Lettera aperta a Walter Veltroni sul laicismo

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* Francesco Pullia su Notizie Radicali

Caro Walter,

adesso basta, la mia coscienza insorge, non potendo accettare l'opera
di mistificazione che, per assurdi e perdenti tatticismi, stai
irresponsabilmente, ma deliberatamente, compiendo.


Dunque, secondo te, a quanto pare in perfetto accordo con un equivoco di fondo artatamente elaborato e strumentalmente accreditato, il laico non sarebbe credente. Se ne deduce dalla continua, superficiale e meschina contrapposizione su cui anche tu, come la vezzeggiata Binetti, mostri palesemente di indulgere. Non solo. Il termine credente, per te, sembra semplicemente e unicamente identificarsi e riassumersi con e in quello di cattolico e quest'ultimo, a sua volta, nell'osservante, nel devoto servitore delle volontà vaticane.

Tutto questo è, a dir poco, falso e vergognoso.

Caro Walter, nel tentativo di inseguire vagamente un sogno americano (e c'è differenza tra Kennedy e Martin Luther King), forse per riequilibrare o sconfessare parte della tua rispettabilissima storia, hai finito per dimenticare la ricchezza di contributi di laici più che credenti, di persuasi che, per essere tali e coltivare senza remore e restrizioni la propria fede, hanno scelto, o meglio sono stati costretti a scegliere, una via totalmente, radicalmente, divergente da quella confessionale.

Dal momento che ritengo che tu abbia un gravissimo vuoto di memoria, ritengo mio dovere aiutarti a ricordare qualche nome. Si tratta di uomini, la cui eticità resta esemplare, se non altro per non essersi compromessi, come invece fecero i vertici ecclesiastici, con l'immondo regime fascista.

Ognuno di loro pagò lo scotto d'avere optato per una via non compromissoria con il potere, preferendo agli averi, agli agi e agli ori, alla disonorevole e conformistica accettazione della violenza (etica e religiosa), la ricchezza e la fierezza della dignità, dell'ascolto interiore, della prefigurazione di una società realmente aperta, riformata e riformatrice, perché libera e liberata da costrizioni e imposizioni.

Mi riferisco a Piero Martinetti, Ernesto Buonaiuti, Ferdinando Tartaglia, Giuseppe Rensi, Aldo Capitini (di cui, purtroppo, quelli come te continuano ad ignorare lo spessore di una visione politica religiosamente, gandhianamente ma anche kantianamente, informata), Danilo Dolci. Prova ad avanzare un'obiezione, sia pur minima, su queste figure. Non puoi perché non ne hai. Non appartengono queste testimonianze al passato (sarebbe fin troppo facile, per me, riandare alla libera religiosità di Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Giulio Cesare Vannini, ma di proposito non lo faccio) ma al nostro presente e ci parlano con la limpidezza di una voce drammaticamente attuale.

Tu vuoi occultare questa eco cristallina, fingi di ignorarne la scomoda propagazione e l'ancora più insopportabile (come un peso che non hai la forza di sostenere) insegnamento preferendo scorciatoie di comodo.

Tu neghi, ad esempio, che ci sia ingerenza o interferenza ecclesiastica sui cosiddetti "grandi temi etici". Quei temi non sono pure astrazioni ma riguardano l'esistenza dei singoli, degli individui, il diritto a vivere così come quello a morire senza l'aggiunta di atroci sofferenze. Quei temi sono diritti, possibilità (non obblighi) valevoli, come il divorzio e l'aborto legalizzati, per tutti. Se non si comprende questo si resta vincolati ad un machiavellismo neanche fin troppo astuto.

Era il 1913 quando Romolo Murri, don Romolo Murri, affermava che la laicità (dello stato) è richiesta dagli spiriti religiosi più vivi. Lo stesso Murri, quattro anni prima, aveva scritto che "la democrazia ripudia un'etichetta confessionale".

Mi opporrai che ci si riferisce ad un'altra epoca storica. Purtroppo, non è così. Tutto questo, caro Walter, è presente ma ti giunge estraneo perché a te straniero. Certe verità, proprio perché tali, risultano scomode e, pertanto, vanno rimosse, così come la vicenda di Porta Pia, la cui presa segnò non l'instaurazione di un clima di odio ma la liberazione prima di tutto e di tutti dei cattolici dal giogo pontificio, da uno stato assolutistico dedito al mantenimento di privilegi e oppressione e, di conseguenza, negatore della rivoluzione, autentica perché basata sulla legge dell'amore, evangelica.

La nonviolenza insegna che dialogare non vuol dire asservirsi all'altro ma comprenderlo, attraversare fecondamente le sue motivazioni, scorgere nessi ben al di là dei compromessi, essere tensione attiva, stimolante.

Temo che queste parole si smarriscano nel deserto della politica in cui vuoi sostare all'interno di una comoda tenda. Il deserto, però, è tale solo se getta, semina in noi, rendendoci complici, aridità. Si rivela, invece, come positiva occasione e opportunità di conoscenza se si sceglie di percorrerlo fino alle estreme conseguenze, preferendo agli ingannevoli miraggi il richiamo di orizzonti più vasti.

Il nuovo, caro Walter, è nell'intentato, non nel paludato, nel reiterato.

"La libertà che si accontenta di sé", ci insegna Capitini, "non è più libertà e finisce con l'essere rinunciataria: la libertà deve essere inquieta, scontenta del suo stato presente per accrescersi, per entrare là dove non è entrata".

Caro Walter, abbi il coraggio laico d'essere religioso o anche il coraggio religioso d'essere laico. Nel segno dell'apertura, di una realtà in cui tutti, proprio tutti, presenti e assenti, vivi e morti, inseriti ed esclusi, si sia compresenti, fattivamente uniti.

28 Febbraio 2008   |   articoli   |   Tags: