capitalismo sempre più virtuale ha portato allo smantellamento delle grandi istituzioni, chiese, fabbriche, eserciti, partiti. Ha posto fine al modello dell'uomo del Novecento: quella figura incisa su migliaia di statue grigie sotto regimi liberali, sovietici, fascisti. L'Uomo del Novecento era anonimo, solenne, pronto a uccidere e a sacrificarsi; era un milite.

Dall'altra parte, il gigantesco e sempre crescente processo della persuasione occulta, la bolla di immagini, di logo e di musica in cui viviamo immersi ormai sin dalla prima infanzia – tutto questo lavora sulla nostra intimità, ed è sostanzialmente un processo di seduzione, che sfrutta i sette tradizionali vizi capitali, superbia, invidia, ira, avarizia, accidia, gola, lussuria: esattamente ciò a cui l'uomo-milite opponeva resistenza.

Inoltre, la seduzione delle merci si rivolge soprattutto a due categorie trascurate ai tempi dei militi, ma decisive per gli acquisti: le donne e i bambini.

Il bambino che riesce a ricattare i genitori perché gli comprino il giocattolo appena visto in televisione, la moglie che riesce a imporre al marito di contrarre un mutuo che non si potrà mai pagare, sono entrambi parassiti rassegnati, perché sfruttano un bonario padre-padrone che "porta in casa lo stipendio", e soprattutto sono servi perché recitano il ruolo assegnato loro dal dominio. Ma quel ruolo è un ruolo di apparente protagonista, per cui l'asservimento è vissuto come liberazione illusoria.

La violenza del sistema non cambia, ma viene meccanizzata, delegata ai mercenari e ai disperati, goduta come videogioco; mentre la coscienza di sé che ha il dominante passa da quella del soldato delle Termopoli, a quella del bambino capriccioso e vittimista. Mentre i suoi eserciti devastano il mondo, egli deve, incredibilmente, dire, "loro ci attaccano".

La Grande Nave dei Popoli Civili

Questa riflessione ci aiuta a capire altre cose sulla guerra delle vignette.

Prima di tutto, l'occidentale è strutturalmente incapace (fatti salvi gli individui) di mettersi in discussione, perché ha interiorizzato la propria posizione dominante. Invece i non occidentali si mettono in discussione in ogni momento, proprio perché sono coscienti della propria subordinazione. Mentre i media arabi si dedicano incessantemente a domandarsi dove abbiamo sbagliato noi, i media occidentali si chiedono, perché loro sono malati, e come possiamo schiacciarli (a destra) o come possiamo curarli (a sinistra).

Nella vicenda delle vignette, i media occidentali hanno guardato soprattutto ai musulmani – "perché e quanto sono matti". Sull'Occidente, hanno promosso una contesa barocca sul tema, "il Rispetto deve prevalere sulla Libertà?" Un dilemma che dà un'idea impressionante dell'autoesaltazione mistica di un mondo che si immagina guidato da principi assoluti ed eterni: trovata la maniera più nobile di conciliare tali principi, la Grande Nave dei Popoli Civili virerà in quella direzione.

La contesa di Rispetto e Libertà maschera l'unica vera domanda onesta – fino a che punto la necessità vitale delle imprese mediatiche di lanciare prodotti-scandalo sempre più arditi, e quella dell'Occidente di sentirsi unito nell'odio verso gli altri, si può conciliare con l'esigenza di evitare che gli immigrati diano fuoco alle città in cui viviamo?

Secondo, la retorica dell'Occidente è, oggi, di "sinistra" e non di "destra". Fa appello all'individuo standardizzato e non al milite. Quindi, giustifica il culmine della violenza del capitalismo – dalle vignette fino all'annientamento di Fallujah – parlando di tolleranza, di democrazia, di diritti delle donne, di libertà di stampa.

Questo è vero anche da parte di coloro che esaltano un'improbabile cristianità che avrebbe dato all'umanità la libertà di coscienza e il libero mercato; una forma di falsificazione storica che ha raggiunto il suo apice umoristico nella recente sentenza del Consiglio di Stato che dichiara il crocifisso simbolo di laicità. [5]

Il distacco antropologico tra il milite e l'individuo standardizzato è strettamente legato ai modi di produzione e di consumo, diversi tra dominanti e dominati.

