Esiste un principio comunemente accettato secondo il quale l’appartenenza religiosa o etnica, come elementi del più ampio concetto di educazione familiare, sono tramandate nell’ambito della famiglia attraverso le generazioni e questo avviene talvolta anche con pratiche che incidono, in modo anche cruento, sul corpo degli individui. Quando questa pratica è attuata su adulti maggiorenni e consapevoli si potrebbe al più scuotere la testa in senso di dissenso, ma occorre rispettare la libertà individuale quando è liberamente formata ed esercitata e tende a comportamenti leciti. Quando invece queste pratiche sono imposte dalle famiglie ai figli minori si è in presenza di una forma di violenza e di una palese negazione del diritto individuale all’integrità fisica e alla libertà di scelta. La cultura occidentale non contempla pratiche religiose o etniche violente, ma il diffondersi delle correnti migratorie ha determinato il formarsi di ampie comunità provenienti da altri continenti portatrici di diverse culture e religioni, alcune delle quali prevedono attività cruente di iniziazione e appartenenza.
L’Europa, venuta in contatto con queste nuove realtà, ha dovuto interrogarsi sulla liceità di queste pratiche, soprattutto di quelle più diffuse e invasive come la circoncisione maschile e la mutilazione genitale femminile. Quest’ultima pratica, barbara e senza apprezzabili giustificazioni, è da tempo proibita in Europa e punita con pene severe. Per quanto riguarda invece la circoncisione la pratica è più o meno tollerata nella convinzione che non causa menomazioni permanenti e che si tratta comunque di cosa di poco conto. Ciò non toglie che la circoncisione rituale sia giunta all’attenzione dei poteri pubblici: tempo fa il tribunale di Colonia, in Germania, aveva trattato della circoncisione e l’aveva definita un’aggressione fisica; in Norvegia e Svizzera ci si è interrogati sul tema, suscitando l’opposizione della comunità musulmana e di quella ebraica, che hanno parlato di intromissione e violazione della libertà religiosa.
Più recentemente in Germania la corte di Hamm, nel Nord Reno-Vestfalia, ha impedito ai medici di effettuare una circoncisione rituale imposta a un bambino di sei anni dalla madre di origine kenyota, motivandola con il fatto che la madre non avrebbe considerato il danno psicologico che ciò avrebbe arrecato al figlio. Ora sull’argomento giunge l’autorevole parere del Consiglio d’Europa – organizzazione europea il cui scopo è di promuovere la democrazia e i diritti tra i quarantasette stati membri – che ha approvato a larga maggioranza un documento in cui si considera per la prima volta la circoncisione alla pari delle mutilazioni genitali femminili. Il documento non ne chiede la messa al bando, ma si limita a esprimere una dichiarazione di principio in cui si considera questa pratica una violazione dell’integrità fisica dei minori, non mancando di estendere la sua condanna anche alla meno diffusa pratica dei tatuaggi e dei piercing su minori imposta dai genitori sempre in ossequio alla tradizione religiosa od etnica.
Il Consiglio d’Europa non impone direttive, limitandosi ad esortare gli stati membri a definire criteri chiari per quegli interventi che non hanno una stretta giustificazione medica, soprattutto per garantire che il minore non debba subirle per imposizione dei genitori. Il pronunciamento è stato criticato da parte di Stati come Israele e la Turchia in cui è presente una spiccata identità religiosa, ebraica e musulmana, che prevede la circoncisione tra le proprie pratiche tradizionali. Le prevedibili proteste non intaccano la soddisfazione di costatare che proprio un’autorità sovranazionale, il cui scopo è la promozione e la difesa dei diritti umani, accomuni e condanni tutte le pratiche di intervento sul corpo dei minori, se non determinate da necessità mediche.
Sembra quindi diffondersi sempre di più la convinzione che la potestà dei genitori sui figli minori non sia illimitata e incondizionata, ma possa esercitarsi solo in un contesto di obiettivo benessere e di necessità medica per il minore stesso. I sostenitori della legittimità della circoncisione sostengono che tale pratica sia giustificata perché rientrante in quei margini di “disponibilità” riconosciuti ai genitori in ambito educativo. In altre parole i genitori, nell’esercizio del loro diritto-dovere di educare i figli, avrebbero anche la facoltà di seguire e conseguentemente di tramandare una linea educativa di natura religiosa, avviando i propri figli verso una determinata credenza religiosa. E ciò dovrebbe avvenire anche attraverso l’uso delle pratiche rituali connesse con la religione di appartenenza, di cui la circoncisione è un esempio. Il principio della libertà educativa deve cominciare a essere interpretato in senso più restrittivo e trovare un limite insuperabile nel rispetto dell’integrità fisica del minore. Anche se la circoncisione, allo stato delle attuali conoscenze mediche, non sembra causare menomazioni o alterazioni nella funzionalità sessuale e riproduttiva maschile, resta pur sempre una mutilazione non giustificata dal punto di vista sanitario.
Se il bene principale e prioritario è il conseguimento e il mantenimento della salute e dell’integrità fisica del minore, appaiono maturi i tempi per limitare o condizionare il potere potestativo dei genitori e la loro facoltà di sottoporre i figli minori a pratiche cruente e inutili. Questo contro le prevedibili proteste delle Comunità religiose che invocheranno in primis la libertà religiosa – intoccabile totem dei nostri giorni – poi la libertà di educazione e il diritto alla propria tradizione e infine lamenteranno la solita condotta persecutoria e discriminatoria da parte delle autorità statali laiciste che timidamente cercano di compiere qualche piccolo passo nella direzione della civiltà.
Dagoberto Frattaroli