Perché la Sindone di Torino non é il lenzuolo funerario di Cristo

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In occasione della nuova “ostentazione” riteniamo utile riproporre lo studio di Maurizio Magnani.

Stante che sei miliardi di persone nel mondo non s’importano nulla della Sindone, oltre cinque miliardi nemmeno di Gesù Cristo e che una parte dei cristiani detesti il “paganesimo” dei cattolici, con le centinaia dei loro santi e la primordiale venerazione di reliquie (ebrei e musulmani considerano politeisti i cristiani, non avendo il Dio unico generato alcun figlio, secondo loro, ovvero Dio non si è fatto carne), la questione della Sindone va affrontata con la competenza e la serietà di chi desidera conoscere le cose del mondo, non trascurando neanche quello che altri giudicano inezia o superstizione. Quattro secoli or sono, Galileo (e altri scienziati e filosofi a seguire) ci ha fornito un prezioso suggerimento sul modo d’indagare la realtà, in maniera da avvicinarci il più possibile a una sua interpretazione affidabile, alla sintesi di una “mappa” attendibile del “territorio”. Egli ci parlò di “sensate esperienze e necessarie dimostrazioni” ammonendoci sulla modalità di raccolta, misurazione e registrazione delle esperienze, sia osservative che sperimentali, sia sensoriali che strumentali, ma anche di come la loro interpretazione dovesse seguire le regole indicate dal buon ragionare, dalla logica (le necessarie dimostrazioni) che è logica formalizzata, onde pervenire a una teoria, un quadro complessivo e integrato dei dati che sia coerente, ma anche che converga e concordi con altri dati e teorie esterne. In altre parole, non è sufficiente che una teoria o una tesi possieda una coerenza propria, ossia che al suo interno i dati trovino inquadramento e spiegazioni collimanti, non contraddittorie, resistenti a tutti i tentativi di confutazione e critica (la falsificazione di Karl Popper) ma è importante che essa converga con altre teorie e dati esterni, per esempio chimico-fisici, archeologici, antropologici, in una collettiva concordanza priva di dubbiosità, crepe, antinomie. Nel caso della fisica della materia, tanto per rifarci a una scienza esatta, la Teoria standard delle particelle mostra una ragguardevole coerenza interna, e così pure l’Astrofisica della sintesi stellare e dell’evoluzione degli oggetti astronomici, eppure siamo ancora lontani dall’affermare che le due teorie siano incontrovertibilmente compiute, anzi, esse si confrontano di continuo, alla ricerca di quella convergenza, di quel reciproco sostegno che dia a entrambe la concordanza sufficiente per corroborarsi vicendevolmente.

Veniamo alla Sindone, quella di Torino, una delle almeno quaranta sindoni (= lenzuolo, in greco) replicate nei secoli, insieme a una infinità di altre reliquie, incluse le piume dell’arcangelo Gabriele, da artisti e falsari di ogni genere ad uso e consumo dei pellegrini. I sindonologi cattolici reputano la reliquia torinese il sudario in cui Giuseppe di Arimatea avvolse la salma del Cristo, deposto dalla croce due o tre giorni dopo la morte. Chiunque abbia una minima pratica negli accertamenti giudiziari, nelle indagini di polizia forense, chiuderebbe la faccenda della Sindone con un “non luogo a procedere” poiché non abbiamo prove certe, scientifiche, né le avremo probabilmente mai, dato che nessuno raccolse reperti autenticati e precisamente identificativi di Gesù Cristo, come sangue e tessuti col Dna, impronte digitali o retiniche, o anche solo ritratti e calchi facciali vidimati da un notaio dell’epoca. Al massimo possiamo confrontare il Dna raccolto sul telo torinese con quello estratto da una qualche altra reliquia attribuita al Cristo (prepuzio circonciso, chiodi della croce, tuniche, spugna col fiele, punta della lancia che lacerò il costato, ecc): già, ma quali delle migliaia di copie sparse sul pianeta, ciascuna rivendicata originale, tanto che in passato si combatterono perfino guerre tra vescovadi contrapposti possessori di reliquie identiche? Ci tocca, allora, lasciare tutto nel mistero, facendo felici chi dal mistero trae conforto per le proprie credenze e tesi? oppure procediamo per via indiziaria accontentandoci di avvicinarci, per approssimazione, a una ricostruzione verosimile delle vicende della Sindone, giungendo a un verdetto probabilistico? I sindonologi hanno abbandonato ogni titubanza e si sono indaffarati nel far luce sul loro oggetto di culto con indefessa dedizione, pervenendo a un risultato che, secondo loro, chiarisce la vera origine del telo sindonico, autentico sudario di Gesù di Nazareth. Chi invece si oppone a quel risultato non rimprovera ai cattolici la fede religiosa ma il procedimento d’indagine, viziato in ogni fase proprio dal desiderio di pervenire alle conclusioni sperate e auspicate dalla fede. Vediamo.

Il procedimento di accertamento sulla Sindone, dovrebbe seguire tra fasi successive e conseguenti:

1) Accertamenti scientifici e storici sul lenzuolo e l’immagine impressavi sopra, ovvero datazione del telo, sua origine, natura dei materiali, modalità di formazione dell’immagine, e così via; in tal modo, potremmo sapere se la Sindone risale all’epoca presunta in cui visse Gesù, se in essa vi fu avvolto effettivamente il corpo di un uomo morto per crocifissione, se i fluidi corporei e non pitture o altri mezzi fisici o chimici hanno determinato la comparsa della figura sul telo, e altro ancora;

2)Identificazione delle caratteristiche del soggetto la cui effige è sul lino, in maniera da esser sicuri che l’uomo della Sindone fosse un uomo vissuto nel primo secolo, con determinate caratteristiche somatiche, una data età, un volto con date fattezze, eccetera; non avremmo comunque il nome di costui, la sua identità anagrafica

3)Fase del raffronto tra l’uomo della Sindone e Gesù Cristo; essa ci avvicinerebbe al riscontro d’identità tra i due soltanto se potessimo comparare i tratti fisici, i dati antropometrici (altezza, peso, punti di repere cranici e ossei), particolari anatomici, oltre che le modalità di morte e peri-morte (segni di tortura, ecc). Per un confronto ineccepibile, dovremmo avere certezze intorno al Cristo, escludendo sosia o persone rassomiglianti oppure altri errori concernenti la persona fisica, ricorrendo a documenti certi d’archivio o testimonianze certificate.

La questione se Gesù sia Iddio fattosi uomo e, dunque, l’uomo della Sindone sia il Cristo figlio di Dio e Dio medesimo incarnato, è questione di fede, che non discutiamo in questa sede.

Sviluppiamo le tre fasi descritte, in modo sintetico, dacché codesto è un articolo e non un libro, traendo il materiale d’indagine da alcuni autori, quelli che si sono segnalati per una particolare ricorrenza dei loro studi nella oceanica bibliografia sul lino di Torino.

Fase 1 -Non possediamo notizie sicure sulla Sindone fino a metà del 14° secolo, allorquando comparve in Francia, a Lirey, ma subito dopo (1390) il vescovo di Troyes (nella cui diocesi si trovava Lirey) denunciò a papa Clemente VII la reliquia come imbroglio architettato dalla famiglia De Charny, nelle cui mani apparve il telo, per sfruttare la credulità popolare a proprio vantaggio. Sebbene per qualche storico la Sindone fossa custodita a Edessa, in Turchia, dalle origini paleocristiane fino al 944 d.C. (per poi passare a Costantinopoli, Atene, e in Francia) e per qualcun altro sia lo stesso oggetto nominato Mandylion (un grosso fazzoletto col volto, o forse un corpo intero, ma di uomo non morto), in verità siamo in presenza di testimonianze frammentarie, confuse, perfino contraddittorie. Anche il rimando alla “Dottrina di Adda” e altri vangeli apocrifi, per confortare la tesi di un antico lenzuolo, è di comodo, giacché poi vengono ignorate tutte le altre tesi di quei vangeli definiti appunto “apocrifi”. Non si dolgano gli storici cattolici se non accettiamo come essi piegano la storia e le testimonianze a loro convenienza, ma le verità storiche vanno accertate collettivamente e con approccio confutativo e critico a quello di chi è partigiano.

