Il delitto è imporre la legge religiosa a tutti [La Stampa]

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Più chiaro di così!

Da La Stampa del 4/2/2009:

Il presidente della regione Piemonte Mercedes Bresso ha scritto una
lettera, che sarà pubblicata domenica prossima, al settimanale della
diocesi di Torino «La voce del popolo» sul caso Englaro. «Io – scrive –
come ritengo mio dovere di amministratore pubblico oltre che per mia
convinzione, ho espresso l'intenzione di rispettare un diritto
riconosciuto dalla Costituzione italiana (artt. 2 e 32, soprattutto) e
rispettato la legge. Mi sembrano comportamenti base, elementari per chi
amministra in nome di tutti i cittadini del Piemonte, non solo dei
credenti».


Altri, scrive ancora la Bresso «hanno chiuso le porte delle strutture sanitarie di qualche Regione (smentiti, poi, dalla magistratura) o tentato la via delle circolari ministeriali per impedire l'esercizio di un diritto. Ma, curiosamente, le accuse di voler imporre un'opinione a chi non è d'accordo sono state rivolte a me».

«A differenza di chi mi aggredisce e nel frattempo vieta tutto ciò che può, forzando la legge, io impongo a me stessa di rispettare e tutelare sempre l'opinione altrui e la legalità. Per questo mi ha colpito leggere che la legge di Dio deve avere il sopravvento su quella dello Stato, per questo ho spiegato che questo è quanto accade nei Paesi guidati dagli Ayatollah. Ayatollah non è un insulto, è un sostantivo che definisce un capo religioso con potere temporale. L'integralismo islamico è un errore in quanto "integralismo" e non in quanto "islamico". Il delitto è imporre la legge religiosa a tutti, qualunque essa sia».

Il presidente dice di avere «rispetto dei cattolici e dei fedeli di ogni altra religione. È essenziale, secondo me, garantire a ciascuno la possibilità di scegliere, senza che questo ovviamente comporti alcun obbligo per tutti gli altri». Infine, conclude «quella di cui stiamo parlando non è eutanasia, come ci spiegano anche gran parte della comunità scientifica internazionale e anche qualche teologo».

La risposta della diocesi è che «per noi la vicenda di Eluana è, prima ancora che un problema giuridico (o politico), la storia di una persona; una storia complessa, grave e dolorosa». Per loro vale la parola, ribadita ancora domenica scorsa, di Benedetto XVI. «La lealtà dei credenti cattolici verso la legge è la stessa di ogni altro cittadino: l'Arcivescovo di Torino non ha mai sostenuto che la legge dello Stato debba essere sottoposta alla legge di Dio, o a qualunque altro codice etico. L'obiezione di coscienza è, appunto per questo, un valore condiviso anche dai non credenti». Non è possibile etichettare come «diktat» la parola di un Vescovo che, rivolgendosi ai propri fedeli, ha il dovere di parlare, senza con questo imporre nulla né alla pubblica opinione né ai poteri dello Stato. Infine, si legge nella risposta, «non riusciamo proprio a credere che mangiare e bere possano considerarsi accanimento terapeutico».

5 Febbraio 2009   |   articoli   |   Tags: