Discussione sulla filosofia – Giordano Bruno

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Se con Agostino ho corso il rischio di peccare di irriverenza in quanto laico, con Giordano Bruno corro il rischio opposto, ovvero quello di essere troppo deferente. Del resto siamo di fronte ad uno dei martiri del libero pensiero verso cui, oggi, tutti i laici guardano con rispetto e ammirazione se non per il contenuto della sua filosofia per il simbolo che il suo rogo è diventato.

giordano-brunoVorrei mantenermi distaccato ed esaminare solo il contenuto dell’opera filosofica di Bruno, purtroppo come scrive Michele Ciliberto, Bruno è uno di quei casi in cui la filosofia è intimamente collegata alla biografia del filosofo ed è quindi quasi impossibile separare l’una dall’altra.

Quello che colpisce subito dei contenuti della filosofia bruniana è l’aver anticipato scoperte scientifiche che saranno fatte solo molti secoli più tardi. Il titolo della sua opera “De l’infinito universo et mondi” è già quasi una summa di scoperte che dovranno avvenire solo con lo sviluppo di potenti telescopi. Viene quasi da dire che già dal titolo di quell’opera si può cogliere la grandezza di Bruno.

 

Riprendendo Lucrezio (il cui manoscritto De rerum natura, scoperto nel 1417, aveva contribuito a diffondere le idee dell’atomismo democriteo ed epicureo), Giordano Bruno giunge ad una nuova visione dell’universo, che non deriva però da osservazioni astronomiche e calcoli matematici, in cui il filosofo nolano fu poco versato e tecnicamente poco competente, ma bensì da un’intuizione di natura filosofica, vale a dire quella della natura infinita dell’universo, di certo alimentata dal copernicanesimo. L’argomentazione di Copernico sostiene che se la Terra è un pianeta che gira attorno al sole, le stelle che si vedono nelle notti serene e che gli antichi immaginavano attaccate all’ultima parete del mondo, potrebbero essere tutte, o almeno in gran parte, immobili soli circondati dai rispettivi pianeti. Ciò significa che l’universo non sarebbe composto da un sistema unico, ma potrebbe ospitare in sé un numero illimitato di stelle-soli, disseminate nel vasto spazio celeste in qualità di centri di rispettivi mondi. Sappiamo bene che la tesi copernicane furono soltanto delle intuizioni di natura logico-matematica, e che per la conferma sperimentale di alcune delle stesse (l’eliocentrismo ad esempio), bisognerà attendere Galileo. Bruno trae un’ idea infinita dell’universo dal copernicanesimo, ma allo stesso tempo la trasferisce dal piano strettamente astronomico a quello metafisico-teologico. Infatti, la conclusione dell’infinità dell’universo, viene dedotta dal principio teologico, già presente nell’ultima scolastica, secondo cui il mondo avendo la sua causa in un essere infinito, deve necessariamente essere infinito. In conclusione, Bruno accoglie le tesi dell’astronomia rivoluzionaria di Copernico, giustificandole in base a presupposti filosofici, come se la nascente scienza moderna costituisse una sorta di conferma di quei principi metafisici che costituiscono lo scheletro epistemologico del suo orizzonte di senso.

Bruno un grande della filosofia quindi, eppure quest’uomo ha girato per tutta l’Europa senza trovare nessuno che lo apprezzasse; i cattolici in Italia, gli anglicani in Inghilterra, i luterani in Germania con tutti ha avuto scontri feroci. A questo proposito si fanno ipotesi contrastanti, da parte laica si sostiene che il suo pensiero così radicalmente anticristiano (Bruno criticava anche Cristo accusandolo di essere stato un cattivo mago) lo rendeva incompatibile con qualunque forma di religione europea. Da parte clericale si sostengono invece le tesi che fosse una spia politica (la più in voga è che fosse a servizio degli Inglesi) che doveva cambiar aria ogni qualvolta veniva scoperto. Un personaggio che ancora divide gli storici quindi.

C’è un periodo della vita del filosofo nolano piuttosto oscuro. Tale periodo è quello del soggiorno londinese, durante il quale Bruno fu ospite alla corte della regina Elisabetta I. E’ in questo periodo che Bruno compone capolavori come “La Cena delle Ceneri” e “Degli eroici furori. Siamo nel 1583. Uno storico dell’Università di York, John Bossy, ha tentato di colmare questo buco storico, con una ricerca che si è concretizzata nella scrittura dell’opera “Giordano Bruno e il mistero dell’ambasciata” (Garzanti) . La tesi di Bossy è molto semplice. Giordano Bruno, il 7 Aprile 1583. viene accolto nella casa dell’ambasciatore francese De Castelnau a Parigi, su raccomandazione personale di re Enrico III di Valois. Il 20 Aprile successivo Sir Francis Walshingam, capo della polizia segreta elisabettiana, riceve il primo di una serie di rapporti provenienti proprio dalla casa di De Castelnau. L’autore è un certo Fagot, uno spiritoso pseudonimo che significa “chiacchierone” . Dalla corrispondenza, conservata negli archivi britannici, ed esibita da Bossy, si evincerebbe che Fagot è italiano, che conosce il francese parlato (un po’ meno quello scritto), comprende l’inglese, anche se fa finta di non capirlo, è un sacerdote ed è ferocemente antipapista. Fagot denuncia i contatti di De Castelnau con i cattolici che cercano di introdurre testi religiosi in Inghilterra; arruola il segretario dell’ambasciatore perché intercetti la posta del suo padrone; contribuisce all’arresto del cattolico Francis Trockmorton che verrà torturato e condannata a morte; denuncia anche uno spagnolo che, in confessione, gli aveva rivelato di voler assassinare Elisabetta I. Questo Fagot non parla mai di Giordano Bruno italiano, poliglotta, sacerdote e fortemente anticattolico. Bossy attraverso un confronto delle diverse calligrafie di Bruno e di Fagot, e tramite una serie di deduzioni, arriva a stabilire che Fagot e Bruno sono la stessa persona. E’ in virtù di tale tesi che anche un laico come Luigi Firpo afferma in “Il processo di Giordano Bruno” che il processo al filosofo fu sostanzialmente corretto sia nella forma che nel contenuto. Il libro di Bossy non ha avuto una calda accoglienza da parte del pubblico italiano. Questo può incoraggiarci a credere che il lavoro dello storico non sia stato poi così rigoroso. Di certo la Chiesa traeva vantaggio, ed era più che interessata a inventare false accuse nei confronti di Giordano Bruno, come sono interessati, tuttora oggi, i cattolici integralisti a credere e ad avvalorare teorie che possano mettere in cattiva luce un ancestrale nemico dell’ortodossia romana. Tuttavia, è anche possibile, secondo alcuni che in nome del suo feroce antipapismo si sia prestato a fare la spia degli inglesi. L’idea che Bruno fosse una spia degli inglesi rimane nell’ambito delle ipotesi, in quanto non si hanno elementi sufficienti per poter affermare né che sia vera né che sia falsa.

Bruno aveva un altissimo senso di se, si considerava un angelo venuto a riportare la luce dopo secoli di tenebre, da questo si può capire forse che peccava un po’ di presunzione, ma sbaglio o non era il solo lato oscuro della sua persona?

Non si deve credere che Giordano Bruno volesse distruggere tramite l’uso critico della ragione le credenze dogmatiche del cristianesimo, per poi mettere le sue riflessioni a disposizione di tutta l’umanità, auspicandone una liberazione globale. Bruno rivendicava sì la libertà di critica e di coscienza nei confronti delle religioni tradizionali, ma solo per sé stesso, e per quell’elité di intelletti superiori all’interno della quale si collocava. Secondo il nolano, infatti, la maggioranza dell’umanità aveva un animo rozzo ed era incapace si sapersi educare e governare, ragion per cui sarebbe stata necessaria l’esistenza di chiese gerarchicamente organizzate e dotate di un apparato teologico-dogmatico. Non era quindi un programma di Bruno, quello di abbattere le chiese confessionali. Le incomprensioni che egli ebbe con esse vanno limitate al solo piano personale, come del resto va collocato sul piano personale anche il suo forte astio per il cattolicesimo ed il papato. Bruno non sopportava l’idea che una chiesa gerarchica dovesse intromettersi nella sua coscienza, e nella coscienza di altri che condividevano con lui l’appartenere alla comunità di intelletti superiori. Siamo ben lontani dalla concezione socratica del sapere e a quella teoria dell’uso pubblico della propria ragione tanto propagandato da Kant e dagli illuministi. Socrate intendeva la filosofia come ricerca comune della verità, fondata sul dialogo e rivolta a tutti. Per gli illuministi era fondamentale mettere a disposizione di tutti le proprie riflessioni e conoscenze. La filosofia di Bruno ha dei connotati profondamente aristocratici ed elitari. Questa sua concezione della necessità dell’esistenza delle chiese confessionali, in qualità di strumento di governo delle masse degli uomini rozzi ed inferiori (si noti che secondo Bruno essi costituiscono la maggioranza dell’umanità), sarà una costante del movimento del libertinage francese del XVI-XVII secolo. I libertini come Pierre Charron e Savinien de Cyrano, infatti, rifacendosi al concetto di doppia verità sostenevano che vi fosse una verità per i dotti e liberi pensatori (quella stabilita dalla ragione e dal suo uso critico, che rifiutava i dogmi e le superstizioni), e una verità per il popolo incapace di autogovernarsi (la verità stabilita dalla fede). Siamo di fronte alla concezione della religione come instrumentum regni tanto cara a Niccolò Machiavelli. Per ciò che concerne altri lati oscuri della personalità di Bruno, basta pensare alla sua misoginia (egli considerava le donne esseri inferiori, idioti e ripugnanti), a al suo antisemitismo. Pare abbia definito gli ebrei “escrementi dell’Egitto”.

