Lettera aperta al Presidente Napolitano

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Lettera aperta al Presidente Napolitano di Paolo Flores d'Arcais,
sulle scuse incomprensibili rivolte a Papa Benedetto XVI


Caro Presidente,
tempo fa, dovendo scriverti per invitarti ad una iniziativa di
MicroMega, chiesi tramite il tuo addetto stampa se dovevo continuare
ad usare il "tu" della consuetudine precedente la tua elezione, o se
era più consono che usassi il "lei", per rispetto alla carica
istituzionale. Poiché, tramite il tuo addetto stampa, mi facesti
sapere che preferivi che continuassi a scriverti con il "tu", è in
questo modo che mi rivolgo a te in questa lettera aperta, tanto più
che, essendo una lettera critica, mi sembrerebbe ipocrisia
inzuccherare la critica con la deferenza del "lei".

Il mio dissenso, ma si tratta piuttosto di stupore e di amarezza,
riguarda la lettera di scuse che in qualità di Presidente, dunque di
rappresentante dell'unità della nazione, hai inviato al Sommo
Pontefice per l'intolleranza di cui sarebbe stato vittima. E'
verissimo che di tale intolleranza, di una azione che avrebbe
addirittura impedito al Papa di parlare nell'aula magna della
Sapienza, anzi perfino di muoversi liberamente nella sua città, hanno
vociato e scritto tutti i media, spesso con toni parossistici.

Ma è altrettanto vero che di tali azioni non c'è traccia alcuna nei
fatti. La modesta verità dei fatti è che il magnifico rettore (senza
consultare preventivamente il senato accademico, ma mettendolo di
fronte al fatto compiuto, come riconosciuto dallo stesso ex-portavoce
della Santa Sede Navarro-Vals in un articolo su Re-pubblica) ha
invitato il Papa come ospite unico in occasione dell'inaugurazione
dell'anno accademico (a cui partecipano in nome della Repubblica
italiana il ministro dell'università e il sindaco di Roma), e che,
avutane notizia dalla agenzia Apcom il professor Marcello Cini (già
dallo scorso novembre) e alcune decine di suoi colleghi (più di
recente) hanno espresso per lettera al rettore un loro civilissimo
dissenso.

Quanto agli studenti, nell'approssimarsi della visita alcuni di loro
hanno espresso l'intenzione di manifestare in modo assolutamente
pacifico un analogo dissenso, nella forma di ironici happening.

Il rettore Guarini ha comunque rinnovato al Papa l'invito, e tanto il
Presidente del Consiglio Romano Prodi quanto il ministro degli Interni
Giuliano Amato hanno esplicitamente escluso che si profilasse il
benché minimo problema di ordine pubblico (malgrado la campagna
allarmistica montata dal quotidiano dei vescovi italiani,
"L'Avvenire", rispetto a cui le dichiarazioni di Prodi e Amato
suonavano esplicita smentita). Nulla, insomma, impediva a Joseph
Ratzinger di recarsi alla Sapienza e pronunciare nell'aula magna la
sua allocuzione.

Di pronunciare, sia detto en passant e per amore di verità, il suo
monologo, visto che nessun altro ospite contraddittore o "discussant"
era previsto, e un monolo-go resta a tutt'oggi nella lingua italiana
l'opposto di un dialogo, checchè ne abbia mentito l'unanime coro
mediatico-politico (che di rifiuto laicista del dialogo continua a
parlare), a meno di non ritenere che tale opposizione, presente ancora
in tutti i dizionari in uso nelle scuole, sia il frutto avvelenato del
già stigmatizzato complotto laicista.

Tutto dunque lasciava prevedere che la giornata si sarebbe svolta
così: mentre Benedetto XVI pronunciava il suo monologo nell'aula
magna, tra il plauso deferente dei presenti (e in primo luogo del
ministro Mussi e del sindaco Veltroni), ad alcune centinaia di metri
di distanza alcuni professori di fisica avrebbero tenuto un dibattito
sui rapporti tra scienza e fede esprimendo opinioni decisamen-te
diverse da quelle del regnante Pontefice, e ad altrettanta debita
distanza qualche centinaio di studenti avrebbe innalzato cartelli di
protesta e maschere ironiche. Ironia che può piacere o infastidire,
esattamente come le vignette contro il profeta Maometto, ma che
costituisce irrinunciabile conquista liberale.

Dove sta, in tutto ciò, l'intolleranza? E addirittura la
prevaricazione con cui si sarebbe messo al Papa la mordacchia (secondo
l'happening inscenato in aula magna dagli studenti di Comunione e
liberazione)?

A me sembra che intolleranza – vera e anzi inaudita – sarebbe stato
vietare ad un gruppo di docenti di discutere in termini sgraditi ai
dogmi di Santa Romana Chiesa, e ad un gruppo di studenti di
manifestare pacificamente le loro opinioni, ancorché in forme
satiricamente irridenti. Se anzi di tali divieti si fosse solo fatto
accenno da parte di qualche autorità, credo che un numero altissimo di
cittadini si sarebbe sentito in dovere di rivolgersi a te quale
custode della Costituzione, con toni di angosciata preoccupazione per
libertà fondamentali messe così platealmente a repentaglio. Ma, per
fortuna (della nostra democrazia), nessun ac-cenno del genere è stato
fatto.

