Sull’ironia, i crocifissi e la laicità della scuola

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L’ironia, quando non è strumento del potere, che obbliga alla risata di regime, ma mira ad evidenziare le contraddizioni dello stesso, fa sempre bene; il potere giudiziario, dopo tutto fa parte di quella triade che abbiamo ereditato dalla modernità e che, formalmente divisa, appartiene e concorre a formare la cultura politica di un paese. Da noi le sentenze non fanno legge, come altrove, ma quando sono innovative, quando si inseguono copiandosi a vicenda (ovvero quando fanno dottrina), lasciano il segno o – meglio – rendono visibile un mutamento. C’è una tradizione giuridica, sospesa tra il pensiero marxista e quello realista, che ci dice una cosa semplice: le sentenze sono semplicemente la conferma di quello che vige nella società; il giudice – detto altrimenti – emette un parere di conformità. Sotto questo aspetto dovremmo quindi dire che la democrazia della maggioranza vince o che il potere è degli studenti. Si tratta evidentemente di un abbaglio o, per farla più semplice, della patina che questa sentenza pone al di sopra di una vicenda e – nel caso preso in esame – di una sentenza che dice ben altro: la volontà degli studenti deve essere rispettata, perché è conforme al pensiero oggi dominante e al potere effettivo che orienta tanto il decisore politico quanto l’amministatore di condominio. Quindi ben venga l’ironia anche quando a "subirla" sono giudici o procuratori.

Mi vorrei, quindi, soffermare sul fatto che una classe possa decidere del proprio ambiente; penso che sia una vicenda da leggere più in profondità, poichè – con una vena di sarcasmo – mi viene spontanea una domanda: se un numero consistente di classi decidesse da un giorno all’altro di togliere il crocifisso per mettere la scritta "venceremos", cosa accadrebbe? Si tratta di un fatto, uno dei tanti – preciso – effettivamente avvenuto in occasioni di autogestioni o di occupazioni promosse dagli studenti, la cui volontà democratica viene oggi incensata ed onorata dalla sentenza. E’ evidente che se tale circostanza dovesse verificarsi vedremmo un ribaltamento delle parti. Ma è altrettanto inverosimile che ciò avvenga davvero o almeno ci sono buone ragioni per dubitarlo. Il punto, però, non è – come comunemente si legge questa annosa discussione – cosa ci debba o non debba stare dentro un’aula (la bandiera, la foto di Napolitano, la bandiera della Pace, il crocifisso o il profilo di Garibaldi…. etc etc etc), ma cosa ci sta a fare e – soprattutto – chi decide la funzione di tale oggetto simbolico. Credo che condurre battaglie partecipate o levare accuse fondate di fronte ad un crocifisso sia più forte che in sua assenza, perché la sua presenza – in tali circostanze – sarebbe semplicemente evanescente; quando nelle occupazioni degli anni ’90 al suo posto compariva la scritta "torno subito" era raro trovare docenti o studenti che levassero l’accusa di blasfemia o lamentassero uno scarso rispetto nei loro confronti; ciò avveniva semplicemente perché non era "il" problema. Per questo motivo la questione del crocifisso da togliere ad ogni costo è diventata una battaglia così accesa, perché riaccende non tanto il dibattito sulla sua funzione (reale o presunta), ma quello, ben più importante, su chi abbia il diritto effettivo e definitivo di dare un senso alla sua presenza. Quindi allo stato attuale ben vengano battaglie contro i crocifissi, perché non farebbero altro che confermare la supremazia e l’egemonia politica della cultura cattolica ufficiale. Tutto ciò, mi dispiace dirlo, anche grazie a campagne maldestre di sedicenti leader musulmani o di chi pensa che partire dall’ultimo dei problemi sia un modo per difendere la laicità. La questione del rispetto religioso non c’entra proprio nulla; dopo tutto gran parte dei figli e delle figlie degli imam, in modo particolare di quelli con un notevole bagaglio culturale, vengono mandati a studiare non nella "laica" scuola pubblica, ma negli istituti religiosi cristiani ed ovviamente cattolici, perché in tali sedi la loro spiritualità viene riconosciuta appieno, nonostante la scontata e numerosa presenza di croci. Dico ciò convinto che ogni passato e – speriamo di no, futura – sospensione di incarichi educativi o sanzioni sono semplicemente inqualificabili e deprecabili, in modo particolare se vengono usate come clava contro un legittimo, sebbene mal posto, diritto di critica. La questione centrale, come stavo dicendo, è che non si può pretendere di vincere una battaglia di questo tipo se nel frattempo passa – ad esempio – una messa in ruolo di massa di docenti nominati dalla curia. E’ evidente che tra le tante partite quest’ultima segna l’ennesima genuflessione alla volontà delle gerarchie della CEI e del Vaticano. Il dibattito sul crocifisso si presenta, così, come una battaglia persa, proprio perché fatti ben più consistenti non sono oggetto di altrettanta attenzione mediatica e critica da parte delle forze laiche. Il crocifisso non può essere l’oggetto di una battaglia e – tanto meno – "della" battaglia, perché – in realtà – è il termometro della stessa, dunque di un clima culturale più generale. Nel caso in cui si giungesse ad una vittoria questa sarebbe la classica vittoria di Pirro. Permettere ad un docente, ad un giudice o ad un pubblico funzionario di togliere quel simbolo durante le sue lezioni, durante l’udienza, per poi riporlo al suo posto non restituisce laicità alla scuola e non risolve i problemi che la attanagliano. Si tratta di una iniziativa che non segnerà mai una sconfitta del Vaticano. Al contrario, se tale opera di rimozione avvenisse senza scalpore sarebbe il segno di un mutamento più profondo, che è quello che ci aspettiamo tutti; per poterlo fare occorre, però, che ci si occupi di altro, ponendo la questione della laicità dove essa è effettivamente posta in discussione.

emmekappa

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