Nati sotto il segno di Cristo

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Il Governo ha presentato ricorso sulla sentenza della Corte europea che invita lo Stato italiano ad astenersi dall’esporre simboli religiosi nelle aule scolastiche. Tra le motivazioni del ricorso, il fatto che “La presenza del crocifisso in classe rimanda ad un messaggio morale che trascende i valori laici e non lede la libertà di aderire o non aderire ad alcuna religione”.

Intanto, nove senatori Pdl hanno stilato una proposta di legge che prevede l’arresto fino a sei mesi e una sanzione da 500 a mille euro per chi rimuove il crocifisso o si rifiuta di esporlo negli uffici pubblici, nelle scuole e università, nelle aule di Comuni, Province, Regioni e circoscrizioni, nelle comunità montane, nei seggi elettorali, nei carceri, nei tribunali, negli ospedali, in stazioni, porti, aeroporti, sedi diplomatiche e uffici italiani all’estero. Ovunque, insomma.

Alla Camera, invece, 23 deputati Pdl hanno presentato un altro testo che prevede una sanzione disciplinare per chi rifiuti di esporre il crocifisso insieme alla foto del presidente della Repubblica, “quali simboli della tradizione e dell’unità della Patria, nelle scuole e negli uffici pubblici”.

Neanche alcuni membri dell’opposizione si sono astenuti dal difendere la cultura italiana dal ‘laicismo dilagante’, seppur con toni meno battaglieri. 16 consiglieri Pd della Regione Emilia Romagna hanno firmato una risoluzione per chiedere al Parlamento europeo di “riconoscere il pieno diritto di tutti gli Stati membri ad esporre anche simboli religiosi all’interno dei luoghi pubblici o delle sedi istituzionali, laddove tali simboli siano rappresentativi della tradizione e dell’identità di tutto il Paese e dunque elementi unificanti dell’intera comunità nazionale e rispettosi dell’orientamento religioso di ciascun cittadino”.

E, nel fiorire di queste iniziative a difesa delle nostre origini cristiane, arriva l’espulsione dalla magistratura del giudice Luigi Tosti, reo di essersi rifiutato di celebrare udienza sotto il crocifisso.

Questo, attualmente, lo stato dell’arte sul tema crocifissi. La sentenza del novembre scorso della Cedu (Corte europea dei diritti dell’uomo) contro l’esposizione dei crocifissi nelle aule scolastiche ha provocato l’alacre lavoro di parlamentari, amministratori locali  e magistrati, nonché un profluvio di chiacchiere, anatemi e istigazioni a disobbedire alla sentenza europea.

Sembra veramente che chi ci rappresenta non abbia alcun problema più urgente da affrontare della presunta offesa provocata alla nostra identità culturale dalla rimozione dei crocifissi. Parole come ‘Dio’ e ‘Patria’, per altro, suonano anche un po’ ridicole se si pensa che solo 140 anni fa, il 20 settembre 1870, l’esercito italiano entrava nello Stato pontificio per strappare Roma al dominio papale, sancendo così l’unità d’Italia e la fine del potere temporale della Chiesa. Quel potere molto ben raffigurato dal Cristo in croce, che ora assurge a simbolo di identità nazionale in spregio alla stessa storia d’Italia. Quel simbolo nel nome del quale son state compiute le più efferate nefandezze.

Neanche la guerriglia di Rosarno ha causato un  tale schieramento di forze parlamentari. Passato il momento critico e allontanati gli extracomunitari, tutto torna a posto (ossia come prima), nell’attesa che un’altra rivolta degli schiavi ci ricordi l’assenza dello Stato.

Ma insomma, non si vorrà mica paragonare una guerriglia cittadina causata dai migranti che ‘ci rubano il lavoro’ con la rimozione dei crocifissi? Quest’ultimo è un argomento talmente serio, visto anche il periodo pre-elettorale, da meritare il massimo schieramento di forze: ministri, parlamentari, sindaci, presidenti di Regioni o di Province.

Meritano una menzione, a tal proposito, le parole di Giorgia Meloni, ministro della Gioventù,  alla convention del Popolo delle Libertà ad Arezzo: “Sono stufa di vedere burocrati europei che stanno lì a sindacare se si possa appendere un crocifisso nelle scuole. Se qualcuno si offende consiglio di prendere in considerazione l’idea di andare a vivere da qualche altra parte del mondo”. Ha dimenticato, la Meloni, che l’Italia è uno Stato laico? Probabilmente sì, perché solo in uno Stato teocratico le sue parole avrebbero un senso.

Ma non paga di aver stracciato in una botta sola i principi di democrazia, laicità e appartenenza all’Europa, il ministro ha aggiunto: “Noi rispettiamo le idee e le credenze di tutti, ma chiediamo lo stesso rispetto da chi viene a vivere in Italia. Non c’è nessuna minaccia in valori come il rispetto”.

Ecco qua, l’ex militante del Fronte della Gioventù ha esplicitato il pastrocchio del ”pensiero unico’ sul tema crocifissi. Primo: ‘Noi’ (il popolo italiano) siamo cattolici. Secondo: chi vuole rimuovere i crocifissi viene (quindi) da altre culture e altri paesi. Impari a rispettare la ‘nostra’ religione o vada altrove.

Che non siano gli stranieri a reclamare dallo Stato imparzialità in materia di religione non è chiaro alla Meloni; che si possa essere cittadini italiani e nel contempo non credenti non è proprio previsto; che infine si possa essere cittadini italiani laici (credenti o no, è un altro discorso) è addirittura un’offesa alla nostra identità. Per cui, in questi casi, è meglio emigrare. Parola di un ministro della Repubblica.

Grazie a Giorgia Meloni per le sue precisazioni.

Cecilia M. Calamani – Cronache Laiche

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