Un caffè di Gramellini? No grazie ci rende nervosi.

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Che il Corriere della Sera sia da sempre amichevolmente chiamato Il Pompiere della Sera è cosa risaputa.

Che la sua natura principale (anche se con non trascurabili contributi non allineati) sia quella di un quotidiano borghese nazional-popolare lo sappiamo fin dalla tenera infanzia.

Che i caffè dei suoi editorialisti possano render quindi nervosi i lettori di area politica ben diversa ci può stare. Però se il caffè fa così schifo che lo devi sputar via per non vomitare c’è qualcosa che non va.

La polemica di cui non si sentiva la mancanza e di cui, per inciso, non si sentiva neanche la mancanza che il Gramellini la riprendesse per il suo caffè, è quella di Cristina d’Avena sul palco della festa di Fratelli d’Italia e degli insulti ricevuti sui social network per questa sua presenza.

Notate bene: sui social network. Dove ogni personaggio pubblico riceve carrettate di insulti non per l’appoggio ad un partito piuttosto che ad un altro, ma anche semplicemente per aver detto che a lui l’aranciata non piace.

Ovviamente il grande e coraggioso Cavalier Servente Gramellini di fronte a cotale offesa non può che spendere le righe del suo caffè per salvare la pulzella in pericolo. E non glie ne vogliamo mica per questo, è pur sempre un editorialista del Pompiere della Sera, che diamine!

Tuonano le righe del suo caffè: Cristina d’Avena ha il sacro diritto di andare a cantare dalla Meloni anche se nel passato ha sostenuto le battaglie lbgtqia+ (attentissimo a tutte le lettere e simboli in siffatta situazione).
Oh poffarbacco, e chi glie l’avrebbe tolto codesto diritto all’italica puffetta? Nessuno, infatti ci è andata e pensiamo sia stata anche pagata per questo.

Ora però, dato che siamo in democrazia e non in una dittatura come preme ricordare spesso al Gramellini, bisognerebbe anche consentire che agli organizzatori dei Pride (che sono feste fatte per rivendicare i diritti delle comunità lbgtqia+ vale la pena ricordarlo) a cui la D’Avena ha partecipato spesso negli ultimi anni (presumiamo con regolare cachet, una delle ultime occasioni è stato il Padova Pride di giugno 2022) girino un po’ i testicoli, le gonadi e le mammelle.

Perché sarà pur vero che la coerenza è un vecchio retaggio del passato in questo letamaio di mondo, ma vedere nel giro di pochi mesi lo stesso artista sostenere la festa in cui si dice che uomini, donne, omosex, bisex, etero, trans o queer devono avere tutti gli stessi diritti e poi sostenere la festa di un partito che rivendica il sacro diritto di negarli, potrebbe decisamente essere troppo anche per questo letamaio di mondo. E, addirittura, anche per questo paese.

Ovviamente chi ha esagerato in minacce e ingiurie contro la puffetta confusa (e/o opportunista) pagherà nell’appropriata sede; ma per il resto se qualcuno esprime anche in modo duro il disappunto contro l’ambiguità dell’artista ciò rientra in quella cosa che si chiama “libertà di espressione” e che il Gramellini, quando se ne ricorda e/o gli fa comodo, difende a spada tratta.

La cosa sarebbe potuta finire qui, magari facendo capire alla D’avena di non meravigliarsi se non la chiameranno più a suonare a quei Pride che le hanno consentito di rilanciarsi (ovvia, bisogna pure ammetterlo che senza la goliardia di quelle feste riproporsi a cinquant’anni quando il più grande successo del proprio repertorio si chiama Kiss me Licia non sarebbe stato così facile).

 

Il nostro editorialista però, come spesso gli succede, vuole strafare; non si limita a difendere la D’Avena ma, dopo aver fatto una battuta pessima (un gioco di parole tra “oro” e “Sumahoro”… roba così di basso livello che se ne sarebbe vergognato anche Travaglio), riesce a paragonare l’attacco subito nei social network da Cristina D’Avena all’impiccagione in piazza dei ribelli iraniani che hanno protestato contro il regime degli ayatollah.

È evidente che Gramellini sa di star scrivendo una gran porcata; una porcata vigliacca per di più. Quei ragazzi in Iran vengono uccisi perché chiedono diritti. Fra cui ci sono anche gli stessi diritti che chiedono i movimenti lbgt qui in Italia e che il partito della Meloni vuole continuare a negare. Quindi in questa polemicuccia (forse l’unica parola usata in modo proprio in tutto l’editoriale) Gramellini riesce non solo a fare un paragone indecente, ma lo fa scambiando i ruoli in esso; ovvero facendo intendere che i “veri rivoluzionari iraniani” qui starebbero con la Meloni. E con Cristina D’Avena ca va sans dire.

Lo sa benissimo di star scrivendo una porcata vigliacca, perché la preannuncia con “mi perdonerete il cambio di scenario e di tono”.

Eh no, non perdoniamo proprio nulla stavolta. Altro che caffè, questa ciofeca imbarazzante e inopportuna ingozzatevela nella vostra redazione.

Alessandro Chiometti

 

foto Gramellini: Di Niccolò Caranti – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=21214697
foto D’Avena: Di Romeparis – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=19728343

17 Dicembre 2022   |   articoli, attualità   |   Tags: , , , , ,