DARWIN, BENEDETTO XVI e LA DROSOPHILA

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Non è raro ascoltare l’affermazione secondo la quale il Cattolicesimo non sarebbe contrario all’evoluzionismo Darwiniano. Ma una simile affermazione corrisponde a verità?
Verificarne la fondatezza non è così semplice come potrebbe sembrare.

Prima di tutto perché la posizione del Cattolicesimo è cambiata nel tempo e in secondo luogo perché all’interno della Chiesa è possibile rilevare posizioni diverse tra di loro.

Per tentare di dare una risposta si può cercare tra i documenti ufficiali della Chiesa in cui l’argomento è stato trattato, ma prima è necessario precisare due concetti fondamentali ancora oggi in parte confusi. Mi riferisco all’evoluzione e all’evoluzionismo, che non sono affatto sinonimi tra di loro.
L’evoluzione è un fenomeno biologico secondo il quale tra una generazione e l’altra di esseri viventi può verificarsi una modificazione del patrimonio genetico dell’individuo, di modo che l’organismo figlio può avere caratteri diversi da quelli del progenitore.
L’evoluzionismo è la teoria scientifica che spiega le modalità attraverso le quali avviene l’evoluzione, indicando in particolare i meccanismi dei cambiamenti del genoma e spiegando la funzione selettiva dell’ambiente sull’individuo mutato.
La storia dei rapporti tra evoluzionismo e Chiesa cattolica parte dalla nascita del Darwinismo e dalla pubblicazione de “L’origine delle specie” in cui lo studioso inglese sistematizzava la teoria elaborata nel corso di molti anni di osservazioni naturalistiche.
Sin dal suo primo apparire questa teoria, che faceva discendere gli organismi uno dall’altro in una catena infinita escludendo la necessità di un Dio creatore, suscitò l’immediata reazione dei capi religiosi. L’ostilità nei confronti delle idee di Darwin caratterizzò in particolare l’atteggiamento delle Chiese cristiane non cattoliche, maggiormente legate ad un’interpretazione letterale della Bibbia, ma anche da parte del Cattolicesimo gli atteggiamenti non furono molto benevoli se negli atti del Concilio Vaticano I (1869-1870) è possibile leggere la seguente definizione dell’evoluzionismo “[L’evoluzionismo è] quella turpe dottrina che cerca gli inizi del genere umano da una scimmia irsuta e pone l’avvio del genere umano non nel paradiso ma nello sporco e turpe fango”.
Ma la Chiesa Cattolica nel tempo, più per prudenza che per intima convinzione, passò ad assumere posizioni meno contrapposte e più sfumate.
Per trovare una prima trattazione articolata e ufficiale della questione evoluzionista occorre arrivare alla metà del secolo scorso con l’enciclica Humani Generis di Pio XII. Dopo di lui torneranno sull’argomento   Giovanni Paolo II e l’attuale Papa Benedetto XVI.
Nell’enciclica Humani generis del 1950 il papa tracciò i criteri guida con cui la questione avrebbe dovuto essere trattata dai teologi, criteri che come si vedrà verranno seguiti anche successivamente (1). Nell’enciclica, il papa dopo aver minimizzato l’importanza e l’attendibilità della “dottrina”, autorizzava i teologi e gli scienziati ad indagare sulla materia, non mancando di ricordare il consueto principio secondo il quale la scienza deve essere subordinata alla teologia mentre la ragione “alla quale spetta il compito di dimostrare con certezza l’esistenza di un solo Dio personale” deve seguire ben precise regole per operare “rettamente”. I punti fermi dettati nell’Enciclica a proposito di evoluzionismo sono i seguenti:
– la “dottrina dell’evoluzionismo” non è stato indiscutibilmente provata dalla scienza;
– il Magistero della Chiesa non proibisce che si facciano ulteriori ricerche da parte dei competenti (teologi e scienziati);
– i risultati delle scoperte, non solo quelle dei teologi ma anche quelli degli scienziati, devono sottostare al giudizio della Chiesa, a cui Gesù ha affidato l’ufficio di difendere i dogmi della fede.

E’ possibile leggere nelle parole del papa un atteggiamento più conciliante e possibilista rispetto alla chiusura e al rifiuto precedentemente espressi. Traspare inoltre un atteggiamento di prudenza nei confronti dei risultati della ricerca scientifica e in particolare della teoria di Darwin, nei cui confronti la Chiesa era consapevole di non poter andare incontro ad un altro caso Galilei.
Dopo il pronunciamento di papa Pacelli, passarono alcuni anni durante i quali furono piuttosto i teologi che il Papa a sviluppare senza novità sostanziali la posizione cattolica.  Si devono attendere altri cinquanta anni ed il pontificato di Giovanni Paolo II per leggere, dopo la Humani generis, qualcosa di nuovo sull’argomento.

