11 settembre 2001 – 22 luglio 2011 … la storia si ripete con colori diversi

Pubblicato da

A tre giorni dall’attentato che ha sconvolto la Norvegia e l’Europa intera, abbiamo la possibilità di esaminare l’evento a mente fredda un po’ più liberi dall’emotività dello shock iniziale.

C’è chi ha proposto accostamenti tra il suddetto episodio e l’11 settembre 2001 e c’è chi li ha considerati azzardati.

A tal proposito i due eventi meritano un confronto diretto:
l’11 settembre è stato monumentale per la sua portata (del resto l’America abituata ad episodi come Oklahoma city o ai fatti della Columbine school aveva bisogno di qualcosa di più enfatico per rendere un episodio terroristico come unicum irripetibile) il 22 luglio è stato molto più contenuto e da un certo punto di vista potrebbe essere ricondotto ad eventi di portata come quelli appena menzionati e che hanno costellato la storia degli Stati Uniti degli ultimi cinquant’anni
l’11 settembre è stato pianificato da un’organizzazione di portata internazionale e sembrerebbe esser stato favorito non poco da bizantinismi e machiavellismi interni all’apparato statunitense su cui non è stata (e forse non sarà mai) fatta luce fino in fondo, il 22 luglio sembrerebbe (almeno per ora) il gesto di un pazzo fanatico sostenuto al massimo da qualche complice, a meno che le indagini non portino alla luce l’esistenza di una “Al Quaeda cattolica” (una “Basis” o un “Fundamentum spiritui populorum” per la difesa identitaria)
l’11 settembre è stato il pretesto orwelliano per scatenare non una, ma ben due guerre di conquista con tutte le relative conseguenze (“La nostra risposta sarà monumentale” disse Bush all’indomani), la reazione della Norvegia ha stupito il mondo per il suo senso di responsabilità e di civiltà (“Maggiore democrazia, maggiori diritti” è stato il punto fermo del premier) e deve essere di esempio per chi vuole combattere il fanatismo con l’affermazione dei diritti umani e non con un altro fanatismo

 

Aldilà di queste differenze ci sono due matrici comuni che non possono essere ignorate.

La prima è costituita dalla guerra santa di matrice non tanto religiosa, ma di matrice confessionalista (per quanto riguarda la religione cattolica) e di matrice islamista (per quanto riguarda la religione musulmana).

Sebbene i due termini siano nominalmente diversi, il significato intrinseco è pressoché identico: perché di religioso hanno poco e niente, e quel poco che hanno è costituito dalla tendenza estrema (comunque comune a parecchie concezioni religiose) di voler imporre al resto del mondo i propri culti e le proprie tradizioni (anche a chi non vi si riconosce) costituendo essa stessa tanto un’aperta violazione ai diritti umani fondamentali quanto il “contraltare primo” di ciò che vorrebbe essere una società laicità.

Il secondo elemento comune è costituito dalla violenza esercitata su persone inermi e dalla freddezza della spietata premeditazione (caratteristiche della guerra ideologica in quanto finalizzate all’eliminazione fisica di chi la pensa diversamente) che nel caso di Oslo (per alcuni particolari) appaiono addirittura più inquietanti che non nel caso delle torri gemelle; l’attentato dell’11 settembre infatti sarebbe stato costituito da alcuni attacchi kamikaze che (eccezion fatta per i passeggeri degli aerei) non hanno permesso agli attentatori di vedere in faccia le loro vittime al momento dell’assassinio ma anzi di morire con loro in una frazione di secondo; il Sig. Breivik invece le sue vittime le ha viste da vicino, le ha radunate, le ha guardate negli occhi, gli ha dato la caccia e gli ha sparato contro (anche a chi gli implorava pietà) con pallottole dum dum vietate dalla convenzione di Ginevra per poi andare dichiarare serenamente davanti agli inquirenti che la sua azione è stata “atroce ma necessaria” e che “ci sono momenti in cui è necessaria la crudeltà e in cui è meglio uccidere molte persone che non abbastanza”.

 

Dall’11 settembre 2001 ad oggi l’opinione pubblica costituita dall’uomo medio italico (e non solo)  era convinta che la figura del fanatico religioso stragista fosse essenzialmente legata all’islam.

Dimenticando la storia del nostro medio evo, tacendo sulle numerose stragi perpetrate nella seconda parte del 20° secolo dalle milizie cristiane nel terzo mondo (di cui la più grave nel 2004 in centro Africa) menzionate solo dalle agenzie o sui genocidi perpetrati in Croazia dai cattolicissimi ustascia durante la seconda guerra mondiale, esisteva la convinzione diffusa per cui i cristiani fossero innocui non violenti votati alla carità verso gli altri, mentre i musulmani fossero pazzi fanatici assassini.

