Il Suffragio Universale non è un dogma

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Puntualmente ogni qualvolta ci si trova dalla parte politica che perde le elezioni, ci si ritrova a pensare: “Come hanno fatto i miei compatrioti a diventare così stupidi?”. Pensiero che dopo la prima oscenità postata dai leader degli avversari o dei loro sostenitori diventa “Però non è giusto che il loro voto valga come il mio”.

Ora a prescindere dal fatto che l’analfabetismo funzionale nel nostro paese è un problema di proporzioni endemiche (tra il 50 e il 60% secondo le ultime stime Ocse) chi ha fatto per anni il segretario di seggio elettorale o il rappresentante di lista vi può confermare (se è una persona intellettualmente onesta) che la domanda “ma quanti sanno quello per cui sta votando?” è sempre più di estrema attualità ad ogni spoglio.

Schede di recenti elezioni comunali con la preferenza al consiglio comunale indicata per Matteo Salvini o Beppe Grillo o nel turno precedente a Matteo Renzi.

Preferenze per candidati di Rifondazione Comunista indicate sulle liste di Casa Pound e viceversa, schede elettorali firmate in calce dal votante, croci e preferenze espresse con il pennarello indelebile “perché a me non mi freghi: le matite, anche quelle copiative, si cancellano”. Il nome del sindaco votato con tanti cuoricini invece che con la x.

Ecco di fronte a questi scempi, la domanda “Come può la democrazia reggersi sul voto di chi non sa neanche se si sta votando per il Comune di Caltanissetta o per il parlamento di Bruxelles?” sorge in modo sempre più pressante.

Ma ogni tentativo, anche intellettuale, di ridefinire il diritto al voto è facilmente (e spesso giustamente) bollato come fascismo.

Eppure, bisognerebbe chiarirci le idee, da antifascisti quali non possiamo non essere (alla faccia di chi pensa sia un valore e un argomento superato) sul concetto di democrazia.

Partiamo ad esempio da alcune semplici considerazioni:

  • Il suffragio universale non garantisce minimamente la salvaguardia dall’ur-fascismo, come argomenta brillantemente Paolo Flores D’Arcais nel suo volume “Democrazia” una serie di votazioni perfettamente democratiche può portare all’instaurazione di regimi totalitari e dittature;
  • Studi statistici hanno più volte dimostrato che una selezione totalmente casuale degli eletti al parlamento (forma di democrazia rappresentativa senza votazione) porterebbero quasi certamente a un parlamento con meno inquisiti in reati penali che le elezioni “democratiche”:
  • Le ultime votazioni in Italia si sono tenute sempre con meccanismi elettivi incostituzionali (sentenza Corte Costituzionale 4 Dicembre 2013) a causa della presenza di premi di maggioranza e di liste bloccate. Cosa che impunemente continuiamo a fare con il Rosatellum del 2017, ma di cui nessuno sembra più preoccuparsi.

Quindi, non ci sembra molto più incostituzionale di questo chiedere un voto qualificato ma ovviamente non per appartenenza politica, titolo di studio o situazione economica. Bensì, chiedere che la scheda elettorale venga rilasciata come un patentino, dopo un colloquio o meglio un esame scritto in cui il candidato che vuole votare dimostri che sa per cosa si vota e il meccanismo con cui funziona quell’elezione.

A coloro che sostengono che “così si scoraggia la partecipazione al voto” rammendiamo che la percentuale dei votanti è in caduta libera da ormai trent’anni.

 

Ad ogni modo, ammesso e non concesso che ciò che a noi sembra una pratica di buona democrazia rappresentativa sia indiscutibilmente un abominio per  i diritti dell’uomo, c’è un’altra strada da seguire per ripristinare un voto qualificato.

Ovvero quella di annullare le ultime sentenze giuridiche che hanno ristretto di molto l’annullabilità del voto e ripristinare la regola per cui ogni le schede che contengano qualsiasi elemento di errore, riconoscibilità o che esuli dal semplice meccanismo di croce sul simbolo e preferenza sia annullato implacabilmente.

Oggi viceversa, come da suddette sentenze, prevale sempre il dovere di ricostruire “la volontà dell’elettore”. Cosa che se in linea di principio può essere comprensibile, in realtà spiana la strada a interpretazioni folcloristiche delle schede a seconda degli scrutatori e dei rappresentanti previsti.

“È maggiore la volontà dell’elettore nell’indicare nome e cognome di un candidato presente o quella di aver messo la croce nella lista sbagliata?”

Se vi fanno sorridere domande del genere è perché non siete stati chiusi, dopo la fine delle democratiche elezioni, dalle 22 della sera alle 10 della mattina dopo in un seggio elettorale fino a che non interviene la polizia o i carabinieri a sequestrare tutto e a portare il materiale in prefettura per il riconteggio.

“Se votare servisse a qualcosa non ce lo lascerebbero fare!”

Quanto vorremmo davvero continuare a pensare che, almeno su questo, Mark Twain si fosse sbagliato.

 

Alessandro Chiometti

9 Luglio 2019   |   articoli, attualità   |   Tags: , , ,