Altro elemento fondante della sua filosofia il concetto della metempsicosi. Quali sono le differenze, e quali le similitudini, fra la reincarnazione dell’anima in Bruno e quella delle filosofie orientali?

La dottrina della trasmigrazione delle anime può essere chiamata metempsicosi. La teoria della metempsicosi è di matrice orfico-pitagorica. L’orfismo, sviluppatosi in Grecia nel VI secolo a.C. , consisteva in una serie di culti misterici dedicati a Dioniso, che poneva in una rivelazione l’origine dell’autorità religiosa, ed era organizzato in comunità. La rivelazione era attribuita al trace Orfeo che, secondo il mito, era disceso nell’Ade, per riprendersi la sua amata Euridice. Lo scopo dei riti nelle comunità orfiche era quello di purificare l’anima dell’iniziato per sottrarla alla ruota delle nascite, ovvero alla trasmigrazione nel corpo di altri esseri viventi. L’insegnamento fondamentale dell’orfismo è che la scienza, e in generale l’attività del pensiero, conducono l’uomo alla sua vera vita, una vita teoretica e intellettuale dell’anima completamente separata dal corpo. Questo motivo viene ripreso anche dalle comunità pitagoriche, fiorite in tutte le città greche dell’Italia meridionale, nel V secolo a.C. Secondo i pitagorici, la vita corporea è una punizione, l’anima è imprigionata nel corpo, e l’unica via per liberarla da tale carcere è la coltivazione del sapere, in altri termini, la filosofia. Platone (V-IV secolo a.C.), nel Fedone, recupera la dottrina della metempsicosi per giustificare le sue concezioni epistemologiche quali l’anamnesi. Secondo il filosofo ateniese conoscere è ricordare, e ogni volta che l’intelletto umano effettua una valutazione fa riferimento a dei parametri universali (le idee) non conoscibili nel nostro mondo, ragion per cui è necessario che l’anima li abbia appresi in un mondo iperuranico, ciò postula che essa sia una sostanza separata, ingenerata, immortale e preesistente al corpo. L’anima platonica si reincarna a seconda della condotta assunta dagli uomini in vita, e dalla scelta da essi fatta dopo la morte. Se l’uomo sarà in grado di coltivare al massimo grado la filosofia, distaccandosi dalle cose materiali, e quindi scegliendo di reincarnarsi per tre volte di seguito nel corpo di un filosofo, la sua anima riuscirà a liberarsi dalla ruota delle nascite e bearsi eternamente della contemplazione dei modelli iperuranici, ormai non più prigioniera del corpo. C’è nella teoria della metempsicosi l’elemento del merito. Infatti, l’anima raggiungerà la salvezza e la liberazione, solo se durante la sua vita terrena, unita al corpo, coltiverà costantemente il sapere. Bruno riprende la teoria della reincarnazione dell’anima, anche se in maniera differente rispetto ai pitagorici e a Platone. Innanzitutto, il filosofo nolano valorizza molto l’elemento corporeo dell’essere umano in dispregio a qualsivoglia forma di ascetismo. Sia gli uomini che gli altri esseri viventi specificazioni dell’unica sostanza esistente, composta da principio attivo (forma) e principio passivo (materia), quindi sono su un piano di totale parità ontologica. Ciò significa che l’uomo è come l’animale, e come tale la sua anima può reincarnarsi in quella di un animale. Bruno, come già Montaigne, mette fortemente in discussione l’antropocentrismo e quindi il primato dell’uomo sulla natura, diversamente rispetto a quello che era stato il tratto tipico dell’Umanesimo e del Rinascimento. Basti ricordare, a tal proposito, l’aneddoto del ragnetto. C’è una testimonianza che racconta come un compagno di carcere di Bruno sia stato da quest’ultimo rimproverato, proprio per il fatto che in quel ragnetto sarebbe potuta esserci un’anima che un tempo era appartenuta ad un uomo. Anche in Bruno è presente l’elemento del merito. Infatti, se l’uomo vuole reincarnarsi di nuovo in un corpo umane, deve esercitare al meglio le sue doti, lavorando e producendo per la società e il bene civile. La peculiarità dell’uomo è infatti, secondo il filosofo, la capacità lavorativa e produttiva e non soltanto quella teoretico-speculativa (Bruno anticipatore di Marx?). Da questo punto di vista, il nolano entra in contraddizione con la sua critica all’antropocentrismo, riconoscendo all’uomo il primato del lavoro, assente in altri esseri viventi. Inoltre, sostenendo che il lavoro è ciò che distingue l’umo dalla bestia, Bruno si colloca totalmente nella mentalità mercantilistica, tipicamente rinascimentale. Non è da dimenticare che è in questo secolo che si assiste all’ascesa di una nuova classe di borghesi e commercianti. Per quanto concerne le concezione relative alla trasmigrazione dell’anima nelle filosofie orientali, vanno subito evidenziati i punti di contatto con la prospettiva bruniana: l’idea dell’immortalità dell’anima, la possibilità che l’anima umana si reincarni in un corpo animale e viceversa, il merito. Tuttavia, nelle filosofie e religioni orientali (Induismo,buddhismo, ecc., ecc.) il merito consiste nel sapersi totalmente distaccare dalle passioni terrene e mondane per raggiungere la liberazione (nirvana), non certo nel lavoro. Inoltre, in alcune religioni orientali come il buddhismo, non si parla di anima ma di karma che costituisce il tessuto caratteriale di ognuno di noi. Nel buddhismo si parla di non-anima (anatta). Infatti, per i buddhisti , l’anima non è sostanza, ma solo fasci di impressioni e attività psicologiche che non poggiano su di un’entità soggiacente, mentre in Bruno le anime umane sono tutte determinazioni dell’Anima del mondo.

