I PACS E LA LEGGE DI ANTIGONE [La Stampa]

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Si discute se si debbano riconoscere i diritti e quali
e in che modo e a quali condizioni a coloro che convivono senza essere
coniugati. Diritti riconosciuti in molti Paesi civili dell'Occidente, non
nel nostro.


Tuttavia la giurisprudenza italiana riconosce a un convivente
«legittime aspettative» verso l'altro convivente, per esempio nei confronti
di chi abbia per colpa o dolo spento la vita di quest'ultimo o l'abbia reso
inabile. In tal caso un convivente perde l'aspettativa al mantenimento, al
sostegno sociale, affettivo, insomma a una certa qualità della vita e –
secondo i giudici – ha diritto a essere risarcito. Perché questi
riconoscimenti della giurisprudenza, che Galante Garrone avrebbe detto
dovuti alla «legge di Antigone», non dovrebbero tradursi, come altrove, in
leggi dello Stato? Perché – s'è risposto – la Costituzione «riconosce i
diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio».

L'aumento statistico delle convivenze
Ma si può obiettare che una regolamentazione dei diritti dei
conviventi non diminuirebbe certo quelli della famiglia nata da matrimonio
che resterebbero integri. S'è aggiunto però che bisognerebbe indurre a
costituire famiglie matrimoniali mentre una regolamentazione della
convivenza avrebbe un effetto dissuasivo. Non so se l'aumento statistico
delle convivenze di fatto, pur con la vigente legislazione che si crede
dissuasiva, non privi di fondatezza l'argomento. Se l'argomento fosse
valido, portato alle sue conseguenze, la regolamentazione dovrebbe
riguardare solo i conviventi omosessuali perché, pur volendo, non potrebbero
contrarre matrimonio (a meno che non fosse consentito anche a loro). Non mi
sembra però che gli oppositori alla regolamentazione si orientino in questo
senso ma che, anzi, non ammettano affatto il matrimonio fra omosessuali e
men che meno che si riconoscano diritti alle loro «coppie di fatto».

Tra convinzioni religiose e discriminazioni
Questo rifiuto suscita una riflessione: se si hanno profonde
convinzioni religiose, si crede che la natura sia opera di Dio che ne ha
dettato le leggi. E se è così, accertato che nel regno animale – non solo
nell'Uomo – vi sono orientamenti sessuali diversi, anche questa è una legge
di natura. Una discriminazione potrebbe essere giustificata solo dal
privilegio di appartenere a una maggioranza: quella degli etero-sessuali.
Gli altri, di minoranza, se si è laici, non si potrebbero equiparare ma
soltanto tollerare (la tolleranza ha in sé il germe della sopportazione, non
la qualità del rispetto). Se si è religiosi, l'amore – la
caritas cristiana – non si spingerebbe a considerarli figli uguali di
Dio. Queste riflessioni condurrebbero lontano sul comportamento da tenere
nei confronti di tanti altri individui appartenenti ad altre «minoranze»
(albini, di pelle diversamente pigmentata, con abilità diverse congenite
ecc.), nei confronti dei quali la nostra solidarietà – quella sancita dalla
Carta costituzionale – non potrebbe o dovrebbe spingersi sino al livello
massimo dell'equiparazione, ma tutt'al più fino all'attenuazione delle
disuguaglianze naturali.
Quando poi si passasse dalla discussione di principio a una
regolamentazione, bisognerebbe preliminarmente risolvere lo «scisma»
foscoliano fra quelli che «pensano senza operare» e gli altri che «operano
senza pensare» ed esaminare e risolvere insieme i problemi concreti. Come la
durata della convivenza perché nascano diritti con eventuali soglie diverse
a seconda dei diritti riconosciuti (al mantenimento, alla successione, alla
previdenza ecc.); il contemperamento con i diritti di familiari; il
controllo della sussistenza dei requisiti di convivenza; gli obblighi
reciproci sia durante la convivenza che in caso di separazione. Ma qui
l'esame e la discussione riguardano aspetti rilevanti di tecnica giuridica.

Franzo Grande Stevens su La Stampa del 1/2/2007

7 Febbraio 2007   |   articoli   |   Tags: