L’affaire Emanuela Orlandi e il silenzio del Vaticano

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Certi casi giudiziari, nel paese dove fioriscono i limoni, si comportano come un fiume carsico: deflagrano saturando per un po’ il sistema mediatico, poi svaniscono dalle prime pagine per riemergere appena più in là qualche tempo dopo. Naturalmente restando irrisolti. Sono perfino arrivati a costituire un genere giornalistico di qualche successo, facendo la fortuna di commentatori che si limitano a rimestare false piste e mezze verità alludendo però, al contempo, a scenari suggestivi.

L’affaire Emanuela Orlandi è tornato per l’ennesima volta all’onore delle cronache dopo che due giorni fa ambienti della Procura di Roma hanno espresso la convinzione che in Vaticano qualcuno conosca la verità sulla scomparsa della ragazza. Posizione prontamente smentita ieri dal capo della Procura Giuseppe Pignatone che ha voluto precisare che «le dichiarazioni e le valutazioni sul procedimento per la scomparsa della Orlandi, attribuite da alcuni organi di informazione ad anonimi inquirenti della procura di Roma, non esprimono la posizione dell’ufficio». Il fatto è che quelle dichiarazioni esprimono un’opinione piuttosto diffusa tra chi, in questi lunghi anni, si è interessato del caso.

Figlia quindicenne di un dipendente della Santa sede, la Orlandi scomparve nel giugno del 1983, presumibilmente rapita dopo essere stata pedinata – come hanno riscontrato le successive indagini – da esponenti della Banda della Magliana fra i quali lo stesso boss Enrico “Renatino” De Pedis, in seguito incredibilmente sepolto nella basilica di Sant’Apollinare. Da allora le congetture sui motivi e sulla dinamica del sequestro, le “piste”, si sono moltiplicate: dal collegamento con l’attentato a Giovanni Paolo II (si parlò addirittura di uno scambio tra Emanuela e Ali Agca) a quello con lo scandalo IOR-Marcinkus e il caso Calvi-Banco Ambrosiano; dai legami già accennati con la banda della Magliana alla teoria del giornalista Pino Nicotri, secondi cui Emanuela sarebbe stata uccisa il giorno stesso della sua scomparsa, durante un incontro particolare finito in tragedia con un personaggio molto in alto della gerarchia vaticana: le ipotesi sinteticamente riassunte qui sopra non sarebbero dunque altro che depistaggi.

Solo pochi giorni fa l’ennesimo riaffioramento carsico: «E’ interesse di tutti che si vada fino in fondo nell’accertamento della verità che per troppo tempo è rimasta nascosta» ha rilanciato Walter Veltroni in occasione della presentazione di un’interrogazione al ministro Cancellieri durante il question time alla Camera sul perché il De Pedis, un noto criminale, sia stato sepolto nella Basilica di Sant’Apollinare nel marzo del 1990, addirittura con il nulla osta di Ugo Poletti, allora presidente della Cei e cardinale vicario di Roma. Ma la tomba di “Renatino” – a detta, oggi, dei pm di Roma – rimarrà per il momento chiusa, come le bocche che secondo Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, dovrebbero parlare perché «questo silenzio [da parte del Vaticano, ndr] sta diventando imbarazzante».

Un maledetto imbroglio, insomma, che per essere dipanato avrebbe bisogno della penna acuminata di Leonardo Sciascia (quello dell’Affaire Moro) o della implacabile vis polemica di Pierpaolo Pasolini («Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi»).

Claudio Tanari – Cronache Laiche

4 Aprile 2012   |   articoli, attualità   |   Tags: , , ,