To Rome with love

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A Roma con amore… e tu pensa se gli stavamo antipatici ad Allan Stewart Königsberg, in arte Woody Allen, quello che poteva combinare! Se si giudica questo film subito dopo averlo visto si ha la tentazione di non recensirlo neanche, di  tirare lo sciacquone senza indagare se c’è qualcosa da salvare o meno. Non tanto per gli insopportabili stereotipi sugli italiani (non manca niente, dalla sottoveste delle donne alla canottiera fantozziana dell’improbabile abitante di un attico che dà su Piazza di Spagna), quanto per l’incredibile quantitativo di marchette pubblicitarieinserite a forza dentro ogni fotogramma del film. Facendo un breve e non esaustivo elenco possiamo citare a memoria: Peroni, Illy, Fiat, Lancia, San Benedetto, Beretta, Ferrari (lo spumante), Mutti… insomma tutto il Made in Italy che in genere siamo abituati a vedere negli spot pubblicitari della tv, solo che qui siamo al cinema e abbiamo pagato il biglietto. Ma sta messo così male il signor Allen dopo il divorzio da Mia Farrow? Il risultato comunque è davvero imbarazzante, infastidisce lo spettatore e toglie credibilità al film. Che per inciso già di suo è poco credibile.

Dicevamo degli stereotipi. Oltre a quelli già citati c’è l’italiano che canta l’opera sotto la doccia e diventa una star internazionale, l’escort che conosce tutta l’alta società romana, la moglie gelosa che tenta di accoltellare chi vuole sedurre il marito con il red carpet e l’attore italiano marpione che non sa tenere a bada l’uccello nelle mutande ma in realtà ha una paura tremenda della moglie.

In tutto questo marasma di celluloide due colpi di genio del regista che quasi non fanno rimpiangere gli euro del biglietto. Innanzitutto la storia che ha come protagonista Roberto Benigni, volta a ridicolizzare il giornalismo nostrano che è pronto a creare miti dal niente e a dimenticarli in un fine settimana dopo che li ha tempestati di domande indimenticabili su quale lametta usano per fare la barba o quale mano usano per grattarsi la testa. Poi il personaggio di Alec Baldwin che si aggira come un fantasma ripercorrendo quasi guccinianamente una storia d’amore attraverso un suo alter ego più giovane che vorrebbe consigliare e supportare, ma anche se fosse realmente presente al suo fianco non potrebbe aiutarlo. Due chicche degne del genio di un artista che ci ha abituato al meglio e che difficilmente riusciamo a riconoscere nelle sue ultimissime produzioni. Gli stereotipi, al limite, possiamo anche perdonarglieli (in fin dei conti se continuiamo ad esportare all’estero la nostra cultura fatta di Moccia, Tamaro e Vanzina cosa pretendiamo?), ma l’insopportabile kermesse pubblicitaria se la poteva davvero risparmiare.

J. Mnemonic

22 Maggio 2012   |   articoli, recensioni   |   Tags: , , , ,