Nessuno tocchi Abele?

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La nota associazione "nessuno tocchi Caino" ha contribuito a rendere famosa una frase del Genesi ove appunto Caino, che secondo il mito uccise il fratello Abele, fu "tatuato" con dei segni che ne dovevano garantire la riconoscibilità e di conseguenza una sorta di "immunità", che molti interpretano come un divieto biblico di condannare a morte gli assassini.
Che non è così lo si evince, se non altro, dal fatto che la pena di morte è non solo concessa ma addirittura ordinata in tutto l’Antico Testamento, sebbene nel Genesi non abbiamo ancora il regime legale mosaico. Abbiamo però il diluvio, presentato come uno sterminio voluto da una volontà divina in vena di drastiche punizioni.
Può essere interessante vedere come nasce il mito di Abele e Caino. La critica storica ha ormai stabilito che il Genesi non sia un libro originale, ma sia una raccolta di tradizioni orali effettuata intorno al 1000 a.c. per ordine di Davide.
Gli ebrei prendono origine da tribù nomadi dedite alla pastorizia, spesso predoni. Essi costituirono come è noto un Regno autonomo nella terra di Canaan, odierna Palestina, da loro considerata una terra data in concessione direttamente dalla loro divinità.
Circondati da popoli di alte tradizioni culturali, ovviamente gli ebrei sentirono immediatamente il bisogno di dotarsi di scritture sacre. Nacque così il Genesi, ottenuto scopiazzando qua e là dalle mitologie dei popoli vicini. Non a caso, ritroviamo il racconto del diluvio nei testi babilonesi, con delle piccole differenze (Noè si chiama Utnapistim, la durata del diluvio è diversa, ecc. ecc.)
Anche il racconto della creazione è babilonese, con l’unica differenza che i giorni sono 10 anziché 7. Meno male: grazie agli ebrei abbiamo un giorno festivo ogni 7!
Anche il racconto di Abele e Caino era preesistente, come del resto quello di Adamo ed Eva, essendo dei miti sumeri. Peraltro anche il Genesi afferma che lo scenario di queste vicende si trova fra il Tigri e l’Eufrate, cioè il paese di Sumer, attuale Iraq.
Nel racconto sumero, il "cattivo" era Abele. Perché il racconto ebraico capovolge le parti? Perché gli ebrei, essendo pastori, si identificavano con il pastore Abele (simbolo di tutti i pastori). Caino rappresentava invece i contadini. Abele che uccide Caino, o viceversa, significa che contadini e pastori erano rivali e spesso tendevano all’odio omicida.
Ancora oggi, nonostante i tempi moderni, accade che i pastori incendino le foreste per avere più pascolo.
I sumeri con questo mito volevano semplicemente ricordare che innumerevoli volte i contadini erano vittima delle incursioni dei pastori nomadi.
Date le notevoli lotte fratricide fra contadini e pastori, il Genesi raccoglie in forma mitologica l’idea secondo la quale nacque un primo rudimentale criterio per prevenire questi logoranti scrontri: tutti si sarebbero dotati di tatuaggi e segni, secondo un apposito codice, per rappresentare la propria tribù, il proprio clan.
Ancora oggi i nativi africani che vivono in modo primitivo, usano fare queste incisioni nella pelle del volto e del corpo, come segni di appartenenza ad una ben precisa identità tribale.
"Nessuno tocchi Caino" esprime quindi in forma mitologica una prassi corrispondente ad un primitivo codice di comportamento secondo il quale, se l’avversario era "imparentato" in qualche modo, doveva essere rispettato, sia esso pastore o contadino. Ciò poteva prevenire, almeno in parte, un certo numero di aggressioni.
Non si tratta di un divieto assoluto di uccidere, ma è come se si dicesse "non uccidere i membri del tuo clan". Solo più tardi la legislazione mosaica vietò l’omicidio, attribuendo però al tempo stesso ai sacerdoti il potere di condannare a morte coloro che non rispettavano la Legge di Mosè, oggi nota come i "10 comandamenti".
All’epoca, anche lavorare di sabato poteva comportare la lapidazione.
Quindi, citare una frase dell’Antico Testamento per sostenere il rispetto della vita umana, è quasi come se si prendesse spunto dal libro "mein kampf" di Adolf Hitler per sostenere il diritto alla vita.
"Nessuno tocchi Caino" è un motto che, secondo il significato originario, rispetta solo la vita dei propri consanguinei, ma questa regola la applicano anche i mafiosi. Tra l’altro riguarda il comportamento dei singoli, non degli Stati.

Dr. Luigi M. Nicolai

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