Il corpo di Cristo è mio e me lo gestisco io

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A don Piergiorgio Zaghi, sett’antanni e parroco di Comacchio in provincia di Ferrara, non sembrano preoccupare molto i dati che attestano un netto calo di fedeli in Europa. D’altronde lui ha un’idea ben chiara di come deve essere il fedele perfetto. Si può in un certo senso dire che della religione lui ha una visione elitaria: non è certo quella sacra consolazione fatta per tutti. Si vede che ha poca dimestichezza con il marketing strategico che domina in “terrasanta romana”, fra i capi del Palazzo dorato dove, invece, ogni pecorella è foriera di buoni frutti.

Due atteggiamenti agli antipodi: se ai piani alti si accettano bestemmiatori, pluridivorziati, puttanieri e pedofili mettendo a studio esperti dell’arrampicata in verticale sugli specchi per argomentare verosimili giustificazioni e contestualizzazioni pronte all’uso, nelle parrocchie dove l’unico business è il paesino nel quale si esercita, proprio come per i boss mafiosi di piccolo calibro, la sola cosa che conta è l’autorità personale di decidere persino come deve essere fatta la propria mandria di fedeli.

Questa è la storia di un bambino di dieci anni, con alcuni disagi mentali che lo portano ad avere reazioni fuori dalla norma e un bassissimo grado di concentrazione. Anche per lui è arrivata l’età di farsi la comunione e così i genitori l’hanno mandato a seguire il catechismo in parrocchia: «Ci andava volentieri, anche se non si può negare che il suo grado di attenzione fosse inferiore a quello dei compagni» dice la madre. Poi, durante la prova generale prima del gran giorno, nel distribuire l’ostia spiegando ai fanciulli come riceverla, succede che il parroco decide di saltare il turno del ragazzo e proseguire come se lui non ci fosse affatto. In breve però la notizia si diffonde nel paese, i compagni iniziano a chiedere in giro se il piccolo è cattivo e se è per questo che non può prendere l’ostia e così il parroco è costretto a dare pubbliche spiegazioni: «So che la dottrina non prevede l’esclusione dall’Eucarestia per le persone incapaci di intendere e volere, ma sarebbe almeno necessario che il bambino capisse il valore del sacramento». Dunque il bambino, con evidenti disagi mentali, non può avvicinarsi ai sacramenti perché non è in grado di intenderne il valore. E se iniziano a venir fuori dei retroscena che dovrebbero giustificare questo atteggiamento discriminatorio: il bambino in più occasioni ha sputato l’ostia; ne emergono anche altri che delineano i tratti di un prete tutt’altro che incline alla comprensione: una volta ha rifiutato di cresimare un giovane solo perché figlio di una coppia convivente e non sposata.

Cosa ne pensa la Chiesa è chiarissimo attraverso le parole di Giuseppe Morante, dell’Ufficio catechetico nazionale, che dei sacramenti dice: «Possono aiutarci a superare quelle esitazioni o quei rifiuti, quelle reticenze e quei disagi che si evidenziano (forse anche inconsciamente) davanti a certi portatori di handicap gravi o chiusi nel proprio autismo e che come tutti i chiamati alla vita, anch’essi hanno diritto di condividere i tesori offerti da Dio all’umanità e come tutti i battezzati, hanno bisogno del nutrimento dell’Eucaristia e del perdono di Dio»; chiarissima è anche la posizione di don Zaghi: «Non ho nulla da dire, voglio essere rispettato»; resta invece, per noi, avvolto nel mistero il motivo per cui si costringono delle giovani menti a formarsi in una dottrina in cui, evidentemente, non credono nemmeno gli addetti ai lavori.

Nicoletta Rocca – Cronache Laiche

14 Aprile 2012   |   articoli, attualità   |