In un messaggio indirizzato alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze il 22 ottobre 1996 il Papa, richiamando l’enciclica Humani generis, ritornò sull’argomento e dichiarò che “nuove conoscenze conducono a non considerare più la teoria dell’evoluzione una mera ipotesi” (2)
Rispetto alla Humani generis si notano due elementi di diversità.
Il primo è che l’evoluzionismo Darwiniano viene promosso da “mera ipotesi” a teoria, il secondo è che si afferma la coesistenza di diverse teorie dell’evoluzione. Se la Chiesa è stata costretta ad ammettere, sotto il peso di una montagna di conferme ed evidenze, che le ipotesi esplicative dell’evoluzione hanno assunto le dimensioni di una teoria, dall’altro non omette di sminuirne importanza e dignità scientifica, affermando l’esistenza di più teorie a fronte di una pluralità di spiegazioni in contrasto tra di loro.
Le parole del papa se rappresentano un piccolo passo avanti, non possono certo essere interpretate come un’accettazione dell’evoluzionismo e delle sue implicazioni. L’evoluzione, nel senso di una discendenza comune delle specie da un unico capostipite è accettata come un fatto, ma il processo di mutazione selezione secondo il quale si realizza l’evoluzione, nel caso in cui si suppone che avvenga in modo causale, non guidato e senza finalità, è rigettato.
La promozione del Darwinismo da ipotesi a teoria scatenò le fantasie giornalistiche e si diffuse l’idea che la Chiesa avesse accettato la teoria evoluzionistica. Le esternazioni di Giovanni Paolo II furono riprese anche da alcuni ambienti scientifici che videro nel presunto accoglimento della teoria evoluzionistica una prova della compatibilità della scienza con la dottrina cattolica. Del resto in campo scientifico e nello stesso campo evoluzionistico non erano pochi gli scienziati che erano e sono tuttora convinti della conciliabilità tra la scienza e la fede.  Basti pensare al più illustre di tutti, Stephen.J Gould e alla sua teoria dei “Magisteri non sovrapposti”.

 Non tutte le gerarchie cattoliche ritennero opportuno il riconoscimento espresso da Papa Giovanni Paolo II all’evoluzionismo e da più parti si deprecarono le interpretazioni che erano state formulate su una presunta accettazione della teoria evoluzionista. 
Qualche anno più tardi, nel tentativo di recuperare terreno e rimettere a posto le cose, il Cardinale Christoph Schönborn, Arcivescovo di Vienna e teologo vicino a Joseph Ratzinger in una intervista al New York Times (3) denunciò quelli che, a suo dire erano stati i fraintendimenti a cui le parole del Papa avevano dato origine.
L’arcivescovo nella sua intervista ebbe a dire che “non è vero”  che la Chiesa cattolica aveva accettato l’evoluzionismo perché “L’evoluzione nel senso di una comune discendenza può essere vera, ma l’evoluzione in senso neodarwiniano, come processo non guidato e non pianificato di variazioni casuali e di selezione naturale, non lo è.”
Il Cardinale in quest’intervista prese quindi nettamente le distanze da tutti coloro che volevano forzatamente celebrare il matrimonio tra evoluzionismo Darwiniano e teologia cattolica.
Poco più di un anno dopo papa Benedetto XVI, in occasione del Seminario annuale di Castelgandolfo, dichiarò: “la teoria dell’evoluzione implica questioni che devono essere assegnate alla filosofia, e che esse stesse conducono oltre al campo della scienza” E ancora ”La teoria dell’evoluzione non è una teoria completa e scientificamente provata ed è in gran parte non dimostrabile sperimentalmente in modo tanto facile perché non possiamo riprodurre in laboratorio 10000 generazioni. Ciò significa che ci sono dei vuoti o lacune rilevanti di verificabilità-falsicabilità sperimentale a causa dell’enorme spazio temporale a cui la teoria si riferisce.”(4)

Papa Ratzinger, nel constatare l’esistenza di un fenomeno evolutivo nella natura, mantenne le distanze dall’evoluzionismo Darwiniano con tutti suoi meccanismi di mutazione e selezione casuale. Nelle parole del Papa è chiara l’intenzione di indebolire l’evoluzionismo quando parla di diverse teorie, in parte contrastanti tra di loro e tutte comunque non sufficientemente provate.
E’ esplicita inoltre la condanna per ogni tentativo di trarre e sviluppare considerazioni filosofiche sulle origini dell’uomo dalle conclusioni della teoria evoluzionista ove queste non leggano nella natura un evidente disegno e finalità, Non c’è spazio quindi per una filosofia materialista derivante dalla realtà dell’evoluzione che conduce ad affermare che Dio è assente dalla natura e di lui non c’è bisogno per spiegare la vita.
A proposito di conferma sperimentale, il Papa nel suo intervento dichiarò che non si possono riprodurre diecimila generazioni di individui di specie animali in laboratorio, evidentemente pensando che un numero simile di generazioni sarebbe stato sufficiente a comprovare la teoria dell’evoluzione ma in cuor suo convinto che una simile sperimentazione non è nelle possibilità della scienza. Chiedendo alla scienza una “prova diabolica” credeva di assestare un colpo decisivo alla verificabilità della teoria. Era però in errore perché da quando sono iniziati gli studi sul genoma sono stati allevati a scopo di studio in laboratorio alcune specie animali attraverso numerosissime generazioni. Mi riferisco alla Drosophila Melanogaster.  il moscerino della frutta, allevato da oltre un secolo, o al C. elegans, ambedue  utilizzati come organismi modello per le ricerche di biologia molecolare di cui sono state allevate oltre quarantamila generazioni, sufficienti per osservare fenomeni modificativi, spontanei o indotti, della specie in laboratorio.
La posizione attuale della Chiesa cattolica sull’evoluzionismo ritiene che:
-sia  impreciso e non confermato sperimentalmente,
-non sia unitario e omogeneo in quanto tra gli studiosi della materia esistono numerose posizioni non concordi tra di loro, cosa che di fatto screditerebbe l’ipotesi di fondo;
-deve considerarsi comunque una teoria errata nel caso che, dopo i numerosi studi e ricerche a cui dovrà essere sottoposta, dovesse giungere a conclusioni strettamente biologiche che non tengano conto dell’”evidente disegno” iscritto nella natura.

