Bruciate le lauree!

Pubblicato da

Guardi, mi dia una possibilità. Le garantisco che prendere la laurea è stato solo un errore di gioventù di cui sono perfettamente consapevole e oggi rinnego nel modo più assoluto. La prego, posso lavorare!

Così uno dei protagonisti di “Smetto quando voglio” implorava il gestore di un’officina alla periferia di Roma dopo che questo lo stava cacciando via dal colloquio di assunzione perché aveva scoperto che era un laureato. Il gestore poi replica senza pietà: “ None, nun ve pijo a voi laureati. Tu me pari un bravo ragazzo… ma nun me ce fregate più, siete totalmente inaffidabili”.


Il film di Sibilia nel 2014, e i suoi due sequel del 2017, esprimevano in modo paradossale e provocatorio la situazione italiana. Dalle risate per la paradossalità di scene come quella descritta sopra, la trilogia si è sempre più spostata dalla “soluzione escogitata dagli ex laureati per garantirsi un futuro” (sintesi di una nuova droga anfetaminica grazie ai chimici e spaccio di questa con la creazione di una rete commerciale professionale e assistenza legale grazie agli altri titoli di studio), ai drammi e alle umiliazioni subiti dai laureati nei loro contratti atipici, stage, partenariati, borse di studio e altre schifezze varie escogitate dai vari governi per permettere a enti e industrie di non pagare il giusto prezzo del lavoro professionista.

Oggi, otto anni dopo, come sempre più spesso capita, possiamo dire che anche quel pessimismo era ottimista.
Se ormai è consuetudine accettata che ingegneri, chimici, fisici, archeologi debbano andare all’estero per trovare una giusta remunerazione per il loro lavoro e non vedersi umiliati con stipendi che fino a venti anni fa sarebbero stati indegni anche per i lavori meno qualificati, oggi si hanno due nuovi fenomeni che vogliono sottolineare quanto è sciocco prendere una laurea nel nostro paese.

Il primo è quello del continuo blocco dei concorsi pubblici verso l’assunzione di laureati; l’amministrazione pubblica deve risparmiare (perché è evidente che la lezione della Covid non è stata abbastanza dura per gli stati fessi come il nostro che hanno smantellato il SSN) e quindi le assunzioni tramite concorsi si rivolgono quasi esclusivamente a diplomati.

Questo comporta che chi ha una laurea tecnica (biologia, chimica etc.) conseguita dopo un diploma di liceo, debba ri-iscriversi a scuole inferiori (pubbliche o private) per avere quel titolo che gli consenta di partecipare ai concorsi pubblici. (E io pago…)

Non solo. Grazie alla follia di tutti i recenti ministri dell’(a) (d)istruzione che hanno sempre di più separato la laurea come titolo accademico dalla possibilità di insegnare nelle scuole, si è arrivati ad uno straordinario mercato delle vacche (comunemente chiamati crediti) anche on line.
Così Tizio, laureato in lettere, per insegnare Italiano dovrà prendere un tot di crediti DOPO la sua laurea (no, non può farlo durante il normale corso di studi a parte pochissimi casi) in materie che acconsentono l’accesso ai concorsi per la professione di insegnante.
Oggi un classico dialogo fra neo laureati è:
Che fai? Li compri i crediti per insegnare?”, “E che non li compro? L’Università On Line di Rivombrosa sta facendo il tre per due sulle iscrizioni, magari fra un anno devo pure pagare duemila euro in più!

L’uso dei termini non è casuale ed è corrispondente a quanto personalmente ascoltato più volte. Chi pensa di governare il paese continuando ad essere totalmente slegato dalla realtà dei fatti dovrebbe scendere dal pero istituzionale.

Indubbiamente ci sarà anche un ragionamento diverso da quello qualunquista che porta a vedere in queste costruzioni normative i “soliti” regali per le università private e l’autogiustificazione della propria esistenza da parte di una burocrazia elefantiaca che neanche chiamare “Assurdistan” il nostro paese riesce più a rendere l’idea della sua inutile e perversa complessità.

Ma il problema del paese sono i ggiovani che “non hanno voglia di lavorare”, “non sanno soffrire”, “non si accontentano mai”, etc etc. Sì lo abbiamo sentito dire.

Come abbiamo sentito dire a più di qualcuno che, se e quando, questi giovani si incazzeranno per bene per il futuro di cui li stiamo privando e scateneranno una protesta che farà ricordare il ‘68 come una scaramuccia fra amici al bar dopo un grappino di troppo, noi sapremo da che parte schierarci.

 

Alessandro Chiometti

 

18 Novembre 2022   |   articoli, riflessioni   |   Tags: , , , , ,