L’aborto negli anni ’70 a Terni

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Sulla scia delle vittorie sul divorzio (1974) e sul nuovo diritto di famiglia (1975) inizia la lotta per una nuova conquista: la libertà per la donna di interrompere una gravidanza non desiderata. Il problema era stato sollevato da tutto il movimento femminista italiano soprattutto nell’anno cruciale del movimento, il ’77. Il partito radicale era allora il più convinto assertore delle istanze abortiste attraverso l’MLD, il Movimento di Liberazione della Donna, che vedeva Adele Faccio ed Emma Bonino in prima linea. A Terni questa tematica viene sollevata dai radicali ternani, tra cui il sottoscritto, che aveva aperto nel 1976 una sede del partito in via XI Febbraio. Anche nella nostra città la situazione era tragica, molte ragazze giovanissime ma anche madri di famiglia con figli si rivolgevano a me disperate. Cercavano una soluzione diversa dall’aborto fatto dalla mammana,( la vecchia praticona che faceva aborti con mezzi primitivi, quali il ferro da calza per bucare l’utero), perché sapevano di rischiare la vita per un’emorraggia pericolosa e che sarebbero finite in ospedale. Proprio in quegli anni un dottore aveva messo a punto un metodo nuovo per interrompere la gravidanza, il metodo Karman, che consisteva nella aspirazione del feto senza che fosse necessario il famoso raschiamento. Era un metodo molto più semplice e funzionale. In seguito a questo il CISA, Centro Italiano Sterilizzazione e Aborto, anch’esso di fondazione radicale, aveva cominciato ad organizzare aborti clandestini in varie parti d’Italia, anche alcune donne ternane poterono usufruire di questo metodo. Cercai di scegliere i casi più gravi con donne madri di più figli per le quali ragioni economiche e ragioni psicologiche si sommavano; partivamo nottetempo, l’interruzione avveniva in case private assolutamente sicure a costo zero. Quest’ultima osservazione non è casuale perché l’aborto allora era di classe, cioè se lo poteva permettere solo chi poteva pagare dottori compiacenti, molti dei quali, anche a Terni, a quel che si sapeva, erano antiabortisti in pubblico e abortisti in privato.

La situazione cambiò radicalmente quando le forze laiche imposero in parlamento la legge che permetteva, entro certe regole, l’interruzione della gravidanza, era il 1978. Ma in molte parti d’Italia, specialmente nel sud, la situazione della attuazione della legge era ostacolata al massimo dai medici cattolici, ai quali la legge permetteva la obiezione di coscienza, potevano cioè rifiutarsi di praticare l’aborto perché contrari per loro convinzione.

A Terni la situazione era da profondo sud, infatti le difficoltà ad assicurare il servizio erano dovute all’altissimo tasso di obiezioni di coscienza tra i medici, alcuni dei quali interiormente convinti ma alcun altri molto attenti alla propria carriera. Tra i medici ginecologi 13 su 16 si dichiararono obiettori,tra gli anestesisti 11 su 13, anche tra il personale paramedico molte furono le obiezioni. La legge fu maldigerita dalla Chiesa e dal mondo cattolico militante, gli stessi radicali erano molto critici su alcuni suoi aspetti tra cui quello che permetteva l’aborto solo nelle strutture pubbliche, avevano previsto infatti che le obiezioni di coscienza avrebbero ostacolato in modo pesante l’applicazione della legge. La lotta perché nella nostra città la legge fosse applicata segnò gli anni successivi tra polemiche e scontri vivaci, che raggiunsero il massimo durante la campagna elettorale del 1981. Erano in campo in sostanza due referendum,che esprimevano due posizioni molto diverse, quella del mondo cattolico che era per cancellare la legge e quella dei radicali che volevano renderla più attuabile. Una terza posizione era quella della sinistra ufficiale, vedi Partito comunista italiano, che era contrario alle due posizioni precedenti ed era per conservare la legge così come era. La campagna elettorale a Terni fu molto dura perché i cattolici, questa volta più compatti che sul divorzio, misero in campo tutte le loro risorse, mentre i radicali ternani potevano contare solo sull’apporto di Radio Evelyn e Radio Galileo era allineata sulla posizione del PCI. Le suore Paoline fecero girare per le scuole dei filmati in 16 mm dove feti di sei mesi venivano fatti passare per feti di tre e l’aborto era presentato con immagini da film dell’orrore.

Io stesso feci proiettare al Liceo scientifico “Galilei” questi filmati per contestarne la validità. Si possono immaginare le polemiche e perfino le minacce, condite dall’accusa di corruttore dei giovani, che ingenuamente le famiglie mi avrebbero affidato. Un momento importante di questa campagna referendaria fu quanto avvenne alla sala XX Settembre (pressappoco lo spazio oggi del caffè letterario della BCT) quando femministe, una addirittura venuta da Bologna, e radicali interruppero una manifestazione antiabortista con il vescovo, chiedendo un confronto che però venne rifiutato. I referendum furono respinti dai ternani con percentuali simili alla media nazionale. Rimase la legge del ’78 e rimasero tutti i problemi per la sua attuazione, problemi pagati dalle donne sulla loro pelle. Oggi, sotto le spoglie di una sua migliore attuazione, è ripartito l’attacco clericale a questa legge che comunque con tutti i suoi difetti ha garantito la libertà alle donne, ha più che dimezzato il numero degli aborti, ha quasi del tutto sconfitto l’aborto clandestino e di classe.

Marcello Ricci

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