De Gregori, forse non c’è niente da capire

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Sicuramente aveva ragione Luciano Ligabue quando faceva dire al suo protagonista di Radiofreccia che le canzoni non tradiscono a differenza di chi le ha scritte.

Leggere Francesco De Gregori sul Corriere della Sera oggi è un dispiacere, e non per la sua dichiarazione di non voto che di certo è comprensibile ma per le motivazioni che porta.

de gregoriPartiamo da una parola chiave: “sinistra” su questo, soltanto su questo, il cantautore romano dimostra di avere le idee chiare. « Sono convinto che vadano tutelate le fasce sociali più deboli, gli immigrati, i giovani […]. Sono convinto che bisogna lavorare per rendere i poveri meno poveri, che la ricchezza debba essere redistribuita; anche se non credo che la ricchezza in quanto tale vada punita. E sono a favore della scuola pubblica, delle pari opportunità, della meritocrazia. Tutto questo sta più nell’orizzonte culturale della sinistra che in quello della destra». Tutto perfetto, ma poi aggiunge: «Ma secondo lei cos’è oggi la sinistra italiana? È un arco cangiante che va dall’idolatria per le piste ciclabili a un sindacalismo vecchio stampo, novecentesco, a tratti incompatibile con la modernità. Che agita in continuazione i feticci del “politicamente corretto”, una moda americana di trent’anni fa, e della “Costituzione più bella del mondo”. Che si commuove per lo slow food e poi magari, “en passant”, strizza l’occhio ai No Tav per provare a fare scouting con i grillini. Tutto questo non è facile da capire, almeno per me. »
Calma e sangue freddo, c’è qualcosa che non torna caro Francesco De Gregori. Andiamo con ordine.
Innanzitutto appare completamente ingiustificato questo disprezzo per le piste ciclabili, che dovrebbe essere uno di quei punti su cui siamo tutti d’accordo, sinistra o non sinistra, fatta esclusione per i coatti portatori insani di suv.
Sul sindacalismo vecchio stampo, delle due l’una: o De Gregori non sa cosa era il sindacalismo novecentesco con le lotte per i diritti ad esso connesse o non sa cosa è il sindacalismo oggi con le organizzazioni ridotte ad erogatrici di servizi fiscali per i contribuenti.
Se poi per modernità si intende la perdita dei diritti, ci farebbe piacere, a noi di sinistra, che esistessero delle forze in grado di opporsi alla precarizzazione e alla cancellazione dei diritti dei lavoratori, ma forse il caro cantautore non ha dovuto mai fare i conti sulla sua pelle con i contratti co.co.co., le borse di studio posticce e i lavori a progetto.
Sullo slow food poi siamo senza parole, forse la sinistra che ha in mente De Gregori dovrebbe ispirarsi al Mc Donald?
Lasciando da parte la Costituzione e i no tav su cui legittimamente si possono avere idee diverse (ma per inciso sottolineiamo che il Pd non ha mai espresso idee no tav), è il concetto di scouting con i grillini che riserva le maggiori sorprese, infatti il meglio ha da venire nell’intervista.
«Questo governo non piace a nessuno. Ma credo fosse l’unico possibile. Ringrazio Dio che non si sia fatto un governo con Grillo e magari un referendum per uscire dall’euro[…]Ora il Pd è di moda occuparlo, prendere la tessera per poi stracciarla. Non ne posso più di queste spiritosaggini».
Più che Dio De Gregori dovrebbe ringraziare Grillo che preso dal suo qualunquismo-populismo ha rifiutato l’accordo con Bersani che sarebbe stata l’unica cosa che gli avrebbe consentito di cambiare realmente questo paese. E già che c’è De Gregori dovrebbe chiedersi perché il Pd ha perso voti in favore di Grillo, e perché chi voleva un cambiamento in questo paese preferisce dar fiducia a un movimento estemporaneo piuttosto che ad un partito con una storia alle spalle. Sarà forse perché questo partito, il suo partito, da tempo non è più presentabile?
Sorvoliamo sul resto dell’intervista in cui De Gregori parla in modo abbastanza prevedibile di Berlusconi, Renzi e conferma il suo astio verso Grillo e veniamo alla puntuale marchetta clericale che non può mancare da ogni membro dello star system che si rispetti: « Non c’è proprio nessuno che le piaccia? » chiede Aldo Cazzullo, e lui: «Papa Francesco, la più bella notizia degli ultimi anni. Ma mi piaceva anche Ratzinger. Intellettuale di altissimo livello, all’apparenza nemico del mondo moderno e in realtà avanzatissimo, grande teologo e per questo forse distante dalla gente. Magari i fedeli in piazza San Pietro non lo capivano. Ma il suo discorso di Ratisbona fu un discorso importante».
Lasciamo perdere Papa Francesco che oramai è come la nutella, o ne parli bene o sei irrimediabilmente out, ma la riscoperta prematura di Ratzinger no, caspita! Ma quale grande intellettuale se ogni volta che apriva bocca si dimezzava il numero di cattolici? Ma la vogliamo finire con questa sudditanza psicologica nei confronti delle sacre tonache bianche? Sul discorso di Ratisbona ci limitiamo a ricordare al cantautore che finanche Ratzinger stesso ha dovuto ammettere che aveva sbagliato “politicamente”.
Già nel 2006 in un intervista a l’Unità Francesco De Gregori si era dimostrato uno di quei laici atei che piacciono tanto al vaticano, quelli che… non credono, ma che gli piacerebbe tanto credere perché chi crede ha una marcia in più. Quelli che… “io non credo, ma per il Papa ci vuole rispetto” che si traduce automaticamente nel fatto che il Papa non si può e non si deve criticare. Quelli che… sono ateo perché negli anni ‘70 faceva vendere più dischi, ma ora dopo che il comunismo è caduto meglio far soldi vendendo anche ai papaboys.
Oggi completa l’opera con questo suo outing sul Corriere… anche la scelta del media potrebbe non essere casuale. Ma forse, davvero, non c’è niente da capire.

Alessandro Chiometti

31 Luglio 2013   |   articoli, attualità   |   Tags: , , , ,