Infatti, nella periferia del mondo, il milite sopravvive ancora. L'immagine dei giovani di Hezbollah, come quella del guerrigliero colombiano, ricorda certe immagini del passato, e si possono associare al fascismo. In realtà, il milite non era certo solo quello fascista: basti pensare all'immagine dei soldati americani che innalzano la bandiera a Iwo Jima, o alle statue che affollano Israele, per non parlare di un'immenso e rimosso repertorio comunista.

Ma sfruttando la deriva dei continenti, è facile creare l'associazione visiva tra resistenza antimperialista e fascismo, e ciò permette di neutralizzare con grande efficacia quelli che dovrebbero essere gli alleati dei resistenti in Occidente.

Ecco che la maggioranza della sinistra occidentale ha interiorizzato l'identificazione con l'Occidente, ovviamente con un Occidente "buono" che non dovrebbe esportare bombe, ma "non violenza", spingendo i popoli del Terzo Mondo ad agitare bandiere arcobalene davanti ai carri armati.

Uomini cattivi

Da parte pacifista, si insiste sulle strumentalizzazioni che accompagnano la guerra delle vignette.

Qualcuno parla di una deliberata intenzione da parte dell'ambiente neocon americano e in particolare di Daniel Pipes, personaggio vicino all'editore del Jyllands Post, di precipitare uno scontro planetario, rafforzando l'unità dell'Occidente. E sicuramente, in ogni angolo del mondo, c'è chi ci ha marciato.

Come Roberto Calderoli che al costo di undici morti, guadagna qualche migliaio di voti alla Lega. O il governo fantoccio della Cecenia, massacratore di musulmani, che ha colto furbescamente l'occasione per cacciare l'unica ONG che segue la questione dei diritti umani nella zona, con il pretesto che è danese.

Però questa lettura, se diventa esclusiva, può essere fuorviante.

I pacifisti vogliono dimostrare che i conflitti nel mondo vengono creati da malvagi politici e preti ("Bush uguale Bin Laden", "Bin Laden creatura di Bush"), e che gli esseri umani qui come lì ne sono le innocenti vittime.

Si trascura poi il fatto che la strumentalizzazione è parte inevitabile di ogni processo mediatico. Se Ferruccio de Bortoli ha creato, impacchettato e venduto il Prodotto Fallaci, quell'infame merce si è diffusa nella società italiana anche grazie a una serie infinita di microstrumentalizzazioni, come l'artista sconosciuto diventato famoso semplicemente informando la stampa di aver dipinto un quadro in cui si vedeva decapitata la miliardaria fiorentina, o i politici locali che si sono creati una nicchia mediatica denunciando proprio questo artista.

Ma un cerino acceso su un ghiacciaio ha un effetto ben diverso che su una polveriera: si possono strumentalizzare con successo solo forze che esistono realmente.

Il Prodotto Fallaci ha avuto un successo straordinario, perché è stato accesa nella polveriera della néoconnarderie di massa, cioè dei luoghi comuni, dei risentimenti, delle angosce dell'individuo standardizzato occidentale.

Ma esiste anche una grande forza dall'altra parte.

 
La dialettica del Servo e del Padrone

Gilad Atzmon, musicista jazz palestinese di lingua ebraica, ci ha offerto una lettura della parabola di Hegel sul padrone e il servo, nel contesto dello scontro israelo-palestinese.

Il Padrone gode con la forza del riconoscimento del Servo, che però proprio perché forzato, gli lascia l'amaro in bocca; mentre il Servo si impegna continuamente nella ricerca, proprio per ottenere, con ogni mezzo, il riconoscimento della propria umanità.

La ribellione del Servo non è solo un tentativo di cambiare la situazione: la violenza delle sue rivolte ha anche il chiaro intento di mandare un messaggio.

Da qui, l'intelligenza, o l'astuzia degli oppressi; e l'ottusità degli oppressori.

Il Terzo Mondo è ovviamente pieno di padroni, come il cosiddetto Occidente è pieno di servi; ma nel complesso, il rapporto simbolico tra i due mondi è quello tra padrone e servo.

Non è solo questione di sfruttamento economico, ma anche dell'arroganza che si dimostra nel fatto che non si dichiarano più guerre: i servi si puniscono, non si combattono. Il servo in armi non è un nemico, ma una canaglia. A porre fine alla punizione, non c'è il trattato, ma il trionfo romano.