– Il 14° secolo era fucina di reliquie, che avevano un mercato florido, particolarmente in Francia dove divenne ricorrente, nella settimana di Pasqua, recitare scene della flagellazione e crocifissione di Cristo, utilizzando statue in legno o in gesso cosparse di sangue o di pigmenti e poi avvolte in teli e deposte in un sepolcro: si sviluppò così la tradizione delle sindoni, costruite a decine in quel periodo, insieme a migliaia di altre reliquie: anche gli storici cattolici lo confermano. Non è da escludere che i cristiani francesi (e non solo) fossero a conoscenza dell’antico culto di Frigia (Turchia!) del Dio Atti o Attis, un Salvatore messianico nato da una vergine e che per teocrasia (fusione dei culti degli dei) confluì nel Dio salvifico Mitra, il Redentore “sole invitto” festeggiato il 25 dicembre, anche a Roma, e che per molti versi è assimilabile a Gesù Cristo. Ebbene, Atti era appellato “il Soter del sepolcro vuoto”, il Salvatore della “Sindone”, perché i suoi fedeli veneravano, parecchi secoli prima dei cristiani, il sudario con impressa l’effige del loro Dio avvolto in esso dopo la morte.

– I vangeli canonici si contraddicono sulla deposizione di Cristo, e comunque mai si soffermano sui dettagli, tanto meno descrivendo un telo non molto largo ma lungo diversi metri, piegato in due a formare un fronte e un retro: i tre sinottici parlano di un lenzuolo, mentre Giovanni parla di bendaggi applicati dopo unzione corporea con abbondanti oli appositi, come in effetti era in uso fare tra gli ebrei. I vangeli non hanno attendibilità storica inappuntabile, come tutti gli esegeti e storici del mondo attestano, tranne i cristiani integralisti, pertanto non è possibile tentare confronti affidabili tra reperti concreti e le narrazioni evangeliche, anche perché artisti e falsari si sono proprio ispirati ai vangeli nel fabbricare i loro oggetti, spacciati per reliquie, ciascuno aggiungendo del proprio, mentre molti, troppi scienziati cristiani hanno diretto o adeguato le loro ricerche ai vangeli. E così avviene ancora oggi tra i sindonologi. Pur ammettendo, ma non concedendo, che i vangeli canonici ci raccontino la cronaca fedele della morte e deposizione di Gesù, avremmo comunque contraddizioni interne nei testi e con la reliquia, dato che secondo Giovanni dovremmo trovare untuosità e oli sul telo, mentre per i sinottici avremmo un lenzuolo applicato su di un corpo non lavato e sanguinolento, ma il sangue coagulato e rappreso di due o tre giorni non lascerebbe mai le tracce e i segni osservabili sulla Sindone. E vi sono altre discordanze tra i vangeli e il lenzuolo di Torino, come il lato della ferita al costato, le dita lunghissime della mano destra (non della sinistra), soprattutto l’indice più lungo del medio, a configurare un’anomalia anatomica rilevante eppure mai segnalata da alcuno scritto neotestamentario (la quale ci avrebbe dato un segno di riconoscimento non da poco) e spiegabile molto meglio con una disattenzione di un falsario. Appartengono poi all’immaginario cristiano, non alle usanze romane di crocifissione né a quelle giudee di sepoltura, un solo chiodo per unire i due piedi oppure incrociare le braccia con le mani a coprire i genitali, atto di pudicizia di un artista più che pratica funeraria ebraica su di un corpo flagellato e martoriato. A tal proposito, tra i giudei era considerata seria impurità, perciò peccato grave sanzionabile anche con la morte, manipolare più del necessario un cadavere, nonché trafficare con bende o altri oggetti sporchi di sangue di un morto ( non si dica che Giuseppe di Arimatea non seguiva la legge della Torah, dato che per i vangeli costui era membro autorevole del Sinedrio).

