Campane elettorali [La Repubblica]

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* Michele Serra su La Repubblica del 26 febbraio 2008

Esiste «un'antropologia di riferimento» per l'elettorato cattolico?
Quali siano i parametri di questa inconsueta definizione di campo, ne è
escluso il professor Veronesi, la cui candidatura nel Pd è stata
utilizzata dal quotidiano dei vescovi per mettere ulteriormente in
guardia gli elettori cattolici attratti dal partito di Veltroni. Per
non dire del nutrito drappello di cattolici democratici che di quel
partito sono tra i costituenti.


Non bastasse l'indicazione di Veronesi tra gli antropologicamente scorretti, ieri Famiglia cristiana, settimanale molto diffuso e con una solida (ma evidentemente defunta) tradizione "neutralista" in materia politica, ha definito "pasticcio in salsa pannelliana" i punti programmatici di Veltroni. E il ricco assortimento delle esternazioni curiali in materia politico-elettorale non esclude preziosi tecnicismi, come il consiglio all'amico Ferrara di non presentare liste di lodevole intento, ma ad alto rischio di dispersione dei voti. O il ripudio per vizio di forma del documento dell'Ordine dei medici in difesa della 194, definito dalla Cci "fasullo" su basi, come dire, procedurali. Mentre passa quasi inosservato e inascoltato, per la sua reiterazione ormai quasi quotidiana (insomma, non fa più notizia) il monito papale ai medici di ogni ordine e grado, invitati anche ieri a "difendere la vita" – come se si occupassero prevalentemente d'altro.

In questo clima, le fotonotizie del cordiale incontro tra i due teologi Ratzinger e Ferrara in una chiesa a Testaccio fanno appena colore, e paiono una nota lieve, domenicale e popolare, che evoca il suono delle campane piuttosto che il persistente, agguerrito comiziare che discende dai pulpiti, almeno quelli ufficiali. Una vacanza, insomma, perché domenica è sempre domenica, come diceva molti anni fa il presentatore di sicura antropologia cattolica Mario Riva.

Se non in campagne elettorali molto remote e non rimpiante, quelle del bipolarismo molto arcigno tra Dio e Stalin, non si ha memoria di un eguale protagonismo della Chiesa italiana, con molti suoi vescovi e tutti i suoi giornali, in materia politica e in specie partitica. Con puntute disamine di candidature e programmi, e vis polemica inesausta soprattutto in materia di quei famosi temi "eticamente sensibili" che tutti o quasi i contendenti politici giudicano inopportuno spendere come munizioni elettorali, ma non la Cei, che al contrario continua a far rientrare dalla finestra ciò che è stato appena messo alla porta, saggiamente, dai partiti, spaventati all'idea che argomenti di così fonda e delicata natura (l'interruzione della gravidanza, il testamento biologico, le povere unioni civili ormai finite in fondo al sacco delle urgenze e della questioni) possano sfasciare equilibri politici faticosamente raggiunti. E dare l'innesco a furori e anatemi non precisamente desiderabili in un Paese già carico di problemi e divisioni.

Viene da chiedersi, a questo proposito, con quale umore non solo i cattolici del Pd, ma anche i laici del Pdl accolgano l'oramai chiarissima scelta della Cei di Ruini e Betori di osteggiare il Pd perdutamente "laicista", di conseguenza mettendo il proprio cappello sul partito di Berlusconi e Fini. Che clericale, almeno statutariamente, dovrebbe non essere, e non per la facile e poco elegante obiezione che tutti i suoi leader, a differenza di Veltroni e Franceschini, sono divorziati. Ma perché la laicità dello Stato, e più prosaicamente punti di vista e costumi liberali o libertari o libertini, sono ben presenti in quell'area del Paese che vota per il centrodestra. E a meno che l'editore televisivo Berlusconi, il tombeur des femmes Berlusconi, il multimiliardario Berlusconi sia considerato dai vescovi italiani, a differenza di Veronesi, il prototipo del "cattolico antropologico", si è costretti a concludere che quella della Chiesa è una scelta di campo politica in piena regola. Schietta e inequivoca.

Non è semplice sapere quanto peserà questa così evidente e imbarazzante intrusione nelle scelte dell'elettorato cattolico. Anche perché la definizione stessa di "elettorato cattolico" non è affatto ovvia: va da un vaglio ristretto, che comprende solamente i cattolici politicamente militanti (a destra, al centro e a sinistra), a un vaglio molto ampio, che contiene tutta la vasta e molto secolarizzata massa di italiani che si dicono cattolici ma non paiono disposti a farsene troppo influenzare nelle scelte politiche. E, quel che è peggio per la Cei, neanche nelle scelte etiche e di vita privata.
 
La sola certezza, in fin dei conti, è che la presenza della Chiesa (certamente quella mediatica) viene intesa ogni giorno di più come una presenza politica, con il continuo richiamo alla spiritualità e all'universalità della missione ecclesiale che appare appena un alibi sfocato, continuamente smentito dal minuzioso, quasi pedante sfoglio dell'agenda politica italiana da parte dei vescovi. Viene da chiedersi perché la Cei, a questo punto, non piazzi i suoi gazebo. Domanda volutamente candida, a fronte di una risposta di evidente e collaudata sagacia: dev'essere fantastico poter fare politica, ma senza rischiare i costi (politici) di un giudizio elettorale. Partecipare alla mischia rimanendone fuori. E' il sogno di ogni giocatore. Ma non è – come dire – il massimo del fair-play.

28 Febbraio 2008   |   articoli   |   Tags: