La crudeltà dell’ideologia [La Repubblica]

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FRANCESCO MERLO su La Repubblica del 13/2/2008

Cosa avrebbero fatto i sette agenti di polizia se in quell'ospedale
di Napoli fossero arrivati durante l'operazione e non subito dopo?
Avrebbero rimesso il feto dentro la donna? "Fermi tutti, in nome
della legge: controabortisca o sparo!".


Davvero la polizia che a Napoli irrompe in sala operatoria e
sequestra un feto malformato è roba da teatro del grottesco e della
crudeltà, da dramma di Artaud. Sembra un episodio inventato per
dimostrare la stupidità dei fanatici della vita ad oltranza, per far
vedere a quale ferocia si può arrivare in nome di un principio nobile
e astratto ridotto ad ossessione e sventolato come un'ideologia,
persino elettorale.

È difficile anche ragionare dinanzi a questa violenza che è stata
commessa a Napoli. Una violenza contro la legge, innanzitutto, perché
l'aborto era terapeutico e quindi legittimo, nel pieno rispetto della
194. Anche se va detto forte e chiaro che l'oscenità dell'irruzione
non sarebbe cambiata di molto se quell'aborto fosse stato ai limiti
della legge o persino fuorilegge, come si era arrogato il diritto di
credere il giudice napoletano, informato – nientemeno! – da una
telefonata anonima.

Ed ecco la domanda che giriamo ai lettori: perché un giudice, che ha
studiato il Diritto laico e che sa che la giustizia mai dovrebbe
muoversi in base ad una qualsiasi convinzione religiosa; perché un
giudice che si è formato in un'Italia civile e tollerante non capisce
che ci sono ambiti delicatissimi nei quali comunque non si interviene
con i blitz, con le sirene, con le manette e con le pistole?
Amareggia e addolora che questo signor giudice di Napoli si sia
comportato come il burocrate di quella ferocia ideologica che si sta
diffondendo in Italia su temi sensibili – e l'aborto è fra questi –
che invece richiedono silenzio, rispetto, solidarietà. È come se un
diavolo collettivo, un diavolo arrogante che presume di incarnare la
morale pubblica, avesse spinto giudice e poliziotti a trattare
un'intera struttura ospedaliera – dagli amministratori ai medici,
dagli anestesisti agli infermieri – come un covo sordido di mammane
abortiste.

Solo il fanatismo, che come sempre nasce da un'intenzione
apparentemente buona, può fare credere che i medici di Napoli non
siano persone per bene ma stregoni sadici, allegri assassini di
nascituri. Il signor giudice, mandando la polizia in sala operatoria,
ha trasformato un luogo di lenimento della sofferenza in un quadro di
Bosch. E alla fine invece di mostrare il presunto orrore della
professione medica, ha mostrato tutta l'asfissia di un'altra
professione, della sua professione.

Quante telefonate anonime riceve un giudice a Napoli? Davvero ad ogni
telefonata ordina un blitz in tempo reale? E come ha misurato
l'urgenza dell'intervento? E quali rei stava cercando? La mamma? Il
papà? I medici e gli anestesisti? Cosa voleva mettere sotto sequestro
preventivo: l'utero di quella donna? Adesso, a quella signora che,
appena uscita dalla sala operatoria, è stata sottoposta ad un
incredibile interrogatorio, bisognerebbe che lo Stato chiedesse
scusa. L'hanno trattata come un'omicida, come una snaturata che si
vuole sbarazzare di un feto alla ventunesima settimana. Hanno
inventato per lei il reato di feticidio, hanno applicato contro di
lei il loro stupido estremismo che inutilmente vorrebbe deformare e
deturpare il buon cattolicesimo italiano in schemi da sermoneggiatori
fondamentalisti, con tutto questo parlare di Dio e dividersi su Dio.

La polizia non ha sorpreso una gang di infanticidi ma una donna
provata da un terribile dramma personale, costretta ad abortire per
non mettere al mondo, nel migliore dei casi, un infelice menomato.
Per questa signora come per tutti gli italiani, di destra e di
sinistra, l'aborto è, qualche volta, una disgrazia necessaria. Perché
il diritto all'aborto, in questo caso terapeutico, risponde sempre e
comunque a una legislazione d'eccezione. Speriamo dunque che serva
questo orribile episodio di Napoli a mostrare tutta la miseria di
un'idea che attribuisce alla sinistra di questo infelice paese la
voglia matta di abortire e alla destra invece la difesa della vita.
Non è così. Non ci sono in Italia da un lato gli abortisti che
ballano attorno ai feti e dall'altro gli antiabortisti che si
organizzano in squadre di polizia. In questo paese per tutti, e anche
per la legge, l'aborto è sempre una tragedia.

Ecco perché, prima che il clima diventi infernale, ci permettiamo una
volta tanto nella vita di esser d'accordo con Silvio Berlusconi che
ha sconsigliato a Giuliano Ferrara di presentare una lista
elettorale "per la vita". C'è forse in Italia qualcuno "per la
morte"?
Berlusconi ha aggiunto ieri che secondo lui il dibattito sull'aborto
andrebbe tenuto lontano dalla campagna elettorale. Ha ragione. E non
perché il dibattito non meriti l'attenzione e il rispetto che anche
Ferrara merita.

È stato Ferrara a dichiarare al "Corriere" che mai egli vorrebbe
incriminare una donna che ha abortito, e che non è a cambiare la
legge 194 che aspira con la sua battaglia. Chi allora, secondo lui,
ha armato di ferocia l'interventismo del giudice e dei poliziotti di
Napoli? Si sa che i cattolici sostengono che la vita va protetta sin
dal concepimento, col risultato estremo di giudicare ogni aborto come
una violazione del quinto comandamento. I protestanti invece
considerano la nascita come la soglia decisiva senza tuttavia negare
che la morte del feto sia un danno per i genitori. Per gli ebrei lo
statuto del feto è una questione controversa perché un feto nel
ventre della madre è un progetto di vita in corso d'opera. Per i
musulmani il feto diventa un persona umana a quattro mesi dal
concepimento anche se si tratta di "una persona umana allo stato
vegetativo".

Come si vede – e ci scusiamo per il necessario schematismo – le
religioni si dividono. E anche la scienza si divide. Ma nessuno stato
laico, nessun legislatore laico può risolvere per legge questa
disputa e nessuna sentenza di qualche Cassazione può fissare il
momento in cui il nascituro diventa un individuo da proteggere
giuridicamente. Senza arroganza dunque lo stato laico ha stabilito
quel giorno e quell'ora nell'atto di nascita. Prima, il feto e la
donna che lo porta in grembo vengono tutelate da un legge che, per
quanto carente, è una buona legge, che ha fatto progressivamente
diminuire il numero degli aborti, ha insegnato alle italiane che il
diritto all'aborto è una drammatica conquista, un'angosciosa
soluzione d'eccezione, e che la destra e la sinistra per una volta
non c'entrano nulla.

18 Febbraio 2008   |   articoli   |   Tags: