C’è un referendum sulla giustizia, scusate il disturbo

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Nella totale indifferenza dei mass media e dei politici che hanno altro a cui pensare (“stranamente” anche quelli che l’hanno promosso) c’è un referendum sulla giustizia. Uno dei “sistemi” in cui il nostro paese ha più bisogno di riforme urgenti ma che nessuno vuole davvero affrontare (a meno che non ci siano questioni urgenti ad personam, lo sappiamo). 
Pubblichiamo un’analisi dei quesiti peri nostri lettori.

I referendum del 12 giugno prossimo hanno ad oggetto cinque quesiti che riguardano la legge Severino, la custodia cautelare, la separazione delle carriere, l’elezione dei componenti del Csm ed i consigli giudiziari.

In particolare, il primo quesito chiede se l’elettore vuole abrogare il Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi. L’abrogazione ha ad oggetto altresì la parte della Legge Severino che prevede la decadenza automatica per i condannati in via definitiva parlamentari, membri del governo, consiglieri regionali, sindaci e amministratori locali nel caso di condanna per reati gravi. I promotori del referendum ritengono che sia necessario eliminare l’automatismo per i casi di incandidabilità e ineleggibilità e che invece debba essere il giudice a prevedere, di volta in volta, con la eventuale sentenza di condanna, la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. Gli stessi, inoltre, sostengono l’incostituzionalità della sospensione degli amministratori locali in caso di condanna con sentenza non definitiva. Secondo i contrari, invece, la legge Severino deve essere mantenuta, quantomeno nella parte in cui prevede l’incandidabilità e l’ineleggibilità per i reati estremamente gravi (quali i reati di mafia, di terrorismo e quelli contro la pubblica amministrazione).

Con il secondo quesito si chiede all’elettore se vuole abrogare la norma sulla “reiterazione del reato” dall’insieme delle motivazioni per cui i giudici possono decidere la custodia cautelare in carcere o i domiciliari per una persona durante le indagini preliminari, quindi prima del processo, limitando i casi di arresto al pericolo di fuga, inquinamento delle prove e rischio di commettere reati di particolare gravità, con armi o altri mezzi violenti. Il quesito referendario, nelle intenzioni dei promotori, punta a limitare la possibilità di ricorrere alla carcerazione preventiva prima della sentenza definitiva, ritenendo che tale strumento di emergenza attualmente sia stato trasformato in una vera e propria forma anticipatoria della pena, trattandosi di una motivazione – quella della reiterazione del reato – spesso utilizzata per disporre la custodia cautelare, senza che tale rischio esista veramente. Tuttavia nell’ipotesi di successo del referendum, tutte le volte in cui non vi sarà una delle suddette ipotesi previste dall’art. 274 c.p.p., i potenziali autori “seriali” di taluni delitti, anche gravi, non potranno essere sottoposti a misura cautelare, venendo meno la motivazione del pericolo di ripetizione di atti criminosi analoghi a quello per cui si procede penalmente. 

Il terzo quesito riguarda la separazione delle funzioni dei magistrati; si chiede all’elettore se vuole abrogare le norme in materia di ordinamento giudiziario che consentono il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa dei magistrati nel corso della loro carriera. L’intenzione perseguita dai promotori del referendum è quella di regolare, escludendoli, i passaggi oggi esistenti tra le funzioni di giudici e pubblici ministeri. Chi critica il quesito in commento evidenzia l’esigua percentuale dei passaggi da una funzione all’altra e la scarsa propensione al cambio di funzioni. I contrari inoltre manifestano il timore che la modifica sottesa al quesito in questione potrebbe compromettere l’autonomia e l’indipendenza della magistratura requirente con possibili condizionamenti da parte del potere esecutivo.

Il quarto è il quesito della valutazione dei magistrati. Si chiede all’elettore se vuole che l’operato del magistrato venga valutato dai membri di Consiglio direttivo della Cassazione e dei consigli giudiziari. I promotori intendono abrogare la normativa attualmente in vigore che esclude la partecipazione dei componenti laici (avvocati e professori universitari) estendendola a tutte le attività dei suddetti organismi (Consigli giudiziari e Comitato direttivo della Corte di cassazione) compresa quella di formulazione dei pareri sulle valutazioni di professionalità dei magistrati; ciò con l’intento di rendere più equilibrata la valutazione di professionalità. Quanti criticano tale quesito ritengono che sarebbe poco opportuno affidare un ruolo attivo nella redazione di pareri su magistrati ad avvocati che esercitano la professione nello stesso distretto di Corte d’appello nella quale operano i suddetti giudici; ciò in quanto temono che, soprattutto nei distretti più piccoli, i magistrati potrebbero subire condizionamenti nel momento in cui si ritrovano a giudicare in un processo cui partecipa l’avvocato chiamato a esprimere tale parere.

Il quinto ed ultimo quesito ha ad oggetto la riforma del CSM e l’elezione dei membri togati. Chiede all’elettore se vuole cancellare la norma che impone al magistrato di raccogliere da 25 a 50 firme per candidarsi al Consiglio Superiore della Magistratura. Questa previsione, nella attuale legge elettorale del Csm, serve a far sì che i candidati possano contare su una soglia minima di rappresentatività. I promotori del referendum propongono di optare per un sistema di candidature individuali libere, prive di ogni preventivo supporto o sostegno, con lo scopo di limitare le aggregazioni collettive. Chi obietta ad un tale ragionamento afferma che, eliminando le firme, si elimina quella minima scrematura iniziale alle candidature.

M. C. 

7 Giugno 2022   |   articoli, attualità   |   Tags: , ,