Attenti al batterio!

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Nell’era tecnologica che ci coinvolge tutti non ci rendiamo conto, a volte, della temeraria potenza dei batteri, questi minuscoli, invisibili coabitanti del nostro universo temporale. Eppure una solenne festività religiosa che cade all’inizio dell’estate (quest’anno si celebra il 22 del mese corrente) e che coinvolge milioni di persone e le fa agitare e muovere in un frenetico ritmo scandito da processioni, infiorate, inni cantati a gole spiegate e musiche sparate da bande musicali con pifferi e grancasse……questa festa, dicevo, che tutti conosciamo come la festa del “ Corpus Domini”, è stata causata da un semplice e , tutto sommato, innocuo batterio: si chiama “Serratia marcescens”.
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Appartiene al gruppo dei gram-negativi e si combatte con antibiotici ed è responsabile di infezioni all’apparato urinario e respiratorio e, se non letale per l’uomo, sta però decimando alcune popolazioni di corallo caraibico. Ma ha una strana prerogativa: in periodi di temperature elevate ed umidità accentuata produce su cibi ricchi di amido (pane e focacce) un abbondante pigmento rosso vivo chiamato “ prodigiosina”, di consistenza leggermente viscosa, facilmente scambiabile per sangue fresco appena uscito da una ferita.
Che c’entra, direte voi, con il “ Corpus Domini”? Per capire il tutto proviamo ad andare indietro nel tempo e trasportiamoci idealmente nel XIII secolo ed andiamo a curiosare in Belgio, nella diocesi di Liegi. Qui una giovane monaca agostiniana, suor Giuliana di Cornillon, ebbe una visione: le apparve la Chiesa nelle sembianze di una luna piena con una macchia al centro che lei, ispirata dallo Spirito Santo, interpretò come mancanza di una festa che celebrasse il Santissimo Sacramento. Gesù , la notte seguente, le era apparso e le aveva confidato di sentirsi offeso perché qualcuno aveva osato negare che nelle ostie consacrate lui stesso fosse presente in carne e ossa e che si trattasse solamente di una finzione. Questo “qualcuno” si chiamava Berengario di Tours: era vissuto circa un secolo prima ( morì nel 1088) ed era stato un accanito avversario del dogma cattolico della “ transustanziazione”, insomma quella fantastica credenza cattolica che trasforma un po’ di amido nel corpo e sangue di un ebreo morto da migliaia di anni. Condannato per queste teorie, imprigionato e “accarezzato” dalla Santa Inquisizione finì per sottoscrivere una dichiarazione in cui ritrattava la sua teoria e si diceva convinto, con le buone e con le cattive, che , in fondo, la Chiesa ha sempre ragione. Tuttavia il seme del dubbio era stato gettato e questo tormentava appunto la nostra cara suora che si diede tanto da fare, con suppliche, preghiere e petizioni dirette al vescovo di Liegi, Roberto de Thourotte, e all’arcidiacono di Liegi Jacques Pantaleon, futuro papa Urbano IV, al punto che il vescovo cedette, convocò un sinodo e nell’anno 1246 istituì, per la sola sua diocesi, la festa del “Corpus Domini”.
Fino ad ora, direte voi, non c’è traccia del batterio di cui sopra ma ecco che sta per arrivare. Torniamo in Italia e buttiamo lo sguardo sulla ridente cittadina laziale di Bolsena: siamo nell’estate del 1263 ed un sacerdote boemo, di nome Pietro da Praga, lì si era fermato a pernottare di ritorno da Roma , pellegrinaggio che aveva intrapreso proprio perché la sua fede nella “transustanziazione” vacillava e i suoi dubbi continuavano a tormentarlo. Il mattino seguente, nel celebrare la messa, nel momento in cui sollevava l’ostia consacrata, questa gli apparve rossa, come intrisa di sangue, e qualche goccia di quel miscuglio cadde sul corporale e, qualcuno disse poi, anche sui gradini dell’altare nel momento in cui il prete, spaventato a morte, se la dava a gambe levate. Il prete corse subito a riferire l’accaduto al papa Urbano IV che in quel momento era in villeggiatura a Orvieto e che immediatamente spedì il vescovo della città a controllare la veridicità dell’evento. Il famoso “ Miracolo di Bolsena” fu immediatamente celebrato in pompa magna e comunicato a tutta la cristianità e l’11 agosto del 1264 fu estesa a tutta la Chiesa la solennità chiamata del “ Corpus Domini” che, come abbiamo visto, era finora celebrata solo nella diocesi di Liegi. Per custodire il corporale bagnato dal “sangue” venne eretto il bellissimo Duomo di Orvieto (dal punto di vista artistico e culturale i batteri, a volte, sono prodigiosamente benefici) e si verificò anche un secondo miracoloso evento: il papa chiese a San Tommaso d’Aquino, che in quel periodo risiedeva proprio a Orvieto (ma guarda le coincidenze!) di preparare l’ “officio” per la liturgia delle “ore” e per la messa della festività. Ebbene Gesù Cristo, attraverso un crocifisso di legno che il grande teologo portava sempre con sé, parlò a Tommaso così dicendo: “ Bene scripsisti de me, Thoma” ( Hai scritto bene di me , o Tommaso) con il che apprendiamo che Gesù parlava bene anche il latino, oltre che l’aramaico.
Noi atei siamo proprio decisamente ostinati nel non voler credere: preferiamo infatti controllare sempre tutto, anche i miracoli al punto di riuscire a replicarli.
C’è riuscita per prima la dottoressa Johanna C. Culler, della Georgetown University di Washington, seguita a ruota dal prof Luigi Garlaschelli, insegnante di chimica organica all’Università di Pavia che nel 1998 riprodusse il miracolo su una fettina sottile di pane, facendo notare che il “sangue” sgorga da cibi ricchi di amido infettati dal batterio e che tale fatto era notorio, anche se non spiegato, fin dall’antichità. Per finire il tutto fu confermato nel 2000 dai ricercatori di biologia dell’Università di Pittsburg, J.W. Bennet e Ronald Bentley che replicarono il “miracolo” su alcune ostie (tranquilli, non erano consacrate!).
La Chiesa non ha mai permesso alcuna analisi sulle reliquie “miracolose”.
Ovviamente.

Eraldo Giulianelli

12 Giugno 2014   |   articoli, storia   |   Tags: , , ,