Non può negarsi che si tratta nel complesso di una posizione fortemente critica poiché ne sminuisce l’importanza, mette in dubbio la sua validità scientifica e tende a costringerla in un recinto angusto dove la libertà di ricerca e di pensiero è abolita, in quanto l’unica ragione consentita è quella che studia e interpreta la natura secondo le indicazioni della teologia cattolica.
Ma quand’anche la teoria evoluzionistica in futuro si rilevasse vera, essa, sempre secondo la Chiesa cattolica, si deve fermare alla spiegazione dei fenomeni naturali senza trarne conclusioni che appartengono ad altri campi come la filosofia e soprattutto la teologia.
Alla luce di queste conclusioni, per rispondere al quesito iniziale sembra ragionevole affermare che la Chiesa cattolica non è affatto favorevole all’evoluzionismo Darwiniano e anche se non assume un atteggiamento di esplicito diniego pone tali e tante obiezioni, eccezioni, limiti e condizioni che equivalgono ad un implicito rifiuto. Rifiuto che emerge esplicitamente ove la teoria non tenesse conto del chiaro disegno della natura.
Il credere che la Chiesa non avversi l’evoluzionismo, più che dai fatti, sembra nascere dal desiderio di alcuni scienziati di veder riconosciuta la loro attività anche da parte di un’autorità il cui giudizio è evidentemente tenuto in massimo conto.
Quello che appare strano nella vicenda è che queste voci favorevoli al connubio Chiesa-evoluzionismo provengono sia da ambienti cattolici che da ambienti laici, così come non è raro rilevare dai medesimi ambienti contrapposti voci che ne affermano l’inconciliabilità.
In linea di massima potrebbe essere naturale per un non credente sostenere – per amore di verità storica – che la Chiesa Cattolica continua a muoversi nel tradizionale solco di una posizione avversa alla scienza e alla ragione tout court, ossia alla ragione senza aggettivi, né “sana”, né “retta” come vorrebbe il papa. In tale tradizione la Chiesa continuerebbe ad avversare, non esplicitamente ma con un elaborato costrutto retorico, l’evoluzionismo che rappresenta una delle più importanti risultati teorico-sperimentali della scienza moderna.
Nella stessa ottica, potrebbe essere interesse della Chiesa mantenere e accreditare una posizione di distacco da una teoria che consente di indagare sulla natura e sull’origine dell’uomo fornendo risposte  situate al di fuori della teologia cristiana.

 Si assiste invece ad un ribaltamento di ruoli che sconcerta e disorienta.  Una parte degli scienziati e appartenenti al pensiero laico sventola come se fosse una vittoria la notizia che la Chiesa ha finalmente accettato l’evoluzionismo e la Chiesa, da parte sua, mantiene un doppio atteggiamento. Uno strettamente dottrinario e teologico, chiuso al grande pubblico, che contiene e avversa l’evoluzionismo. L’altro, più appariscente e mediatico, che non smentisce ufficialmente simili interpretazioni poiché è nel suo interesse far credere al mondo la propria apertura alla modernità e l’assunto che tra la fede e la scienza non c’è conflitto.
Al di là delle dichiarazioni sensazionalistiche, affermare che sia intervenuto un compromesso tra il pensiero cattolico e l’evoluzionismo non appare sostenibile alla luce di una seppur superficiale indagine e sembra solo il risultato dell’acritica accettazione di un luogo comune troppe volte ripetuto.
Una simile affermazione, ove espressa da un laico appare sicuramente eccessiva e frutto di una benevolenza interpretativa non sostenuta da riscontri reali, inopportunamente generosa nei confronti di un’istituzione che ha visto e continua a vedere nella ragione umana – e nella sua più alta espressione, la scienza – un nemico da avversare.

modus

RIFERIMENTI: (1) Enciclica Humani generis, Introduzione  e capp. III e IV, P.Pio XII, 1950
(2) Messaggio indirizzato alla Assemblea Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze il 22 ottobre 1996, punto IV.
(3) The New York Times, 7 luglio 2005.
(4) Papa Benedetto XVI, intervento al Seminario annuale degli ex studenti di Joseph Ratzinger, Castelgandolfo, 2 settembre 2006,

15 Aprile 2012   |   articoli, filosofia e scienza   |   Tags: , , ,