Review: C’eravamo tanto amati – Autopsia dei sogni e resistenza dei sognatori

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Il 75° anniversario della Liberazione d’Italia quest’anno è passato in sordina a causa delle ben note vicende legate alla pandemia della Covid19.

Il che contribuirà ulteriormente alla rimozione dalla memoria collettiva degli eventi della Resistenza, ovvero uno dei pochi periodi storici di cui gli italiani (quelli per bene, non certo i neofascisti in tutte le loro sfumature) possono andar fieri.

Ad ogni modo arriverà il momento  per voi, ventenni o trentenni di oggi, in cui i vostri figli vi chiederanno: “Ma come mai l’Italia è così?”

Quel giorno avrete due strade, la prima è quella dell’a-politically correct: “Ma no che dici, l’Italia è stupenda guarda che bello il duomo/colosseo/arena e poi andiamo a prendere il sole al mare e ci facciamo una pizza al tramonto”. La seconda è ovviamente quella più difficile e comporta la conoscenza della Storia di questo paese.

Ma la Storia non è un entità astratta, è la somma di tante piccole storie umane la somma delle quali fa poi la Storia con la s maiuscola per l’appunto.

“C’eravamo tanto amati” è forse il miglior film che vi possiamo consigliare per cominciare ad avere una consapevolezza storica e politica sufficiente per rispondere alla futura domanda dei vostri figli.

Con la regia di Ettore Scola è di certo uno dei migliori film italiani di tutti i tempi; e nonostante il regista  non abbia mai nascosto le sue simpatie politiche per la sinistra, il film non può essere certo accusato di pomposa retorica di partito ne’ tantomeno di mitizzare la resistenza, anzi.

I tre attori protagonisti (anzi dei veri e propri mattatori) rappresentano anch’essi buona parte della storia  cinema italiano; parliamo di Nino Manfredi, Vittorio Gassman e Stefano Satta Flores che purtroppo è morto molto giovane.

Il film è presentato come una storia narrata in diverse linee temporali; inizia con Vittorio Gassman aka Gianni Perego impegnato in un atletico tuffo in piscina che però si ferma a mezz’aria. Stefano Satta Flores aka Nicola Palumbo ci informa, “sfondando la quarta parete” (come si dice quando gli attori si rivolgono direttamente al pubblico),  che per vedere la fine di quel tuffo dovremo aspettare la fine del film.

Dopo un flashback che mostra i tre protagonisti impegnati nella resistenza come partigiani, la storia si sposta nel dopoguerra dove Antonio aka Nino Manfredi è un portantino impegnato nel Partito Comunista e conosce la bella Luciana Zanon aka una splendida e bravissima Stefania Sandrelli che diventa la sua fidanzata (Ettore Scola ci mostra il loro corteggiamento con una splendida contaminazione film-teatro). I due però incontrano casualmente Gianni, avvocato tirocinante, in una cena presso un osteria popolare e la scintilla amorosa scatta nuovamente fra Luciana e Gianni e questo causerà l’allontanamento dei due amici ex partigiani.

Nicola Palumbo intanto vive emarginato a Nocera Inferiore (“Nocera è inferiore per colpa di gente come voi” urla ai democristiani che criticavano, per aver infangato l’Italia, il capolavoro di De Sica “Ladri di biciclette” perché “I panni sporchi si lavano in famiglia, come dice un promettente ragazzo del nostro partito”), proprio a causa delle sue scomode posizioni politiche anarcoidi è costretto a cercare fortuna a Roma dove viene ospitato da Antonio.

Nel frattempo Gianni ha lasciato Luciana preferendole una comoda vita con Elide Catenacci aka Giovanna Ralli (splendida anche lei e soprattutto bravissima nel difficile ruolo che ricopre) figlia di uno dei più grandi palazzinari di Roma, Romolo Catenacci aka Aldo Fabrizi. Palazzinaro e nostalgico fascista.

Le vicende della vita portano Luciana Antonio e Nicola a incontrarsi e scontrarsi più volte in un quasi triangolo amoroso che però rimane incompiuto. Sempre con il rimpianto dei giorni in cui sembrava tutto possibile dopo aver cacciato i tedeschi dal paese. In questo la bellissima canzone E io ero Sandokan, che sembra provenire direttamente dai canti partigiani ma che in realtà è stata scritta appositamente per il film da Armando Trovajoli, ritorna sempre quasi fosse la coscienza dei protagonisti.

Mentre nel film appaiono nel ruolo di loro stessi anche Marcello Mastroianni, Mike Bongiorno, Federico Fellini e Vittorio De Sica arriva il finale inevitabilmente dolceamaro in cui Gianni, ormai rimasto solo per la strana morte della moglie Elide è accompagnato nella solitudine della sua vita dal ghignante Romolo Catenacci a cui ha fatto interdire il figlio per evitare la bancarotta dell’azienda. L’ex palazzinaro ormai costretto sulla sedia a rotelle ed esautorato dalle decisioni aziendali lo canzona sempre dicendogli “Tu sei come me e sei solo come me, e io nun moro! Io nun moro!”.

Ma Gianni interromperà la solitudine rincontrando i suoi amici Antonio e Nicola, portando così a compimento uno di quegli strani cerchi che la vita chiude a modo suo.

Al di la della immensa bravura degli attori, qui tutti al loro apice e della cura per ogni dettaglio del regista, il film rappresenta in modo perfetto l’Italia nel trentennio post bellico. Con le sue contraddizioni e i suoi piccoli protagonisti che rispecchiano perfettamente i grandi protagonisti della nostra storia.

Il rinnegamento dei propri ideali in cambio del potere e di una vita agiata (Gianni), la resistenza quotidiana di chi continua a credere in quegli ideali ma con quel pragmatismo che gli consente di andare avanti nonostante il prezzo pagato (Antonio) e infine chi invece ha idealizzato troppo il tutto e si ritrova ad essere un intellettuale inutile che presta la sua penna ad altri (Nicola). Queste tre storie, insieme alle altre che attraversano si uniscono nella Storia di un paese che dal ‘45 al ‘74 non ha mai fatto i conti con il passato (e tutt’ora continua a non farli), rinnegandolo oppure idealizzandolo e ponendolo su un altare.

Che è quasi peggio che rinnegarlo, in fin dei conti.

Alessandro Chiometti

21 Maggio 2020   |   articoli, recensioni   |   Tags: , , , , , , , , , , , ,