Non basta: negli ultimi dieci anni la chiesa e la cristianità hanno avuto un falso ruolo associatogli dall’inconscio collettivo di “scudo difensivo” dalle invasioni culturali straniere (definite spesso portatrici di terrorismo stragista), il tutto mentre i rappresentanti vaticani e musulmani (quando potevano) cercavano tra loro accordi sottobanco contro i cattivi atei.

 

In casa laica o laicista che voglia dirsi (dato che non c’è differenza tra i termini, anche se qualcuno vorrebbe farla esistere) sapevamo bene che ciò non era assolutamente vero, ma da oggi anche il resto della popolazione dovrà prendere atto di ciò.

Da oggi anche la parrucchiera e la casalinga che votano Lega, così come il Principe Ruspoli, non possono far finta di ignorare che i cosiddetti “valori identitari cristiani” a cui fanno riferimento i credenti o i “servi di convenienza del clero” generano mostri identici per ferocia ai loro colleghi musulmani.

Poi sappiamo bene che molti tra loro disconosceranno tale gesto come se il Sig. Breivik faccia parte di un’altra parrocchia (perché la disonestà intellettuale dei confessionalisti è mostruosa) e rinunceranno a mettersi in discussione convinti (come sono) di essere “dalla parte dei buoni”.

In casa laica, sapevamo anche che questo terrorismo confessionalista era vecchio quanto il mondo, anche se negli ultimi decenni agiva in modo molto più discreto di quello islamico; le sue tecniche più collaudate nel mondo occidentale erano (e sono ancora) costituite da aggressioni omofobe perpetrate in massima parte da organizzazioni di estrema destra (da cui la stessa chiesa poteva furbescamente prendere le distanze quando più gli conveniva, salvo poi beatificarne i rappresentanti), sotterfugi di ogni tipo (legali e non) con cui sono stati riempiti copiosi volumi di  letteratura anticlericale, nonché ingerenze nella vita politica soprattutto degli stati concordatari.

Come ciliegina sulla torta in capo a tutti questi elementi (quasi a voler  introdurre un elemento ironico) il teocrate di Via della Conciliazione, ex membro della gioventù hitleriana per sua stessa ammissione, unico capo di stato d’Europa che non riconosce la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, denunciato all’Aja per crimini contro l’umanità, nonché amministratore unico dell’apparato che promuove la corrente di pensiero a cui Breivik fa riferimento, ci viene a dire che l’odio va combattuto (e noi lo ringraziamo per il pensiero perché da soli non ci saremmo mai arrivati).

 

Come estensore di questo articolo voglio poi aggiungere una postilla di carattere culturale, forse marginale, ma che merita un minimo di attenzione.

La prima denuncia del terzo millennio sul pericolo di una deriva cristiano-fondamentalista per l’Europa era arrivata (seppur in modo molto fantasioso) dal film di Luc Besson Fiumi di porpora 2 del 2004, ma per una strana ragione certi film non lasciano troppe tracce nella memoria del grande pubblico.

Al contrario invece ci sono altri film che lasciano memoria molto più forte.

Il Sig. Breivik era fanatico della pellicola “300” del regista Zack Snyder tratta dall’omonimo racconto di Frank Miller (autore fumettista di fama internazionale noto per il suo grande talento ma anche per le sue posizioni di destra più che estrema).

Il suddetto film, pur essendo tecnicamente molto ben fatto (è un capolavoro di sociologia della comunicazione visuale), è una vera e propria opera di istigazione all’odio razziale, etnico ed omofobo a confronto della quale il film di Griffith Nascita di una nazione o i lungometraggi di propaganda sul Terzo Reich di Leni Riefenstahl sembrano quasi politicamente sobri.

Dello stesso film è possibile ascoltare un’interessantissima lezione http://www.wumingfoundation.com/suoni/Wu_Ming_1_Lezione_su_300_02052007.htm tenutasi al DAMS di Torino nel 2007 (della quale sottoscrivo ogni parola) in cui vengono descritte addirittura le innumerevoli falsità storiche e le altrettanto innumerevoli tecniche propagandistico-ideologiche di cui è costellato.

Questo film, oltre ad essere diventato un’icona della destra identitaria (dal 2007 non esiste negozio di gadget fantasy che non esponga un elmo degli opliti accanto agli elmi dei templari), ha incontrato anche in salotti di sinistra il favore di un certo pubblico incapace di saper effettuare una separazione tra la perizia tecnica nella creazione di un’opera e le finalità dell’opera stessa (soprattutto in virtù del fatto che nel caso specifico quelle finalità sono costituite proprio dal seminare odio).

Escludendo qualsiasi forma di censura, alla luce di questi fatti e col senno di poi è lecito chiedersi se non sia il caso di ricominciare ad educare le nuove generazioni nel saper esercitare il pensiero critico, quel pensiero critico unito alla necessità di rispetto dei diritti umani che negli ultimi anni sembra essere pressoché scomparso in molti contesti.

 

Francesco Saverio Paoletti

25 Luglio 2011   |   articoli, riflessioni   |