Che in versione moderna, è la foto dell'umiliazione di Saddam Hussein, con barba e capelli incolti come li aveva certamente Vercingetorige, contro un asettico muro di piastrelle – le piastrelle di tutte le carceri, scuole e manicomi del pianeta – mentre una figura dalla testa pelata gli esplora la bocca con una lampadina.

La vicenda delle vignette sono il discorso che il Padrone rivolge al Servo:

"io ti posso insultare, gratuitamente, come e quando voglio.

Tu non mi potrai fare nulla, perché su di te vegliano bombardieri e satelliti e telecamere e leggi speciali e Centri di permanenza temporanei e Guantánamo e i marines e milioni di spie.

E io ti ho messo in una situazione tale, che ogni tua reazione potrà solo rendere più strette le catene che ti legano".

E' un gesto di libertà, della libertà che dà il dominio. E mentre la polizia, da Benghazi a Kabul  alla Somalia abbatte i manifestanti, il Padrone con sorriso innocente, commenta, "ma era solo una vignetta! Lo sapevo che i servi non hanno il senso dell'umorismo".
 

La Vergine e l'ira del Servo

L'ira del Servo esplode con una tremenda carica emotiva, con un intenso coinvolgimento dei corpi, delle mani, delle voci, della memoria, dei sentimenti. Ed esplode attorno a un nucleo centrale di sacro.

Su questo argomento, è facile cadere in due errori opposti. I sostenitori dello scontro delle civiltà devono rimuovere ogni ragione storica, per mascherare la realtà dell'imperialismo. Per questo motivo, dicono che è tutto religione. Isolano l'Islam come se fosse sempre perfettamente uguale a se stesso, nel tempo e nello spazio, da Muhammad a oggi, dalle foreste delle Filippine alle fabbriche di Birmingham. Ora, un ente che è al di sopra delle persone che vi credono è un ente metafisico: in questo senso sono più conseguenti quei gruppi marginali di cristiani che ritengono che Allah esista, e sia un demone in guerra eterna contro il vero Dio.

Al contrario, altri cadono nell'errore speculare di dire che è tutto politica, che la religione è un mero pretesto occasionale, di cui è sgradevole parlare, e che inquina lotte che sarebbero altrimenti giuste. I palestinesi vanno benissimo, purché senza Hamas…

È utile uscire qui dal chiuso del discorso sull'Islam, spostandoci in Messico. La Virgen de Guadalupe, la Madonna dal volto indio che sarebbe apparsa al contadino Juan Diego Cuauhtlatoatzin ("Colui che parla come l'aquila") pochi anni dopo la conquista del Messico da parte degli spagnoli [7], divenne simbolo totale della nazione. Da una parte indicava che la cristianizzazione del Messico, la sua sottomissione al doppio dominio della Chiesa e della Spagna, era voluta da Dio; e gli stendardi con le immagini della Virgen, che accompagnavano gli eserciti conquistatori, venivano insigniti di titoli militari.

Allo stesso tempo, la Virgen divenne il simbolo dei proprietari terrieri e preti, bianchi ma nati in Messico, contro i funzionari spagnoli. E ancora, la Virgen è oggi il punto di forza di una gerarchia sempre più legata ai Legionari di Cristo, esaltatori del capitalismo, della potenza militare americana e dello scontro di civiltà.

Eppure, la Virgen de Guadalupe è Tonantzin, "Nostra Piccola Madre", dea precolombiana della terra e del grano, il cui principale santuario si trovava esattamente dove la Madonna sarebbe apparsa a Juan Diego, sulla collina di Tepeyac: "io sono la Madre di tutti voi che vivete in questa terra", dice la Signora all'anziano indio.

Nel 1810, il parroco Miguel Hidalgo y Costilla, lanciò una delle più grandi e terribili insurrezioni contadine di tutti i tempi, sotto lo stendardo della Virgen. L'insurrezione di Hidalgo fu molte cose: una rivolta contro gli "atei e massoni" che comandavano a Città del Messico – con qualche affinità con le Vandee e le insorgenze europee -, una rivolta in nome dell'uguaglianza radicale che si avvicinava al comunismo, una ribellione razziale degli esclusi, ispirata allo stesso illuminismo che negava, un tentativo di ritornare alla mitica democrazia medievale della Spagna, una rivincita indigena che mirava a restaurare la gloria azteca.

