Banalità di un’enciclica

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L’enciclica “Caritas in veritate” di Benedetto XVI non aggiunge nulla di nuovo rispetto a quanto ormai conosciamo dell’indirizzo pastorale dell’attuale pontefice. Sorretta da un sostanziale impianto tomistico, è imperniata su quella concezione di umanesimo integrale che già aveva caratterizzato i predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II.

Di che si parla? Di verità assoluta, di cristianesimo come “elemento indispensabile alla costruzione di una buona società”, di critica alla “tendenza a relativizzare il vero” e al “sincretismo”. Emblematica, in particolare, l’affermazione secondo cui libertà religiosa non significherebbe indifferentismo religioso. Detto altrimenti, secondo Joseph Ratzinger le religioni non sono tutte uguali. Non solo.

Il discernimento circa il contributo delle culture e delle religioni si rende necessario per la costruzione della comunità sociale nel rispetto del bene comune soprattutto per chi esercita il potere politico”.

Chiaro no? “Tale discernimento dovrà basarsi sul criterio della carità e della verità. Siccome è in gioco lo sviluppo delle persone e dei popoli, esso terrà conto della possibilità di emancipazione e di inclusione nell’ottica di una comunità umana veramente universale. «Tutto l’uomo e tutti gli uomini » è criterio per valutare anche le culture e le religioni. Il Cristianesimo, religione del « Dio dal volto umano », porta in se stesso un simile criterio. La religione cristiana e le altre religioni possono dare il loro apporto allo sviluppo solo se Dio trova un posto anche nella sfera pubblica, con specifico riferimento alle dimensioni culturale, sociale, economica e, in particolare, politica”.

E ancora: “Nel laicismo e nel fondamentalismo si perde la possibilità di un dialogo fecondo e di una proficua collaborazione tra la ragione e la fede religiosa”.

Su questo impianto s’innesta l’attenzione ratzingeriana al sociale, con particolare riguardo alla disuguaglianze, alla povertà, alla fame causate da uno sviluppo mal distribuito, da un uso squilibrato di risorse non rinnovabili, da una tecnologia dimentica dei suoi compiti precipui, vincolata com’è ad uno sviluppo fine a se stesso. E’ a questo punto che, secondo il pontefice, deve prodursi una svolta in senso etico. Il problema è che questa etica è sempre considerata in chiave apodittica, univoca: o è derivante dalla visione cristiana o non è.

Di qui, ad esempio, l’arroccamento su una posizione nettamente contrastante qualsiasi forma di controllo dell’esplosione demografica, fenomeno che non viene affatto indicato come una delle (non la ma certamente una tra) cause del dissesto ambientale del pianeta, con, a ricasco, il progressivo depauperamento di vaste aree, la costrizione alla migrazione, lo sterminio in loco di milioni e milioni di esseri per carenza di nutrimento, l’incentivazione a violenze, esasperazioni, guerre.

Da un lato si pone “l’urgenza della riforma sia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che dell’architettura economica e finanziaria internazionale, affinché si possa dare reale concretezza al concetto di famiglia di Nazioni”, dall’altro si dice che nei paesi economicamente più sviluppati “le legislazioni contrarie alla vita sono molto diffuse e hanno ormai condizionato il costume e la prassi, contribuendo a diffondere una mentalità antinatalista che spesso si cerca di trasmettere anche ad altri Stati come se fosse un progresso culturale. Alcune Organizzazioni non governative, poi, operano attivamente per la diffusione dell’aborto, promovendo talvolta nei Paesi poveri l’adozione della pratica della sterilizzazione, anche su donne inconsapevoli. Vi è inoltre il fondato sospetto che a volte gli stessi aiuti allo sviluppo vengano collegati a determinate politiche sanitarie implicanti di fatto l’imposizione di un forte controllo delle nascite”.

Anche per quanto concerne l’ambiente, il pontefice se la prende con “atteggiamenti neopagani o di nuovo panteismo”: “dalla sola natura, intesa in senso puramente naturalistico, non può”, egli sostiene, “derivare la salvezza per l’uomo”.

Siamo alla riproposta del solito antropocentrismo che da secoli (pre)domina nell’ideologia teologica cattolica impedendo di concepire il nesso interdipendente che pone l’uomo non al centro ma all’interno del mondo naturale, come parte di un tutto e, quindi, responsabilmente partecipe dell’equilibrio planetario.

Ed ecco il punto su cui Joseph Ratzinger non smette di insistere: “Per salvaguardare la natura non è sufficiente intervenire con incentivi o disincentivi economici e nemmeno basta un’istruzione adeguata. Sono, questi, strumenti importanti, ma il problema decisivo è la complessiva tenuta morale della società. Se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale, se si rende artificiale il concepimento, la gestazione e la nascita dell’uomo, se si sacrificano embrioni umani alla ricerca, la coscienza comune finisce per perdere il concetto di ecologia umana e, con esso, quello di ecologia ambientale. E’ una contraddizione chiedere alle nuove generazioni il rispetto dell’ambiente naturale, quando l’educazione e le leggi non le aiutano a rispettare se stesso”.

D’altronde, non mancano gli strali contro eutanasia, libertà di scelta della propria morte, contraccezione, aborto legalizzato:“La fecondazione in vitro, la ricerca sugli embrioni, la possibilità della clonazione e dell’ibridazione umana nascono e sono promosse nell’attuale cultura del disincanto totale, che crede di aver svelato ogni mistero, perché si è ormai arrivati alla radice della vita (…)Alla diffusa, tragica, piaga dell’aborto si potrebbe aggiungere in futuro, ma è già surrettiziamente in nuce, una sistematica pianificazione eugenetica delle nascite. Sul versante opposto, va facendosi strada una mens eutanasica, manifestazione non meno abusiva di dominio sulla vita, che in certe condizioni viene considerata non più degna di essere vissuta”.

Non sappiamo quale importanza verrà attribuita al testo ratzingeriano nel dibattito culturale (e non solo). Certo è che non rappresenta, a nostro modesto avviso, un salto qualitativamente in avanti. Anzi, sia detto senza alcuna polemica pretestuosa, conferma quella carenza di profondità da noi più volte riscontrata nel pensiero del papa tedesco.

Francesco Pullia

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