Il Sommo Pontefice non era di fronte ad alcun impedimento, dunque. Ha
scelto di non partecipare perché evidentemente non tollerava che, pur
avendo garanzia di poter pronunciare quale ospite unico il suo
monologo in aula magna, nel resto della città universitaria fossero
consentite voci di dissenso, anziché risuo-nare un plauso unanime.

Non è, questa, una mia malevola interpretazione, visto che sono
proprio gli am-bienti vaticani ad aver riferito che il Papa preferiva
rinunciare a recarsi in visita presso una "famiglia divisa" (cioè il
mondo accademico e studentesco della Universitas studiorum, la cui
quintessenza istituzionale è però proprio il pluralismo delle
opinioni). Ma pretendere quale conditio sine qua non per la propria
partecipazione un plauso unanime non mi sembra indice di propensione
al dialogo bensì, piuttosto, di vocazione totalitaria.

Non vedo dunque per quale ragione tu abbia ritenuto indispensabile, a
nome di tutta la nazione di cui rappresenti l'unità, porgere al Papa
quelle solenni scuse. Che ovviamente, data la tua autorità, hanno
fatto il giro del mondo. Se c'è qualcuno che aveva diritto a delle
scuse, semmai, è il gruppo di illustri docenti, tutti nomi di
riconosciuta statura internazionale nel mondo scientifico, e che
tengono alto il prestigio italiano nel mondo, a contrappeso
dell'immagine di "mondezza" e politica corrotta ormai prevalente
all'estero per quanto riguarda il nostro paese. Questi studiosi sono
stati infatti accusati di fatti mai avvenuti, e insolentiti con tutte
le ingiurie possibili ("cretini" è stato il termine più gentile usato
dai maestri di tolleranza [Cacciari, ndD] che si sono scagliati contro
il diritto di critica di questi studiosi).

Né si può passare sotto silenzio il contesto in cui il monologo di
Benedetto XVI si sarebbe svolto, contesto caratterizzato da due
aggressive campagne scatenate dalle sue gerarchie cattoliche.
Trascuriamo pure la prima, cioè i rinnovati e sistematici attacchi al
cuore della scienza contemporanea, l'evoluzionismo darwiniano (bollato
di "scientificità non provata" da un recente volume ratzingeriano
uscito in Germania), benché il rifiuto della scienza non sia cosa
irrilevante per chi dovrebbe aprire l'anno accademico della più
importante università del paese.

Infinitamente più grave mi sembra la seconda, la qualifica di
assassine scagliata dal Papa e dalle sue gerarchie, in un crescendo di
veemenza e fanatismo, contro le donne che dolorosamente abbiano scelto
di abortire. Questo sì dovrebbe risultare intollerabile. Se un gruppo
di scienziati accusasse Papa Ratzinger, o solo an-che il cardinal
Ruini, il cardinal Bertone, il cardinal Bagnasco, di essere degli
as-sassini, altro che lettere di scuse!

E perché mai, invece, ciascuno di loro può consentirsi di calunniare
come assas-sina, nel silenzio complice dei media e delle istituzioni,
ogni donna che abbia deciso di utilizzare una legge dello Stato
confermata da un referendum popolare?

Se vogliono rivolgersi alle donne del loro gregge ricordando che
l'aborto, anche un giorno dopo il concepimento, è un peccato mortale,
e che quindi andranno all'inferno, facciano pure, proprio in base a
quel "libera Chiesa in libero Stato" che il Risorgimento liberale e
moderato di Cavour ci ha lasciato in eredità. Ma diffamare come
assassine cittadine italiane che nessun reato hanno commesso è una
enormità che non può essere passata sotto silenzio, e non sono certo
il solo ad essermi domandato con amarezza perché, in quanto custode
dell'unità della nazione e dunque anche delle sue radici
risorgimentali, tu non abbia fatto risuonare la protesta dello Stato
repubblicano.

La canea di accuse e di menzogne di questi giorni mi ha portato
irresistibilmente alla memoria una piccola esperienza di oltre
quarant'anni fa, nel 1966, quando – giovane universitario iscritto al
Partito comunista da meno di tre anni – vissi incredulo l'esperienza
di un congresso (l'XI, se non ricordo male) di un Partito che si
vantava di essere sostanzialmente più libero e democratico degli altri
(per questo, del resto, vi ero entrato, come milioni di italiani), in
cui Pietro Ingrao, per aver moderatissimamente avanzato l'idea di un
"diritto al dissenso" fu investito da una esondazione di critiche e
vituperi, compresa l'accusa di essere proprio lui un intollerante!

Con una differenza sostanziale e preoccupante: che allora tale
capovolgimento della realtà, versione soft ma non indolore dell'incubo
orwelliano, riguardava solo un partito. Oggi investe l'intero paese,
la sua intera classe politica, la quasi totalità dei suoi mass-media.

Ecco perché spero che tu voglia prestare attenzione anche
all'angosciata preoc-cupazione di quei segmenti laici (o laicisti,
come preferisce la polemica corrente) del paese, non so se
maggioritari o minoritari (ma la democrazia liberale, a cui ci hai più
volte richiamato, è garanzia di parola e ascolto anche per il dissenso
più sparuto, fino al singolo dissidente), che ormai vengono emarginati
o addirittura cancellati dalla televisione, cioè dallo strumento
dominante dell'informazione, e il cui diritto alla libertà d'opinione
viene di conseguenza vanificato, mentre ogni tesi oscurantista può
dilagare e spadroneggiare.
Con stima, con speranza, con affetto, credimi,
tuo Paolo Flores d'Arcais.

21 Gennaio 2008   |   articoli   |   Tags: