Mentre il Cop26 fallisce, la ricerca continua. Una testimonianza dalle Isole Svalbard

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Dottor Pallozzi, come mai è andato alle Svalbard?
Alle Svalbard è stato creato a Ny Alesund (nella foto sottostante ndr) un polo scientifico che riunisce ricercatori di differenti discipline, provenienti da tutto il mondo. L’avamposto conta poco più di 100 abitanti durante l’estate ed una trentina di inverno. Molte attività si svolgono all’interno dell’abitato, ma spesso occorre andare fuori. Noi abbiamo lavorato in 3 diversi siti, distanti dai 2 ai 10 Km dall’abitato. Per uscire a svolgere la nostra attività abbiamo dovuto seguire un corso di sicurezza che prevede anche l’uso del fucile e di flare gun come difesa estrema dagli orsi polari. Tutta la logistica è gestita da una compagnia norvegese, mentre la base dove alloggiamo e lavoriamo è italiana, gestita attualmente dal CNR, la base artica Dirigibile Italia.

 

Ci può spiegare perché dal punto di vista scientifico quelle isole, così a Nord, sono importanti? 

Le Isole Svalbard si trovano in un’area estrema dal punto di vista climatico, e queste aree più di altre hanno risentito dei cambiamenti globali. Proprio per la loro unicità sono zone più sensibili a tutte le variazioni che anno dopo anno il clima sta subendo. Il governo norvegese, attraverso diversi organismi come il SIOS (Svalbard Integrated Arctic Earth Observing System), che ha finanziato la nostra ricerca, promuove ogni tipo di indagine scientifica alle isole Svalbard, dallo studio dell’atmosfera alle migrazioni della fauna, dal cambiamento della vegetazione allo scioglimento dei ghiacciai. Tutte tematiche che poi sono strettamente collegate l’una con l’altra. Proprio per questo, lavorare in quei luoghi è anche un’esperienza unica di interconnesione tra tematiche e culture differenti, un’occasione fantastica di aggregazione.

Questa non è la prima volta che ci va, giusto? 

Sono stato a Ny Alesund, insediamento situato nel nord-ovest dell’isola di Spitsbergen, nel 2013 con la ricercatrice del Cnr Angela Augusti per studiare le caratteristiche fisiologiche di diverse specie vegetali artiche. Nel 2018 siamo tornati entrambi insieme ad Olga Gavrichkova, anche lei ricercatrice del Cnr, per unire a questo studio la cosiddetta “respirazione del suolo”, ossia la CO2 emessa naturalmente dal terreno per l’attività microbica. Quest’anno, sempre con le mie colleghe, siamo tornati per implementare lo studio con un confronto tra le zone pascolate abitualmente dalle renne e zone invece recintate. Le renne infatti sono state introdotte alle Svalbard alla fine degli anni ’70, e ultimamente sono specie colpite dagli effetti dei cambiamenti climatici, come descritto anche in questo articolo del The Guardian di due anni fa: l‘aumento delle piogge, a causa dei cambiamenti climatici, ha provocato un maggiore strato di ghiaccio sulla neve che ricopre la tundra. Questo non ha reso possibile alle renne di nutrirsi semplicemente scavando, come fanno di solito, provocando così la morte di molte di loro per denutrizione.

Cosa ci può dire di quel che sta succedendo a causa del riscaldamento globale in quelle zone?

Succedono molte cose, la maggior parte concatenate. Aumento di temperature medie, scioglimento dei ghiacci, aumento nella nuvolosità con conseguente variazione della crescita delle specie vegetali, modifica del periodo di migrazione di alcune specie, aumento di emissione di gas terra dal suolo, aumento delle piogge, modifica dell’habitat per orsi polari e renne.

Quindi tutto questo sta già accadendo, il cambiamento climatico è in atto come ci ricordano sempre gli inascoltati attivisti ambientali. Ma le previsioni del 2013 prevedevano che questi avvenissero così velocemente?

Sta già accadendo, già da un po’, ma procede sempre più velocemente. I ghiacciai che si affacciano sul Kongsfjorden, dove si trova Ny Alesund, si stanno ritirando da tempo. Ci sono studi che monitorano la situazione in tempo reale e lo hanno già mostrato. Forse sarà suggestione, ma in questi otto anni ho la sensazione che si veda a vista d’occhio, nonostante in spazi così aperti e senza punti di riferimento sia molto difficile fare questo tipo di valutazione in quei luoghi. Un collega, il dott. Angelo Viola, mi raccontava che la prima volta che mise piede a Ny Alesund, il Kongsfjorden era completamente ghiacciato, cosa che ora non succede più.

(Paphytta – uno dei siti di lavoro)

Le notizie che ci vengono dal Cop26 di Glasgow non sono esattamente confortanti. Lei si è fatta un’idea su quello che, realisticamente, i governi riusciranno a fare per tentare di contenere l’anomalia climatica entro i +2,0°C?

Se ci fosse una volontà concreta, forse ci si potrebbe anche riuscire. Resto comunque poco fiducioso sia nell’impegno della politica che nella risposta dei cittadini ad un cambiamento radicale dello stile di vita.
A causa del lockdown, molte misure sono state prese in emergenza, si pensi allo smart working. Tali misure sono state appena revocate proprio da alcuni enti che si occupano di emissioni di gas serra, giusto per fare un esempio di quanto dicevo sopra.

I suoi 2 cent. Nel 2050 anomalia termica più vicina a 1.50°C (quindi un “green new deal” per il mondo entro sei anni) o a 2,70°C (business as usual forever)? Nel frattempo ricordiamolo, oggi sul sito della Nasa siamo a+1.18°C

Giusto 2 cent, credo nel progresso tecnologico che, se indirizzato bene, potrà garantire grossi miglioramenti. Che la politica segua questa direzione, ad oggi non lo fa seriamente.
La verità può stare nel mezzo, +2.1°C.

Dr. Emanuele Pallozzi, intervistato dalla redazione di Civiltà Laica

17 Novembre 2021   |   articoli, attualità   |   Tags: , , , ,