Cattolicesimo romano e forma politica

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È uscito a gennaio per i tipi de il Mulino, nella collana Voci, “Cattolicesimo romano e forma politica”, un breve testo pubblicato da Carl Schmitt nel 1923, di cui consigliamo la lettura a chi voglia apprezzare la ricchezza di articolazioni e sfumature del pensiero pubblicistico e politologico dell’autore tedesco.
Schmitt individua la grande forza della Chiesa cattolica in un suo peculiare carattere formale, che consente a questo mirabile coacervo di complexiones oppositorum di essere estremamente razionale e, ad un tempo, del tutto calato nella realtà materiale ed umana. Questo deriva dalla “rigorosa applicazione del principio di rappresentazione”: il fatto che “rappresenta Cristo stesso in forma personale, il Dio che si è fatto uomo nella realtà storica” le attribuisce un’inusitata capacità creatrice razionale, la capacità di forma in massimo grado.
In tal modo, come ci ricorda nella sua nota di commento Carlo Galli “il cattolicesimo costituisce una mediazione pontificale che […]collega Trascendenza e Immanenza e da questa verticalità istituisce rappresentativamente e personalisticamente una spazialità orizzontale, pubblica, non atomizzata e individualistica ma formata, politica”.
È evidente quanto il cattolicesimo sia in ciò davvero “romano”, erede della giurisprudenza di Roma antica, capace di forma giuridica in virtù dell’azione cultuale pontificale, che sacralizzava i “fatti” prodotti dal populus, il “dato” contingente, trasformandoli in fattori ordinanti del divenire storico, come ci ha insegnato Dario Sabbatucci.
I pontefici romani pagani agivano sui dati di un divenire storico contingente cosmicizzandolo, i pontefici romani cristiani operano su fatti immanenti che vanno ricondotti a senso riportandoli a un trascendente da inverare.
È da qui – ben altro che dal tomismo – che deriva il particolare “razionalismo” della declinazione cattolico romana del cristianesimo, punto ultimo d’arrivo di una tradizione antichissima tutta giuridica, diremmo originariamente giuridica, perché non può pensarsi – nel senso di pensare sé – se non all’interno di uno spazio già formato e capace di forma.
Questo deve far riflettere, innanzitutto, tutti coloro che, in virtù di un banale scientismo positivistico di ritorno, pensano di poter chiudere i conti col cattolicesimo romano relegandolo fra le credenze irrazionali: la Chiesa di Roma è dotata di una propria razionalità forte, in grado di costruire un autonomo spazio pubblico.
Se non si comprende questo, non si può neanche capire la ragione della radicale impossibilità per il cattolicesimo romano di ritrarsi dal politico: la forma politica é consustanziale alla sua razionalità costitutiva.
La quintessenza del cattolicesimo romano sta nel particolare modo in cui risponde all’esigenza, propria di tutti i cristianesimi, di garantire il permanere del legame originario Trascendenza/Immanenza dato dalla nascita del Fondatore. Detto altrimenti: come sperimentare l’assoluto nel contingente allo stesso modo in cui fu possibile per chi ebbe esperienza di Cristo?
Il cattolicesimo romano eredita e riadatta la risposta dei pontefici romani: rappresentare il Fondatore in forme istituzionali. Senza rappresentazione, nessuna religione.
Ma, aggiungiamo noi, senza forme giuridiche e politiche, non si può dare vera rappresentazione.
L’ostilità del cattolicesimo romano allo Stato moderno può trovare una spiegazione proprio nella corretta percezione che questo non ha bisogno di uno spazio propriamente politico per legittimarsi e funzionare.

Massimiliano Bardani

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