Per l’Homo Sapiens le sorprese non finiscono mai

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Che lo studio dell’evoluzione biologica sia una fonte inesauribile di sorprese era cosa nota, ma le recenti scoperte sono vere e proprie rivoluzioni il cui impatto filosofico è molto più grande di quanto si poteva prevedere fino a poco tempo fa.
Abbiamo spesso ricordato come non sia necessario essere atei per convincersi della realtà evidente dell’evoluzione biologica, ma di certo è difficile continuare a credere in un Dio onnipotente che ha creato la Terra (e il cosmo) per noi e digerire i recenti studi genetici di Svante Pääbo.

Del resto la compatibilità fra credere in Dio e evoluzione biologica il più delle volte si ferma ad una conoscenza superficiale di questa, spesso si continua a pensare ad un linea evolutiva lineare con una strada tracciata apposta per noi che ci ha portato ad essere la punta di diamante dell’evoluzione. Cosa che è lontana dalla realtà poco meno della biblica creazione del mondo.
Il fatto che l’evoluzione biologica manchi di qualunque finalità evidente, che non procede assolutamente in modo lineare, che piuttosto che di rami evolutivi si dovrebbe parlare di cespugli ingarbugliati e che se non fosse stato per contingenze legate a fenomeni geofisici come quelli accaduti nella Riff Valley a quest’ora il pianeta sarebbe dominato da specie completamente diverse da noi è un dato di fatto provato e riprovato. Ma tuttavia questo stenta a passare nella cultura comune nonostante gli sforzi dei divulgatori scientifici.
Che i credenti nell’opera misteriosa di Dio si reggano forte perché stiamo per aggiornarli su quanto questo Dio abbia lavorato misteriosamente.
La prima notizia da accettare è che l’Homo Sapiens non è mai stato ne’ solo ne’ unico nella sua storia se non nelle poche ultime migliaia di anni, prima di allora infatti condivideva questo pianeta con almeno altre quattro specie del genere Homo, e precisamente H. neanderthalis, H. di Denisova, H. erectus soloensis e H. florensiensis.
L’idea di un mondo destinato a noi dovrebbe vacillare e non poco visto che per lo meno era stato creato per altre quattro specie. Che poi “abbiamo vinto” noi (più bravi nella caccia? Più bravi ad uccidere il prossimo? Più resistenti ai virus o ai mutamenti climatici? In una parola, più contingenti) è un fatto che non modifica la realtà per cui non siamo stati ne’ soli ne’ unici.
Ma le sorprese non finiscono qui, Svante Pääbo grazie agli studi genetici ha smentito se stesso, e se fino a pochi anni fa era convinto che Sapiens e Neanderthal erano specie che non si accoppiavano o che se lo facevano erano come gli asini e i cavalli che generano muli non fertili, oggi grazie allo studio comparato del nostro Dna con quello di Neanderthal si scopre che abbiamo almeno il 4% di geni neanderthaliani nel nostro patrimonio. Per lo meno nel Dna europeo-occidentale, perché se c’è un Dna che sembra non aver avuto contatti con quello di Neanderthal è quello africano che è rimasto “puro Sapiens” per così dire.
E chi glie lo dice ora a quelli di Forza Nuova e ai loro omologhi europei?
La cosa è più rivoluzionaria di quel che sembra, perché ad essere messa in discussione è l’appartenenza stessa a specie diverse dei Sapiens e dei Neanderthal; infatti secondo le definizioni di Ernst Meyr si considerano specie diverse i gruppi riproduttivamente isolati che non possono generare prole fertile (asini e cavalli per l’appunto). Ora che sappiamo che Sapiens e Neanderthal, un po’ si sono ibridati cosa facciamo? Le consideriamo “quasi specie” a sé stanti?
Ricapitolando, il buon Dio per renderci quello che siamo ha fatto si che ci fossero eventi contingenti che eliminassero il 99,9 per cento delle forme di vita presenti sul pianeta dall’alba della creazione e un paio di volte a rischiato di estinguere completamente la vita stessa, ha fatto si che ci conquistassimo il diritto di occupare la Terra “vincendo” la coabitazione con almeno altre quattro specie di Homo e poi ha fatto si che ci ibridassimo con queste per farci raggiungere quella perfezione tanto agognata.
Se vi viene da ridere avete un cervello pensante.
Ma lasciando stare le facezie occorrerebbe davvero un po’ di coraggio da parte degli scienziati tassonomici nel ridisegnare non solo le linee evolutive passate ma anche quelle contemporanee. È cosa nota infatti che Carlo Linneo non catalogò nello stesso genere uomini e scimpanzè solo per la paura delle reazioni degli ecclesiastici.
Riunire nel genere Homo le specie a noi più vicine, scimpanzè e bonobo che hanno oltre il 98 per cento di Dna in comune con noi sapiens, sarebbe un atto di umiltà e di onestà verso una storia evolutiva che non è mai stata semplice ne’ tanto meno lineare. E forse ci toglierebbe quel vizio di considerarci sempre al centro del mondo (e del cosmo) superiori a tutto e a tutti.
Non sappiamo se questo basterà per non ripetere gli errori derivanti dall’antropocentrismo ma di certo potrà renderci almeno un po’ più onesti prima di tutto con noi stessi.

Alessandro Chiometti

16 Ottobre 2012   |   articoli, filosofia e scienza   |   Tags: , , ,