Si possono trarre paralleli con tutti quei movimenti che creano dubbio, diffidenza e tremore di mani alla sinistra italiana – i movimenti maoisti dell'India, Hamas, le rivolte delle bainlieues, il movimento di Ollanta Humala in Perù.

Chiunque sia stato a Città del Messico nei giorni della festa della Virgen, osservando centinaia di migliaia di giovani contadini, vestiti con le magliette e le scarpe da ginnastica di scarto che caratterizzano tutta la periferia dell'Impero, che corrono, con candele in mano, di notte, verso il santuario, certamente non sotto l'influsso di un clero ormai in via di estinzione demografica, non può non cogliere come la religione sia tutto questo. Manipolazione, ostentazione, controllo sociale, falsificazione certamente, ma anche identità profonda, vincolo di comunità, ribellione, dignità e – perché no – anche religione e mistica.

Non dobbiamo avere paura, quindi, di definire anche religiosa la reazione alle vignette danesi.

Santificando in nome del flusso mediatico i marines di Fallujah, i turisti sessuali di Phuket, i truffatori multilevel di Parigi, i Testimoni di Geova di Catania, gli spacciatori di coca di Berlino, gli speculatori alla borsa di Wall Street, i fabbricanti di mine della Val Trompia, David Brooks scrive in un editoriale del New York Times (9 febbraio 2006):

"Noi nell'Occidente siamo nati in un mondo che rispecchia l'eredità di Socrate e dell'agorà. Nel nostro mondo, le immagini, le statistiche e gli argomenti si affollano attorno a noi in tutte le direzioni. Ci sono film e blog, libri e prediche. C'è il profondo e il volgare, l'alto e il basso. Crediamo nel progresso e nella crescita personale. Nuotando tra questa folla di prospettive, affrontando i fatti sgradevoli, ci avviciniamo sempre di più alla comprensione… La nostra struttura mentale è progressiva e razionale. La vostra struttura mentale è preilluminista e mitologica".

La verità è esattamente il contrario. Il Padrone nello specchio può vedere solo se stesso, mentre il Servo è costretto a vedere ovunque il volto del Padrone. L'italiano medio ignora praticamente tutto dell'Islam, tranne i frammenti che gli provengono, in maniera più o meno strumentale, dalla sua bolla virtuale. Molto semplicemente, il Padrone parla solo l'inglese, mentre il Servo parla sia l'inglese che l'arabo; la giovane italiana non è mai tentata dal hijâb, mentre ogni giovane immigrata deve sempre rapportarsi con la minigonna.

Al Servo, il Padrone sa solo dire, taci oppure obbedisci.

Il Servo invece cerca perennemente di dire qualcosa al Padrone. Agitandosi, anche incendiando macchine nelle bainlieues, vuole mandare un messaggio. Che però non ha destinatari, perché il Padrone gode della libertà suprema, quella di non dover ascoltare.

Questo è forse particolarmente vero per l'Italia, paese profondamente clericale, ma pochissimo religioso. D'altronde, chi è di destra disprezza ugualmente tutte le religioni, tranne quella in cui un fortunato caso lo ha fatto nascere. Chi è di sinistra disprezza per principio le religioni, ma riserva di solito un certo rispetto per quella cattolica, perché sostanzialmente svuotata di sacralità e perché ha "imparato a convivere con altre culture".

Quindi il giudizio alla fine coincide, da destra a sinistra: che il cattolicesimo sia l'unica religione perché vera, o sia l'unica religione accettabile perché quasi priva oggi di sacralità, alla fine è comunque la pietra di paragone per l'Islam. E siccome l'Islam non è il cattolicesimo postconciliare, l'Islam deve solo tacere.

 
La bolla immaginale

Questa è una guerra di immagine. Innanzitutto nel senso di icona, raffigurazione. Poi, nel senso di immaginazione e di immaginario. Infine, nel senso contemporaneo, come nell'espressione, "lo pago perché curi la mia immagine".

L'occidentale postindustriale e postnazionale vive in una sorta di bolla impenetrabile di immagine – nei tre sensi appena accennati – che si accompagna al sottofondo incessante di muzak, la colonna sonora dei centri commerciali scientificamente studiata per indurre dipendenza semi-ipnotica.

I sensi vengono stimolati fino all'ottundimento dalla contemplazione di un flusso visivo-uditivo-emotivo, privo di ogni nesso di causa ed effetto: il Grande Papa sta morendo tra il pianto della gente, la casalinga scoppia in lacrime quando scopre di aver vinto un milione di euro per aver indovinato che il presidente d'Italia si chiama Carlo Azeglio Ciampi, la famiglia del Mulino Bianco sorride allegra con i suoi vestiti impeccabilmente stirati, sfilano truci gli aspiranti kamikaze di Hamas, l'Inter segna, Schwarzenegger annienta gli extraterrestri che si sciolgono in orridi liquami… tutto appare e poi scompare, come l'andirivieni di bizzarri, inspiegabili pesci sott'acqua.

Tutto è così perché è così, consiste in grandi quadri onirici in continua mutazione e distorsione, ma molto semplici, accompagnati da inequivocabili istruzioni riguardanti l'emozione da provare riguardo a ciascuno: si può ridere quando la famiglia di Nonno Libero va in vacanza, ma non si deve stappare la champagne, quando i nostri ragazzi muoiono a Nassiriya.

Questo "affollarsi di immagini" esaltato da David Brooks è la negazione radicale dell'agorà di Socrate, assai più di qualunque madrasa pakistana.

Le parabole che occupano ogni tetto nei paesi islamici, rendono anche i musulmani partecipi di questa sorta di ipnosi collettiva planetaria. Ma lo stato di trance è più lieve, perché i musulmani possiedono comunque un riferimento ulteriore, una sorta di àncora che permette loro di galleggiare senza annegare.

Ogni religione definisce se stessa in maniera astratta: la teologia nasconde molto più di quanto riveli. Sottile e ambigua, la religione si intreccia con le tradizioni familiari, la psicologia individuale, l'influsso prepotente dell'Occidente che invade ogni sfera della vita, gli interessi politici ed economici, i ruoli di classe…

Chiunque abbia spezzato la bolla occidentale, sa però per esperienza inconfutabile una cosa molto semplice. Tra le infinite miserie della periferia imperiale e della stessa umanità, l'Islam può produrre persone straordinarie, santi della quotidianità che non verranno mai canonizzati, milioni di sconosciuti scaricatori di casse ai mercati di Rabat o di dentisti del Cairo, che vivono – per citare la bella frase di una nostra amica sul suo blog [6] – "un passo al di là di se stessi".

 
Il teologo e l'immagine

Che l'Islam respinga il culto delle immagini, come il giudaismo, è un'asserzione teologica astratta. Ma cosa significa realmente?

Chi pensa che i musulmani non accettino le immagini del Profeta "perché lo vieta la loro teologia", resta confuso nell'apprendere che esistono bellissime rappresentazioni persiane e non solo del Profeta. La confusione dura poco, perché proprio questo, come al solito, permette di lanciare un'ulteriore e appagante accusa di ipocrisia nei confronti dei musulmani.

Chi ragiona così non ha capito nulla della funzione della teologia. In ogni religione, la teologia è straordinariamente elastica e può permettere quasi tutto, tenendo presente però due limiti. Da una parte, gli interessi reali delle persone che si rivolgono al teologo. Dall'altra, alcuni principi fondamentali, invalicabili, che non stanno scritti da nessuna parte. Sappiamo che un teologo cattolico (almeno di quelli ufficialmente approvati) potrà trovare un appiglio per giustificare qualunque cosa, anche la bomba atomica, ma non un matrimonio omosessuale. Eppure il divieto di matrimoni omosessuali non sta scritto nel credo o nel catechismo.

L'istituzione cattolica ha sempre giocato in maniera geniale con le immagini. E anche sulle loro trasformazioni, le innovazioni, che potevano andare da un pinnacolo ardito sul Duomo, ai giochi di oro e marmo venato sugli altari, alle processioni e alla trasformazione delle stesse piazze in teatri, durante la Controriforma. Tanto è il compiacimento, la voglia di stupire e di innovare, di suscitare lacrime e fantasie, che qualcuno ha potuto dire che il cattolicesimo non conosce l'arte sacra, ma solo lo spettacolo profano. L'attore Karol Wojtyla aveva alle spalle una lunga tradizione.

