Registro comunale dei testamenti biologici: un istituto inutile?

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Di recente, Tempusvitae, rubrica clericale ospitata dal sito Terninrete, ha rilanciato uno specchietto tratto da Avvenire, che attacca l’istituzione di registri comunali dei testamenti biologici sostanzialmente con questo argomento: il comune non è competente in materia, che é riservata al legislatore nazionale, per cui i registri comunali sono inutili giuridicamente e rappresentano solo un manifesto ideologico.

La tesi é eticamente discutibile e giuridicamente opinabile.

Affrontiamo innanzitutto il secondo aspetto, l’altro emergerà da sé.

L’articolo afferma l’incompetenza assoluta dei comuni in materia, che sarebbe coperta addirittura da una riserva di legge.

Il giornalista si guarda bene dallo specificare quale norma della Costituzione riserverebbe la disciplina della questione al legislatore nazionale, probabilmente perché altrimenti correrebbe il rischio di aprire un dibattito ed un confronto sulla questione, cosa che non vuole. Meglio tirare un po’ di fango a casaccio …

Possiamo solo ipotizzare che intenda far riferimento al portato normativo derivante dal combinato disposto degli articoli 32 c.2 e 117 della Costituzione. Il primo stabilisce: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”, mentre il secondo riserva al legislatore nazionale la competenza assoluta in materia di ordinamento civile.

Se così è, riteniamo che gli estensori dell’articolo non abbiano ben compreso la portata giuridica e politica dell’istituzione dei testamenti biologici comunali.

È evidente che solo una legge nazionale potrà disciplinare la dichiarazione anticipata di volontà sui trattamenti sanitari (volgarmente nota come “testamento biologico”) e inquadrare l’atto fra gli atti unilaterali tipizzati normativamente, stabilendone vincoli di forma, condizioni di validità e limiti di efficacia, in modo da imporne il rispetto a tutti.

Ciò non significa, tuttavia, che la redazione di un testamento biologico sia sfornita attualmente di qualunque effetto giuridico.

Opinare diversamente significherebbe ritenere del tutto inefficace la manifestazione di volontà di una persona rispetto al proprio corpo, significherebbe ridurla a oggetto nelle mani altrui, il che ci parrebbe violare proprio l’articolo 32 della Costituzione, laddove impone il rispetto della persona umana: e cosa di più indegno e inumano di trattare una persona dotata di volontà come una cosa che ne è priva?

Ma ben oltre tale argomento generale, pesa la considerazione di precisi precedenti giurisprudenziali. Il richiamo al caso Englaro salta agli occhi con evidenza. In quel caso i giudici hanno applicato direttamente l’articolo 32 della Costituzione e dedotto la volontà di Eluana da una serie di fatti concludenti e opinioni da Lei espresse in vita.

Figuriamoci quale efficacia verrebbe attribuita da un giudice a una dichiarazione scritta, resa di fronte a un pubblico funzionario!

Ciò esclude che si possa dire che le dichiarazioni di volontà depositate presso i registri comunali sarebbero prive di efficacia giuridica. È evidente, poi, che nell’attuale assetto normativo il medico debba sempre rispettare il principio del consenso informato, quindi, anche a prescindere da un intervento giudiziario, non possa non tener conto della volontà precedentemente espressa da un paziente in stato di incapacità di intendere e volere.

Per quanto riguarda l’incompetenza dei comuni, anche qui non comprendiamo cosa intenda il giornalista.

Il Comune istituendo il registro si limita a creare un archivio di documenti, funzione amministrativa propria di qualunque ente, pubblico o privato che sia: quale norma può vietarglielo? Direi, anzi, che il principio di sussidiarietà di cui all’articolo 118 della Costituzione spinga a vedere favorevolmente tale soluzione.

L’Avvenire usa un terzo argomento contro i registri comunali: essi violano il principio di eguaglianza, poiché alcuni cittadini potrebbero fruirne, altri no, con effetti discriminanti sul diritto alla vita e alla salute.

Ma non erano documenti privi di efficacia? A parte la battuta, si potrebbe notare che – ahimè – già ora il diritto alla salute è garantito in modo diverso da Bari a Milano e proprio in virtù dell’applicazione di quel principio di sussidiarietà, tanto caro ai cattolici. Comprendiamo che porre la questione metterebbe in discussione la politica sanitaria della Giunta Formigoni.

In chiusura, una nota sulla conclusione dell’articolo. Per i medici varrebbero gli obblighi di sempre: prendersi cura del paziente e salvaguardare sempre la vita.

Come cittadino e come potenziale paziente, tremo di fronte a questa tesi: il medico deve prendersi cura della mia salute e salvaguardare la mia vita, certo, ma non SEMPRE e non ad ogni costo.

Se non altro, almeno finché sono cosciente, deve rispettare la mia libera volontà. Lo deve alla coscienza etica che ci accumuna come esseri umani, ben oltre i ruoli, uomini che fondano la propria dignità sulla libertà.

Massimiliano Bardani

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