Il governo, le proteste e Ma Anche

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Questo governo è inaccettabile sotto ogni versante. Non è credibile quando parla di lotta alla corruzione e alla mafia e ancora meno quando, in virtù della discutibile e deprecabile azione intrapresa con livore da uno dei suoi ministri più in vista e, bontà sua!, graditi alla gente, si spaccia, con millantato credito, per (risibile) riordinatore dell’amministrazione pubblica.

Per non parlare, poi, di un ministro che avrebbe meritato di essere cacciato con stampata nel didietro una bella impronta di un piede semplicemente per avere affermato, dall’alto della sua riprovevole saccenteria, che chi sceglie o ha scelto l’insegnamento sarebbe un buono a nulla.

E che dire dell’homo ridens per eccellenza, sì di lui, dell’ineffabile primo ministro? Ormai ha letteralmente lessato i marroni con i suoi giochini verbali, con le sue castronerie, più o meno minacciose, subito dopo ritratte e addebitate a distorsioni d’informazione. Fa la voce grossa con i deboli e scodinzola come un robot di latta davanti ai potenti e a chi reca in testa uno zuccotto bianco.

Adesso agli onori della cronaca è la ministra Gelmini che, a parte il cognome che fa venire subito in mente un certo ex “don” alle prese con vicende giudiziarie, fa di tutto, fallendo clamorosamente, per mostrarsi in versione edulcorata.

La sua riforma della scuola presenta come ogni cosa aspetti positivi e negativi.

Ci sta bene, ad esempio, tanto per dirne una, che il maestro unico venga affiancato da un esperto di lingua inglese ma troviamo intollerabile, oltre ogni limite di sopportazione, che venga coadiuvato non da un esperto di informatica ma dalla figura più inutile, inconcludente, inessenziale del nostro sistema scolastico, cioè il docente di religione (designato dal vescovo e stipendiato dallo stato).

Giusto pensare a ridisegnare l’università, come già da tempo sostiene, d’altronde, Giavazzi.

Gli atenei sono luoghi di baronaggio, clientelismo, parentopoli, nullificio. La dislocazione delle sedi universitarie con l’attivazione dei corsi più assurdi in centri minori risponde esclusivamente a criteri spartitori da manuale Cancelli ma non di certo alla didattica. Basterebbero tre o quattro cittadella universitarie, strutturate come campus funzionanti e dotate di tutto ciò che potrebbe renderle davvero competitive e formative. Così è in Inghilterra. Che senso ha promuovere “mini lauree” per “organizzatori di pace” o “professionisti del sapore”? Fanno semplicemente ridere i polli e ci svergognano davanti agli altri paesi. Ben venga, dunque, una riforma seria. Ma – e qui arriva la domanda- dov’è? C’è davvero? Si ottiene, per caso, diminuendo le risorse destinate alla ricerca? Suvvia, per piacere…

Detto questo, è chiaro che i ragazzi hanno ragione a protestare e fanno bene a scendere in piazza, sempre ovviamente senza mai trascendere. Dovrebbero, però, prendersela non solo e non tanto con l’incompetenza dei ministri quanto con quella di chi, a causa di una politica sciagurata mirante a polverizzare la sinistra democratica e spazi di alternativa, ha spianato la strada all’arrivo in pompa magna dell’attuale esecutivo.

Purtroppo, finché l’inesistente PD (c’è o non c’è? C’è o ci fa?) sarà guidato da un parodistico ibrido a metà strada tra Kennedy, De Gasperi e un comboniano spedito in Africa per spiegare che le ciriole sono più nutrienti della manioca l’attuale governo durerà a lungo e alla grande. Ecco perché se è doveroso indignarsi per e con le varie misure previste o adottate, è altrettanto indispensabile mandare un messaggio chiaro e inequivocabile al signor Ma Anche e alla sua congrega disertando in massa la sua chiamata alla conta decisamente ritualistica e priva di significato.

E’ ora di dire davvero basta in modo serio e costruttivo, riannodando ciò che è stato sconquassato da una non-politica scellerata, impegnandosi sin da subito per un’alternativa possibile e auspicabile. Un’alternativa, precisiamo, che non può avere come punti di riferimento né il signor Ma Anche né il molisano ritrovatosi, suo malgrado, capopopolo.

Se non si capisce questo, signori, abbiamo chiuso.

Però, in quest’ultimo caso, una preghiera: evitiamo, vi prego, di esportare in Kenya il made in Italy.

Signor Ma Anche, se proprio vuoi costruire asili o scuole a Nairobi (e magari trasferirti lì) fallo pure ma non farcelo sapere. Te ne saremo infinitamente grati.

Francesco Pullia

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