Joker. L’autopsia di una società folle.

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[voto 9.5/10]

 [attenzione spoiler inevitabili]

 Quando entri in sala a vedere un film che ha già vinto premi a ripetizione ed è lodato da quasi tutti i critici cinematografici del pianeta sai già che quasi sempre  avrai cocenti delusioni per le altissime aspettative.

Ci è successo decine di volte e ci succederà ancora.

Con il Joker no. Tutte le lodi che ha ricevuto sono meritate e, aggiungiamo, sono anche poche.

Evitiamo un equivoco. Il Joker interpretato da Joaquin Phoenix diretto da Todd Phillips (finora noto più che altro per la serie di “Una notte da leoni”) è sì il Joker del Batman (o per lo meno lo diventerà) ma non è collegato al “DC extended universe”. È solo ispirato al fumetto di Bob Kane e qui viene reinterpretato completamente.

L’intento riuscito di Todd Philips è quello di esplicitare un atto di accusa alla società reaganiana degli anni 80, per poi traslare questa, in maniera piuttosto evidente, a Trump e a ciò che vorrebbe far diventare gli Usa di oggi.

Ma Arthur Fleck, il futuro Joker,  non è un socialista, non è neanche un Democratico e della politica non si occupa. Arthur è una persona fragile ed emarginata, affetta da gravi turbe psichiche che tiene sotto controllo con psicofarmaci e psicoterapia, fino a quando queste non vengono tagliate dalla micidiale “cura Reagan”che ha segnato gli anni ’80.

Il suo disturbo psichico (trovata geniale) è tale che lo costringe a ridere a crepapelle in situazioni di stress, di paura o di disagio (un raro ma possibile effetto della sindrome pseudobulbare).

E come può sbarcare il lunario uno così malmesso? Facendo il clown alle feste dei bambini o in ospedale. Uno dei lavori più sottopagati del paese, che i suoi colleghi fanno spesso come copertura (per spacciare droghe od altro magari) ma non per lui; far ridere gli altri è il sogno che aveva fin da piccolo.

La trama del film è complessa e intricata, la madre di Fleck è stata nella servitù della famiglia Wayne e convince Arthur ad essere il figlio illegittimo di Thomas Wayne (il cui figlio Bruce sappiamo bene chi diventerà) ma non è così, è solo un illusione di una povera pazza. Arthur infatti è stato da lei adottato (quasi sicuramente per intercessione di Wayne che sperava così di togliersela di torno e invece ha peggiorato le cose).

Arthur ci prova ad avere una vita “normale” che gli permetta di avere un ritaglio di posto nella società. Ci prova, ma viene umiliato al lavoro e lo perde. Poi nella metropolitana viene assalito da tre yuppies di Wall Street in cerca di guai. È qui che Arthur decide di aver preso abbastanza calci e si ribella: uccide i tre yuppies e scappa con il suo trucco da clown in volto. Ed il volto da clown diventa il simbolo della rivolta di  una società allo stremo, quotidianamente infatti ci sono proteste in piazza contro le cure economiche del Great Old Party.

Ma Arthur non partecipa a queste, anzi tutt’altro. Vorrebbe avere una storia con una sua vicina di appartamento, sembra quasi che ce l’abbia,  ma è solo una sua illusione (allucinazioni probabilmente dovute alla sospensione degli antipsicotici). Prova a far ridere la gente in un locale di debuttanti ma ha la crisi di riso dovuta alla sindrome bipolare. Crisi di riso che viene registrata e mandata in diretta nazionale dal suo comico preferito Murray Franklin (aka Robert De Niro in un ruolo omaggio ad uno dei suoi primi film “Re per una notte”)  che da quel momento diventa il suo nemico numero due dopo Thomas Wayne.

Intanto i  clown in piazza si moltiplicano e con essi le proteste. Arthur regola i conti con i suoi datori di lavoro e poi va dal comico Murray in diretta nazionale. Questo infatti (dopo il successo della trasmissione in cui lo ridicolizzava) lo aveva chiamato ad essere suo ospite, e lui aveva accettato l’invito con l’intento di suicidarsi in diretta e chiudere la sua dolorosa vita con questo gesto finale.

Ma durante questa  diretta avviene qualcosa di imprevisto. Forse per l’arroganza di Murray o forse perché Arthur comincia a capire che non è colpa sua tutto quello che gli è successo. Ecco quindi che in diretta nazionale avviene la trasformazione di Arthur Fleck in Joker. “Sai cosa ottieni quando lasci un disagiato mentale per strada con una società che lo prende a calci? Ottieni quello che fottutamente ti meriti!” urla il Joker a Murray prima di sparargli.

La metamorfosi è compiuta. Arthur era “colpevole” solo di aver avuto un disturbo mentale causato dagli abusi della madre. La società lo ha trasformato nel Joker, ovvero il folle più pericoloso che Gotham City aka New York abbia mai visto. E, come sappiamo, è solo l’inizio di ciò che dovrà subire per sua mano.

L’accusa è spietata. Una società che se ne frega dei più deboli ed emarginati non ha giustificazione alcuna, perché questa nasce con l’unico scopo di tutelare tutti gli individui; quando esclude ed umilia i più bisognosi genera mostri. E se li merita, aggiunge il Joker.

Aspettando le elezioni americane di mid term in cui il mondo (ma probabilmente non buona parte degli Usa) spera che l’incubo Trump possa avere fine e ricominciare a costruire una società migliore, Joaquin Phoenix ci regala probabilmente il suo ruolo definitivo e Todd Phillips ci regala un film non catalogabile. Non è un thriller o un noir, non è un action movie e di certo non è un film di super eroi. Forse è un horror nella concezione kinghiana del termine, ovvero un film in cui le situazioni o i soggetti sono pensati appositamente per causare paura o emozioni forti.

E se è un horror, ci sono buone probabilità che diventi un real-horror.

J. Mnemonic

4 Novembre 2019   |   articoli, recensioni   |   Tags: , , , , , , , ,