-La stoffa della Sindone è un lino con tessitura a lisca di pesce, considerata dagli archeologi troppo complessa per i telai in auge nel 1°secolo, non per quelli del tredicesimo. Riguardo i pollini ritrovati sul telo, datati in laboratorio e che confermerebbero la sua origine medio-orientale del primo secolo, essi non sono invece mai stati datati (lo ha denunciato lo stesso scienziato che ha studiato i pollini), inoltre, sono stati rinvenuti su di esso anche pollini di piante già estinte prima dell’anno zero (i pollini resistono a lungo); ancora oggi si rinvengono in fibre vegetali dei pollini di piante di cinquantamila anni fa o più. Dunque, l’esame dei pollini è inconcludente.

-Secondo alcuni sindonologi, si vedrebbero sul telo di Torino delle tracce spiraliformi riferibili a una moneta applicata su di un occhio, coniata al tempo di Ponzio Pilato; per altri, addirittura, si leggerebbe una scritta, in tre lingue (latino, greco e aramaico) lasciata da un cartiglio, che reciterebbe “Gesù Nazareno deposto sul far della sera, condannato a morte perché colpevole”. Oltre a costituire gravissima violazione della legge ebraica il porre oggetti su di una salma, con pena fino alla lapidazione, e oltre a non garantirci nulla sulla identità del sepolto (ma qui bisognerebbe aprire la discussione sulla inesistenza di Nazareth nel primo secolo e sul significato di nazareno-nazireo), quelle tracce e quelle scritte sulla Sindone non sono state riscontrate dagli specialisti non cattolici, i quali hanno evidenziato, invece, sporco e strinature sulle fibre di lino in quei punti. Comprendiamo la insistenza di probi fedeli come la sindonologa Barbara Frale, che insistono nel leggere ciò che altri non leggono (e non lo hanno mai letto per decenni prima di lei), ma psicologi e poeti sanno bene che il cervello interpreta ciò che l’occhio gli invia, talché in una stessa nuvola o in uno schizzo di fango su di un muro, il cristiano vede il profilo di Cristo e l’indù quello di Krishna. E quand’anche la scritta derivasse dal cartiglio e il segno spiraliforme dalla moneta, non avremmo prova che il telo è del primo secolo, non più che ritrovare un oggetto etrusco in una capanna e sostenere che essa fu eretta al tempo degli etruschi; anzi, semmai sostiene la tesi del falsario, che per spacciare il suo manufatto per originale ci avrebbe piazzato un oggetto del tempo, magari falsificando anche quello. La tesi, poi, che moneta o cartiglio furono collocati sul corpo di Gesù dai discepoli, per riconoscerlo successivamente, è pretestuoso, ancor più considerata l’anomalia delle dita lunghe di una sola mano che sarebbe stato segno più che distintivo; oltretutto, i vangeli ne uscirebbero male, dato che raccontano di un sepolcro appositamente preparato per il Cristo e del suo ritrovamento immediato (vuoto) dopo tre giorni.

-L’immagine della Sindone non è certamente un dipinto tradizionale, né sono accreditabili varie teorie come quelle di un manufatto Leonardesco, ma l’insistenza dei fedeli sulla natura sovrannaturale dell’impressione della effige è irritante: l’impronta in negativo si è sviluppata per ingiallimento ossidativo delle fibre di cellulosa. Il sangue ritrovato sul lino è solo in tracce, e un esame ha riscontrato essere appartenente a una donna, segno evidente d’inquinamento del telo, passato per molte mani. Gli esami effettuati sul sangue non sono stati dirimenti, in alcun modo. E il sangue è un fluido altamente disponibile e usato da artisti e falsari di ogni epoca.

-La datazione col radiocarbonio, effettuata nel 1988 in tre laboratori indipendenti, ha decretato che la Sindone è del 14° secolo (e ciò convergerebbe con i dati storici e altre prove scientifiche sul telo), collocabile in particolare tra 1260 e 1390. Questa datazione è stata contestata con diverse argomentazioni, a partire da quelle di un imbroglione russo a cui è stato dato credito oltre il dovuto, poiché quel tal Dmitri Kuznetsov garantì d’aver svolto indagini in istituti e biblioteche russi e uzbeki che poi si è scoperto neanche esistere. Secondo il russo e altri dopo di lui, i fumi di un incendio, quello di Chambery, avrebbe “ringiovanito” il lino, con rapporto di Carbonio14/12 inferiore, confondendo i risultati della datazione. Un secondo ordine di contestazione è di tipo statistico, come quella di Giulio Fanti di Padova, secondo il quale, l’intervallo di date fornito dalla indagine col radiocarbonio, eseguito su piccolo pezzo di stoffa, è troppo ampio per essere attendibile, e proverebbe l’inquinamento ambientale del tessuto, facendolo apparire assai più recente. Le due argomentazioni sono accettabili ma sono molto tirate. Vediamo perché. Il fumo dell’incendio di Chambery o di altri incendi, nonché inquinanti ambientali chimici, biologici e perfino fisici, non sono esclusivo problema della Sindone ma di qualsiasi reperto archeologico o paleologico o storico. I chimici e fisici specialisti in radiodatazione lo sanno da decenni e preparano i campioni da repertare con appositi lavaggi e trattamenti che allontanino gli inquinanti, i quali sono per lo più sugli oggetti e non incorporati negli oggetti (nelle fibre di cellulosa del lino). I tre laboratori hanno seguito tecniche diverse di preparazione (questo può spiegare in parte le divergenze di date tra di essi, divergenze accettabili in termini percentuali), ovvero hanno dilavato in gran parte la fuliggine dell’incendio e altre sostanze cosicché, sebbene la datazione possa essere risultata non precisissima, essa potrebbe aver errato di 100 o forse anche 300 anni, ma non certamente di 1200 anni. I tre laboratori hanno indicato in media la data del 1325 d.C circa, con indice di dispersione (errore standard), in più o in meno, di 70-75 anni, e intervallo fiduciale o di confidenza del 95%. Lo scostamento di 70-75 anni, rispetto a 1325 corrisponde a poco più del 5%, ma rispetto ai 5770 anni del tempo di dimezzamento radioattivo del C14, corrisponde allo 1,3% , valori non precisissimi, ma che pongono al riparo da qualsiasi presunto grossolano errore. Una nuova datazione non si discosterebbe molto da quella ottenuta: il telo è e resta del medioevo, secondo la fisica dei radionuclidi. Non discuto, invece la contestazione concernente il pezzo di stoffa studiato, che sarebbe stato prelevato da un rammendo medioevale della Sindone, ma mi domando dov’erano i sindonologi custodi della reliquia quando fu autorizzato il prelievo. A questa obiezione si può porre subito rimedio prelevando altro pezzo, ma in 22 anni non si è dato seguito a nuovo prelievo. O i sindonologi non credono nella loro stessa obiezione? Resta il fatto che il povero vescovo torinese che acconsentì al primo esame del telo è stato aspramente criticato e subissato di lettere anonime minacciose. Nel nome della verità.

Fase 2 – Osservando l’immagine sulla Sindone, non si può fare a meno di notare che l’uomo ritratto ha fattezze più caucasiche, germaniche o medie-europee, che fattezza semitiche, sia per il volto che per la corporatura e gli arti, pertanto è legittimo dubitare che non si sia in presenza del vestigio di un giudeo. D’altra parte, non v’è un solo scritto neotestamentario che sostenga che Gesù era diverso dagli altri ebrei del suo tempo, più alto, con viso allungato, dolicocefalo, ecc.

-Alcuni anni fa, il Prof. Richard Neave, anatomo-patologo dell’università di Manchester, Inghilterra, ha coordinato un progetto, costato due milioni e mezzo di euro, basato sulle tecniche di ricostruzione del volto (usato dalle polizie scientifiche all’avanguardia) a partire da dati craniometrici, ossei facciali e antropometrici ottenuti da scheletri di palestinesi di duemila anni fa. Integrando il suo lavoro con quello di altri specialisti, inclusi esperti anatomisti e artisti che hanno studiato affreschi siriani del VI° secolo, Neave ha elaborato una immagine computerizzata di un ebreo palestinese del primo secolo: con tutte le varianti possibili, il ritratto ottenuto differisce moltissimo dall’uomo della Sindone, con tratti assai più brevilinei, viso tondeggiante, naso con radice ampia e altri tratti tipicamente medio-orientali.

– Lo studiosi cattolico Carlo Papini, con grande onestà, sottolinea come l’uomo della Sindone non appare essere stato vittima di crocifissione alla maniera romana: la scoperta dello scheletro di un ebreo di nome Jehohanan (Giovanni), crocifisso a Gerusalemme nel primo secolo, mostra che la prassi della crocifissione romana era diversa da quella presupposta nella Sindone (Micromega, n° 4, 2000)

Fase 3 – Non è possibile sviluppare questa fase rispettando adeguatamente principi logici e scientifici d’accertamento della realtà, a cominciare dal fatto che i dati della fase due suggeriscono che l’uomo della sindone non sia rassomigliante ad un semita del primo secolo, ma a un europeo, e che i segni della sua crocifissione siano discordanti con quelli della crocifissione romana e dei racconti evangelici, almeno in parte. Ma la fase tre non è sviluppabile soprattutto perché i vangeli nulla dicono delle sembianze del Cristo, se non in maniera generica e grossolana, pertanto non è possibile alcun raffronto. Riguardo, poi, archivi storici o documenti attendibili non evangelici, non v’è nulla su Gesù, neppure in Giuseppe Flavio e altri storici contemporanei al Cristo, tanto che le ipotesi su chi costui fosse veramente sono numerose e perfino tra di esse contraddittorie, figuriamoci il suo aspetto esteriore!

In definitiva, decenni di studi sulla Sindone Torinese non sono riusciti a confutare l’idea che si sia in presenza di un artefatto, ben architettato ma pur sempre un artefatto, databile intorno alla metà del 14° secolo, e che non esista alcuna possibilità di sostenere, se non per fede, non certo scientificamente, l’identità tra l’immagine dell’uomo sindonico e il Cristo evangelico, di cui si sa pochissimo o quasi nulla. Tutto il resto sono illazioni pretestuose di chi ha confidato nel telo torinese per aver conferma storica e oggettiva del Dio fattosi uomo. Riguardo la impossibilità di riprodurre l’effige della Sindone, a riprova della origine sovrannaturale di chi vi fu avvolto, ebbene, il Prof. Luigi Garlaschelli di Pavia ha riprodotto in laboratorio, con mezzi semplici e accessibili a un falsario del medioevo, un telo uguale preciso a quello venerato dai fedeli cattolici a Torino, facendosi tessere un lino con trama identica, a spina di pesce, disteso su un bassorilievo e tamponandolo con un pigmento acido color ocra: il risultato è sorprendente, tanto che perfino il volto, elaborato al computer, mostra le stesse caratteristiche tridimensionali della Sindone, una delle reliquie più amate dai “pagani” cattolici

29 Aprile 2015   |   articoli, in evidenza   |   Tags: ,