Galileo_GalileiBruno, lo sappiamo finisce sul rogo. Messo alle strette fra la scelta di rinnegare il nucleo portante della sua filosofia e la morte sceglie la morte, per di più atroce. Uno dei suoi inquisitori si chiama Roberto Bellarmino, lo stesso che trent’anni dopo costringerà all’abiura Galileo Galilei, un curriculum niente male verrebbe da dire. Lo confesso, sono spesso combattuto fra la figura di Bruno e quella di Galileo. Il primo non rinuncia alla sua filosofia e sceglie la morte consegnando alla Chiesa Cattolica una colpa che le rimane addosso fino ad oggi e le rimarrà per sempre. Il secondo sceglie l’abiura, si salva la vita e negli ultimi anni di vita pubblicherà opere che saranno fondamentali per la scienza e il progresso. Qual è la vera vittoria? Quella di Bruno o quella di Galileo?

Innanzitutto, bisogna tener ben presente il fatto che Bruno, nel processo di Venezia, si era rivelato ben disposto ad abiurare. Questo perché egli contava di scappare da Venezia, di liberarsi dagli inquisitori per poi riprendere a girare per l’Europa e salvaguardare la sua filosofia. Il nolano era quindi pronto ad abbracciare la dissimulatio. Dissimulando, ovvero nascondendo le sue posizioni, per salvare la verità, invece che simulare ovvero ingannare, mistificare ed imbrogliare. Infatti, egli durante il processo veneziano negò tutta una serie di dottrine e affermazioni da lui fatte nelle sue opere. In questo modo, il filosofo credeva di tutelare la verità del suo pensiero. Inoltre, gli inquisitori veneziani diedero a Bruno la possibilità di poter abiurare in privato e il filosofo ne approfittò per avere salva la vita. A Roma, però, messo totalmente alle strette dal cardinale Bellarmino, decide, dando prova di enorme coraggio, di morire sul rogo, piuttosto che abiurare. Dovendo rinunciare persino al nucleo costitutivo della sua filosofia, e non potendo più dissimulare, il filosofo decide di difendere la sua verità morendo. Per quanto concerne eventuali paragoni con Galileo, credo sia opportuno mettere in chiaro che la vittoria è stata, a mio parere, di entrambi. Bruno è riuscito ad imporsi come esempio di uomo disposto a morire per la libertà di pensiero, Galileo è riuscito a continuare a vivere e a far evolvere il pensiero scientifico. Forse tutti e due hanno realizzato il loro obbiettivo. Molto probabilmente, per Bruno era più importante dare un esempio socratico di coerenza morale, mentre per Galilei era prioritario che la scienza progredisse con lui. Indubbiamente, la scelta di Bruno rimane estremamente ammirevole e rispettabile e fa di lui, nonostante gli aspetti negativi di cui si è parlato prima (dovuti anche al fatto che Bruno fu comunque figlio del suo tempo), un enorme punto di riferimento morale per ogni laico che rivendichi la propria libertà di coscienza. 

Alessandro Chiometti (domande) Federico Piccirillo (risposte)

26 Maggio 2013   |   articoli, filosofia e scienza   |