L'Islam non ha registi né teatranti. E il senso che prevale sempre è l'udito.

I cattolici lo potranno negare vigorosamente perché va contro l'astrazione teologica, ma nel loro immaginario Dio è sicuramente il severo anziano barbuto: è oggetto quindi di una visione, è un quadro. Per i musulmani (anche se lo negherebbero con uguale vigore) Allah è oggetto di un'audizione. Rappresentarlo visivamente non è tanto vietato, quanto semplicemente assurdo. Un cattolico non ha problemi a parlare di God quando usa l'inglese e di Dio quando usa l'italiano; mentre molti musulmani preferiscono usare il nome di Allah anche quando parlano lingue che non hanno una tradizione islamica.

Questo ci può aiutare a capire, con un certo sforzo, come le vignette sul Profeta possano avere una valenza totalmente diversa, in occidente l'unica realtà è quella ipnotica del flusso incessante dell'immagine subita, e un'altra realtà in cui sopravvivono ancora grumi di umanità viva.

"Potete andarvene tutti quanti a quel paese…"

Lontani dalla bolla, là dove ululano i venti e si aggirano famelici leoni, iniziano a parlare un'altra lingua. L'antropologo Wilson García Mérida ci parla così dell'elezione di Evo Morales alla presidenza della Bolivia, riferendosi al pachacuti, che in lingua aymará significa il "ritorno alla terra", uno sconvolgimento dell'ordine cosmico come quello con cui il dio Tunupa aprì nel mondo il fiume che scorre dal lago di Tiahuanaco.

"I riti della Stella, o Mosoq Karpay, i riti del "Tempo che deve Venire", carichi dell'incenso delle k'hoa che costituiscono evocazioni agli spiriti dei defunti, sono cruciali per il compimento storico delle profezie. I karpay (i riti) piantano il seme del conoscimento, il seme del Pachacuti, nel corpo luminoso del recipiente che lo contiene."

Lo spiega in altre parole Gilad Atzmon, parlando degli elettori palestinesi che hanno votato per Hamas:

"Ci hanno presentato il più eroico spirito di resistenza. Hanno detto all'Occidente, e a Israele, e all'Unione Europea, e al mondo arabo, e ai Davidsson e altri custodi della porta [un riferimento agli "amici della Palestina" europei di sinistra], "Potete andarvene tutti quanti a quel paese. Noi sappiamo quello che vogliamo. Siamo stanchi della vostra falsa bontà. Siamo stanchi della vostra ipocrita disponibilità ad aiutare. Siamo nauseati dalla vostra solidarietà. Non vogliamo che voi ci diciate più chi siamo o cosa dobbiamo essere. Non ci liberate e non salvate le nostre donne. Da ora in poi, ci pensiamo noi. Lasciateci in pace".

NOTE

[1] Il termine Occidente è un banale luogo comune, ma comodo per definire il complesso dei paesi dominanti. Tutti sanno a pelle che la Francia è "occidentale", e il Marocco, che pure sta molto più a ovest, non lo è.

[2] Normalmente si dice marxisti "ortodossi", ma dovrebbe essere chiaro che non esiste alcuna "ortodossia" in quello che, almeno nelle intenzioni del fondatore, non era una dottrina religiosa.

[3] Vladimir Luxuria non solo è uno scandalo senza contenuto, ma è uno scandalo che sostituisce il contenuto. Infatti è stata cooptata in politica da Fausto Bertinotti per coprire l'esclusione delle unioni civili dal programma dell'Unione.

[4] I musulmani danesi e i diplomatici dei paesi musulmani hanno cercato di seguire i "canali istituzionali". Il Primo Ministro si è rifiutato di riceverli, i tribunali hanno respinto i loro ricorsi. Considerando poi la vastità e la varietà del mondo islamico, le reazioni sono state complessivamente pacifiche; il sangue versato è stato in massima parte quello degli stessi manifestanti.

[5] C'è chi teme un quasi inesistente "integralismo cattolico", con i suoi dogmi e inferni. Il vero pericolo invece è costituito dal sottile potere benedicente e avvolgente di un'istituzione clericale, presentato con la fumosa vaghezza postconciliare che si adatta perfettamente al Luogo Comune mediatico.

[6] Esistono forti motivi per dubitare della storicità dell'episodio.

24 Maggio 2006   |   articoli   |   Tags: