Django unchained, il western non muore mai

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C’era una volta, nel vecchio west, un cavaliere solitario che si trascinava dietro una cassa da morto.

Il cavaliere si chiamava Django e dentro la bara c’era una mitragliatrice con cui avrebbe compiuto la sua vendetta per la moglie uccisa.

DjangoDjango, film del 1966 considerato una pietra miliare del genere spaghetti western vedeva come protagonista un Franco Nero al suo primo ruolo importante, il film ebbe molti figli illegittimi (cioè dei sequel che non c’entravano nulla con l’originale come si usava in quegli anni) ma soprattutto è stato molto apprezzato (all’estero più che in Italia) tant’è vero che in questi giorni, 47 anni dopo, il mitico Quentin Tarantino fa uscire Django Unchained in omaggio a quel genere western che ha condizionato la sua adolescenza.

Sappiamo la passione del regista del Tennessee per i film western e polizieschi italiani degli anni sessanta e settanta del secolo scorso, anzi possiamo dire che tutta la sua fortunata carriera è un omaggio a quei film, considerati spesso di serie B.

Se “Le iene”, “Pulp Fiction” e “Jackie Brown” hanno rappresentato il suo omaggio ai polizieschi “Django unchained” è il suo primo omaggio al western puro (anche se sappiamo che la scena finale de “le iene” è anch’essa un omaggio al finale de “il buono, il brutto e il cattivo”).

Del film originale non rimane niente o quasi, la trama è completamente originale, Django in questo caso è uno schiavo liberato (Jamie Foxx) che viene preso come collaboratore da un cacciatore di taglie di orgine tedesca il Dr. Schultz (Cristoph Waltz). Unico collegamento con il film del 1966 la ricerca di Django della moglie, anche lei schiava separata da lui da padroni crudeli.

La regia di Tarantino è sempre magistrale, il suo nome è oramai un sinonimo di garanzia che fa acquistare il biglietto a occhi chiusi, e in questo caso non si fa prendere troppo la mano con la sua voglia di stupire come ha fatto in “Bastardi senza gloria” che sarebbe stato un ottimo film se non avesse messo in scena l’uccisione di Adolf Hitler in un cinema a Parigi, cosa che ha lasciato perplesso più di uno spettatore.

Il cast oltre ai due citati si arricchisce di Samuel L. Jackson, Leonardo Di Caprio, Don Johnson, dell’amichevole partecipazione di Franco Nero e dell’immancabile cameo dello stesso Quentin Tarantino.

Il film rappresenta l’ennesima rinascita del genere western, sempre dato per morto ma che puntualmente, di tanto in tanto torna a sbancare il botteghino e probabilmente a vincere premi importanti come è successo all’inizio degli anni novanta con “Balla coi lupi” e “Gli spietati”.

Con l’uscita del film è arrivata l’eco di qualche polemica sul fatto che questo non mostrerebbe troppo seriamente il razzismo degli stati sudisti pre-guerra civile; in realtà dopo aver visto il film non ci sembra che queste accuse possano essere ritenute fondate. La crudeltà degli schiavisti e il razzismo di chi non poteva tollerare che un nero andasse a cavallo sono ben mostrate, il resto è una storia pulp (non potrebbe essere altrimenti con Tarantino come regista) fantasiosa e irreale quanto si vuole ma che rientra nei parametri della fiction cinematografica.

Oltre a recarsi al più presto al cinema consigliamo ai fan di Quentin Tarantino di ordinare anche una copia della colonna sonora, da segnalare che fra gli autori di questa c’è anche Ennio Morricone che ha scritto un pezzo per Elisa.

 

J. Mnemonic

20 Gennaio 2013   |   articoli, recensioni   |   Tags: , , , ,