SE LA PAROLA E’ LAICITA’ LA COERENZA NON E’ IL NOSTRO FORTE

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Vi ricordate il giudice Luigi Tosti ?  Vi ricordate la sua battaglia per la questione dei crocifissi nelle aule di giustizia ?  Ricordate com’è finita? La Corte di Cassazione ha confermato la rimozione del giudice dalla magistratura in quanto l’esposizione del crocifisso negli edifici pubblici “può non costituire necessariamente minaccia ai propri diritti di libertà religiosa”, e pertanto il giudice era tenuto all’adempimento del proprio dovere nonostante la presenza del simbolo cattolico.

Ricordate il Dott. Massimo Albertin ? (che dopo aver condotto insieme a sua moglie una battaglia civile per la rimozione dei crocifissi dalle aule scolastiche, si è ritrovato prima con una sentenza della CEDU che gli dava ragione, affermando che un simbolo religioso in un luogo pubblico può diventare una violazione dei diritti umani, e poi con un ricorso alla stessa sentenza portato dai paesi più confessionalisti della UE attraverso cui si è conseguito il risultato praticamente opposto: ossia che l’esposizione di un simbolo religioso in luogo pubblico NON costituisce violazione dei diritti umani).
In entrambi i casi, secondo la giurisprudenza italiana e (ancor peggio) europea, chiunque sarebbe libero di imporre agli altri la propria religione in un luogo pubblico (senza che questo costituisca prevaricazione) attraverso l’esposizione dei propri simboli in particolare in quei luoghi pubblici che in uno stato laico dovrebbero essere neutrali a qualsiasi convinzione personale (religiosa o non ) dei cittadini.
Si noti che tanto la “vicenda Tosti” quanto la “sentenza Lautsi-Albertin” non entravano nel merito della libertà individuale di vestire o indossare simboli secondo le proprie convinzioni religiose, ma  di un codice comportamentale che la collettività intera dovrebbe adottare verso tutti i cittadini che la compongono indipendentemente dalle convinzioni personali di ciascuno (e che invece è ancora ben lontana dal recepire).

Recentemente è comparso su “La Repubblica” un articolo  che descrive una situazione ancor più paradossale: una cittadina di religione islamica a Torino è stata costretta ad allontanarsi da un’aula di giustizia perché ha rifiutato di levarsi il velo.
Stiamo parlando quindi di una persona che non è entrata nell’aula del tribunale pretendendo che venisse esposto un verso del Corano (anche perché secondo il ricorso alla CEDU che ha azzerato la “sentenza Lautsi-Albertin” avrebbe avuto il diritto di farlo), ma di una persona che, per proprie convinzioni personali, veste in un certo modo coprendosi il capo (ricordiamo che l’art. 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo cita testualmente: “Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti.”)
Ora della questione se ne occuperà il CSM: quello stesso CSM che ha stabilito che è lecito esporre il crocifisso nei tribunali (espellendo il Giudice Tosti dalla magistratura) e a cui ha fatto eco la CEDU dichiarando che è perfettamente normale avere simboli religiosi nei luoghi pubblici (confondendo così la laicità col multi-cofessionalismo); sarà divertente vedere se le stesse persone che hanno deciso che non è reato imporre a tutti una religione, diranno invece che è reato manifestarla individualmente come sancito dall’art. 18 della Dichiarazione Universale.

Francesco Saverio Paoletti

16 Novembre 2011   |   articoli, attualità   |   Tags: , , , ,